Riforma processo civile: chiamata del terzo

03 Maggio 2023

Il nuovo meccanismo di introduzione della lite e di instaurazione del contraddittorio ha inciso anche sulle tempistiche inerenti alla chiamata in causa (o in garanzia) del terzo da parte dell'attore e del convenuto, nell'ambito sia del rito ordinario che di quello semplificato di cognizione.
Inquadramento

La riforma del processo civile, operata dal d.lgs. n. 149/2022, ha realizzato un riassetto formale e sostanziale, tra l'altro, anche della disciplina del giudizio di cognizione di primo grado, a cominciare dalla fase introduttiva dello stesso, allo scopo di perseguire una maggiore concentrazione delle attività processuali e pervenire alla prima udienza con la già avvenuta completa definizione del thema decidendum e del thema probandum, in modo da consentire al giudice, attraverso le necessarie verifiche preliminari, una più oculata gestione del caso concreto ed una più agevole individuazione della direzione da imprimere al processo.

Il nuovo meccanismo di introduzione della lite e di instaurazione del contraddittorio ha inciso anche sulle tempistiche inerenti alla chiamata in causa (o in garanzia) del terzo da parte dell'attore e del convenuto, nell'ambito sia del rito ordinario che di quello semplificato di cognizione.

Nei paragrafi che seguono saranno esaminate le questioni applicative che nascono dal nuovo regime della chiamata del terzo (applicabile ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023), compendiato nei novellati artt. 167, 183, 269 e 271 c.p.c., nonché nell'art. 171-ter c.p.c. di nuova introduzione, per quanto attiene al rito ordinario, e nei nuovi artt. 281-undecies e 281-duodecies c.p.c., in ordine al rito semplificato di cognizione, il tutto in un'ottica interpretativa che tenga conto delle esigenze di razionalizzazione, semplificazione e speditezza perseguite dalla riforma Cartabia.

Chiamata del terzo da parte del convenuto

Nel rito ordinario, l'esigenza di anticipare ad una fase processuale anteriore alla prima udienza sia le verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c. che il deposito delle memorie integrative di cui all'art. 171-ter c.p.c. ha imposto al legislatore, da un lato, l'ampliamento del termine libero di comparizione del convenuto di cui all'art. 163-bis c.p.c., che è stato elevato da 90 a 120 giorni, e, dall'altro, la modifica del termine di costituzione (tempestiva) del medesimo convenuto, di cui all'art. 166 c.p.c., innalzato da 20 a 70 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione.

Come nel regime previgente al d.lgs. n. 149/2022, il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta (art. 167, comma 3, c.p.c.) e contestualmente chiedere al giudice di spostare la prima udienza per permettergli di citare il terzo rispettando i termini liberi di cui all'art. 163-bis c.p.c.

Il giudice, non più entro 5 giorni dalla richiesta (come nel rito previgente), bensì nel termine previsto dall'art. 171-bis c.p.c. per le verifiche preliminari, ossia nei 15 giorni successivi alla scadenza del termine di costituzione del convenuto, provvede alla fissazione della nuova udienza emanando un decreto che il cancelliere provvede a comunicare alle parti costituite (art. 269, comma 2, c.p.c.). La citazione è notificata al terzo a cura del convenuto.

Rispetto alla nuova prima udienza di comparizione delle parti, fissata dal giudice per consentire la chiamata del terzo, decorreranno i termini indicati dall'art. 171-ter c.p.c. per il deposito delle tre memorie integrative volte alla definizione del thema decidendum ac probandum.

Quid iuris nel caso in cui il giudice, non effettuando le verifiche preliminari ovvero non avvedendosi, nel corso di tali verifiche, della richiesta di chiamata del terzo da parte del convenuto, non differisca la prima udienza oppure, pur differendola per altre ragioni, non autorizzi la chiamata del terzo? In tal caso, è concreto il rischio che il giudice provveda su tale istanza alla prima udienza di comparizione di cui all'art. 183 c.p.c. (dopo, cioè, il già avvenuto deposito delle memorie integrative), procedendo alla fissazione di una nuova udienza rispetto alla quale decorreranno nuovamente i termini di cui all'art. 171-ter c.p.c. Le parti già costituite (attore e convenuto) si troveranno, allora, a dover depositare nuovamente le proprie memorie integrative, con un inutile dispendio di tempo ed attività processuale. Anche sotto tale profilo emerge, allora, l'indispensabilità delle verifiche preliminari che il giudice è chiamato ad effettuare tempestivamente nel nuovo rito civile, al fine di non pregiudicare l'obiettivo di velocizzazione ed efficienza del processo posto a base della riforma.

Inoltre, nell'ipotesi, patologica e non auspicabile, in cui il giudice, alla prima udienza (anziché in sede di verifiche preliminari), autorizzi il convenuto a chiamare in causa il terzo, si pone il problema dell'applicazione estensiva del principio di cui all'ultimo comma del novellato art. 269 c.p.c., secondo cui, nel caso di autorizzazione dell'attore alla chiamata in causa del terzo, “restano ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo”: invero, tale principio, espressamente previsto solo per la chiamata del terzo da parte dell'attore, non può non operare anche nel caso in cui attore e convenuto, in conseguenza della chiamata in causa del terzo da parte del convenuto che il giudice abbia autorizzato (tardivamente) alla prima udienza, si trovino a dover ridepositare le proprie memorie integrative, non potendosi con la seconda serie di memorie superare le decadenze e preclusioni processuali in cui le parti siano già incorse con la prima terna di memorie integrative. Ma su tale problematica, che dovrebbe porsi come eccezione alla regola nel caso di chiamata del terzo da parte del convenuto (sempre che il giudice effettui le verifiche preliminari), torneremo nel prossimo paragrafo, relativo alla chiamata del terzo da parte dell'attore, fattispecie in cui, invece, la duplicazione delle attività processuali costituisce la regola.

Per il resto, possono richiamarsi, in quanto ancora attuali, gli altri approdi della giurisprudenza di legittimità in ordine alla chiamata del terzo da parte del convenuto nel rito ordinario.

In tal senso, va rammentato che il convenuto, per poter legittimamente formulare l'istanza di chiamata in causa di un terzo, deve necessariamente costituirsi tempestivamente, a pena di inammissibilità dell'istanza (Cass. civ., 29 ottobre 2021, n. 30776). E', altresì, pacifico in giurisprudenza che ai fini dell'osservanza, da parte del convenuto che voglia chiedere l'autorizzazione alla chiamata del terzo, del termine previsto dall'art. 166 c.p.c., occorre tener conto, per il suo computo a ritroso, esclusivamente dell'udienza indicata nell'atto di citazione e non anche di quella eventualmente successiva, cui la causa sia stata rinviata d'ufficio ex art. 168-bis, comma 4, c.p.c. (Cass. civ., 28 maggio 2007, n. 12490). Se il convenuto omette di chiedere lo spostamento della prima udienza, decade dalla facoltà di chiamare in causa il terzo, e tale decadenza è rilevabile d'ufficio dal giudice (Trib. Milano 30 aprile 2008) o può essere eccepita dall'attore alla prima udienza. Qualora, invece, il giudice, in difetto di eccezione di parte attrice, conceda in tale udienza al convenuto un termine per la chiamata per un'altra udienza successiva, il terzo chiamato in causa non può eccepire, per carenza di interesse, l'irritualità dell'esercizio di tale potere (Cass. civ., 11 gennaio 2017, n. 419; Cass. civ., 7 maggio 2013, n. 10579).

Inoltre, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza, mentre per l'attore che intenda chiamare in causa un terzo è necessaria, oltre al nesso di consequenzialità con le difese svolte dal convenuto, l'espressa autorizzazione del giudice, il convenuto, nel solo rispetto dei termini e delle forme di cui all'art. 269 c.p.c., può chiamare in giudizio chiunque, anche in difetto del requisito della comunanza della causa, senza che al giudice sia consentito alcun controllo al riguardo. In altri termini, il giudice non avrebbe alcun potere valutativo in ordine alla sussistenza dei presupposti della chiamata in causa del terzo da parte del convenuto, ma potrebbe solo valutarne la legittimità formale sotto i profili della tempestività della costituzione del convenuto e della esplicita richiesta di chiamata in causa e spostamento della prima udienza. Tale disparità di trattamento tra attore e convenuto è stata anche reputata non costituzionalmente illegittima dalla Consulta (Corte cost. 3 aprile 1997, n. 80). Tuttavia, le Sezioni Unite, con sent. 23 febbraio 2010, n. 4309, hanno mutato orientamento, affermando il principio per cui il giudice cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta, dopo la novella dell'art. 111 Cost. del 1999 (conformi Cass. civ., 13 febbraio 2020, n. 3692; Cass. civ., 12 maggio 2015, n. 9570). Il nuovo orientamento della Suprema Corte è stato molto criticato in dottrina, essendosi rilevato che la chiamata del terzo da parte del convenuto è uno strumento di difesa il cui esercizio non è sottoposto dalla legge ad alcun vaglio da parte del giudice.

In ogni caso, la nullità della chiamata in causa di un terzo, effettuata da una parte senza l'autorizzazione del giudice, è rilevabile d'ufficio ed insuscettibile di sanatoria per effetto della costituzione del terzo chiamato, ancorché questi non abbia, sul punto, sollevato eccezioni (Cass. civ., 23 dicembre 2021, n. 41383; Cass. civ., 29 ottobre 2015, n. 22113; Cass. civ., 31 ottobre 2014, n. 23174).

Va poi rammentato che, nell'opposizione a decreto ingiuntivo (la cui disciplina non è stata novellata sul punto dalla recente riforma), l'opponente, in quanto convenuto in senso sostanziale, deve necessariamente chiedere al giudice, con l'atto di opposizione, l'autorizzazione alla chiamata in giudizio del terzo al quale ritenga la causa comune (Cass. civ., 1 marzo 2007, n. 4800; Cass. civ., 27 gennaio 2003, n. 1185), non potendo egli né procedere alla citazione diretta del terzo con l'atto di opposizione, né chiedere il differimento della prima udienza (Cass. civ., 5 marzo 2002, n. 3156). Con il nuovo rito il giudice provvederà sull'istanza dell'opponente in sede di verifiche preliminari.

In relazione, invece, al nuovo procedimento semplificato di cognizione, ai sensi del comma 4 dell'art. 281-undecies c.p.c., se il convenuto ha dichiarato, nella comparsa di risposta a pena di decadenza, di voler chiamare in causa un terzo, il giudice, con decreto da comunicarsi alle parti costituite, fisserà la data della nuova udienza nonché il termine perentorio entro cui il convenuto dovrà provvedere alla citazione del terzo, mentre quest'ultimo, dal canto suo, dovrà costituirsi a norma del co. 3 della predetta norma, ossia con le medesime modalità prescritte per la costituzione del convenuto.

Appare degna di segnalazione, anche se scarsamente significativa sotto il profilo pratico in ragione dell'interpretazione già offerta dalla giurisprudenza in ordine al comma 5 dell'art. 702-bis c.p.c., la previsione contenuta nel citato comma 4 dell'art. 281-undecies c.p.c., che, nel disciplinare la facoltà del convenuto di chiamare in giudizio un terzo, non distingue più tra chiamata in causa e chiamata in garanzia. In proposito, va rammentato che il comma 5 dell'art. 702-bis c.p.c. faceva letteralmente riferimento alla sola fattispecie della chiamata in garanzia, e non anche alla più generica ipotesi della comunanza di causa contemplata dall'art. 106 c.p.c., per la quale l'intervento coatto ad istanza di parte è pacificamente ammesso ai sensi degli artt. 167, ult. comma, e 269 c.p.c. Tuttavia, in assenza di una esplicita esclusione, era doveroso pensare - pena l'irragionevolezza della disposizione – che il legislatore minus dixit quam voluit, tanto più che alcune delle fattispecie solitamente ricondotte al concetto di “comunanza di causa” sono caratterizzate da un nesso non meno intenso di quello che assiste la connessione tra la causa principale e quella di garanzia (si pensi, in particolare, alla connessione per alternatività, che giustifica la chiamata del terzo, cd. vero obbligato, ipotesi che ricorre molto frequentemente, ad es., nelle controversie di tipo risarcitorio, allorché il convenuto si difenda sostenendo di non essere lui il responsabile del danno, con conseguente automatica estensione della domanda dell'attore al terzo chiamato in causa dal convenuto: Cass. civ., 15 gennaio 2020, n. 516), sì da rendere assolutamente indesiderabile una trattazione (necessariamente) separata delle cause connesse. Senza trascurare, inoltre, che, in non pochi casi, la chiamata del terzo è strumentale ad una più agevole e compiuta difesa del convenuto, che non poteva essere certamente sacrificata - pena la sospetta incostituzionalità del comma 5 dell'art. 702-bis c.p.c. - sull'altare della semplificazione del rito, anche in considerazione del fatto che non è consentito l'intervento coatto del terzo nel giudizio di appello. Non erano, tuttavia, mancate nella giurisprudenza di merito opinioni contrarie, nel senso dell'inammissibilità della chiamata in causa nel rito sommario di cognizione, essendosi rilevato che, mentre nella chiamata in garanzia il convenuto ha un interesse proprio in quanto potenzialmente responsabile e non estraneo all'addebito mossogli dall'attore-ricorrente, nella chiamata in causa il convenuto può liberamente sostenere la responsabilità esclusiva del terzo anche in difetto di contraddittorio con quest'ultimo e, nel caso di fondatezza della propria tesi, ottenere un semplice rigetto del ricorso, mentre l'attore non può dolersi dell'omessa partecipazione del terzo al giudizio non avendolo chiamato, e potendolo peraltro fare in autonomo giudizio (in tal senso, Trib. Genova 16 gennaio 2010, in De Jure).

Il predetto dubbio interpretativo appare definitivamente fugato alla luce della formulazione del comma 4 dell'art. 281-undecies c.p.c., che, non operando alcuna distinzione tra chiamata in causa ed in garanzia, non prevede limitazioni dell'ambito applicativo della citazione del terzo in giudizio.

Chiamata del terzo da parte dell'attore

Maggiormente problematica si prospetta l'ipotesi in cui sia l'attore a richiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, qualora l'interesse sia sorto a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta

A differenza del previgente regime processuale, in cui l'istanza andava proposta, a pena di decadenza, alla prima udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa ai sensi dell'art. 183, comma 5, c.p.c., nel nuovo rito ordinario l'attore deve formulare siffatta istanza con la prima memoria integrativa ex art. 171-ter c.p.c., da depositarsi almeno 40 giorni prima dell'udienza di comparizione di cui all'art. 183 c.p.c. In questo caso, il convenuto avrà la possibilità di interloquire, già con la seconda memoria integrativa da depositare almeno 20 giorni prima dell'udienza di comparizione, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per l'estensione del contraddittorio al terzo indicato dall'attore.

Ai sensi del co. 2 del novellato art. 183 c.p.c., il giudice, ove accolga l'istanza dell'attore, fissa una nuova udienza al fine di permettere che il terzo sia citato nel rispetto dei termini a comparire stabiliti dall'art. 163-bis c.p.c., ed assegna un termine perentorio per la notifica della citazione a cura dell'attore, come previsto dal comma 3 dell'art. 269 c.p.c.

Il medesimo comma 2 dell'art. 183 c.p.c. prevede, peraltro, che la fissazione della nuova udienza sia disposta “salva l'applicazione dell'articolo 187”, ossia salvo che la causa sia già matura per la decisione. Non è, però, chiaro cosa intenda esprimere tale clausola di salvezza. Probabilmente, si suggerisce al giudice di negare l'autorizzazione alla chiamata del terzo da parte dell'attore laddove, pur sussistendo i presupposti per la chiamata, ragioni di opportunità, nella specie l'immediata decidibilità della causa, suggeriscano di velocizzare la definizione della controversia, anche se ciò impedisca l'ingresso della domanda verso il terzo. Sembra, quindi, che venga esteso alla chiamata del terzo da parte dell'attore quel potere discrezionale e insindacabile, basato su ragioni di opportunità ovvero sul principio di ragionevole durata del processo, che la Suprema Corte, come già visto al precedente paragrafo, ormai riconosce al giudice in sede di autorizzazione della chiamata del terzo da parte del convenuto.

Accolta l'istanza di chiamata del terzo, rispetto alla nuova prima udienza fissata dal giudice opereranno le verifiche preliminari ex art. 171-bis c.p.c. e decorreranno a ritroso, nuovamente, i termini per le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., ma resteranno ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo, come prescritto dal nuovo comma 5 dell'art. 269 c.p.c.

In sostanza, riprendendo la problematica già richiamata nel precedente paragrafo, nell'ipotesi di chiamata del terzo da parte dell'attore diventa fisiologica ed inevitabile la duplicazione delle attività processuali, in quanto, non solo il giudice sarà tenuto ad effettuare nuovamente le verifiche preliminari ex art. 171-bis c.p.c. in relazione alla posizione del terzo, nei 15 giorni successivi alla scadenza del termine di costituzione di quest'ultimo, ma soprattutto, decorrendo nuovamente i termini ex art. 171-ter c.p.c., attore e convenuto si troveranno a depositare una seconda serie di memorie integrative per prendere posizione, sotto il profilo sia del thema decidendum che del thema probandum, in ordine alle difese, domande ed eccezioni eventualmente spiegate dal terzo.

Si avrà così una moltiplicazione delle memorie integrative depositate telematicamente, tanto più rilevante quanto maggiore sarà il numero delle parti convenute già costituite in giudizio. E ciò comporterà un maggiore sforzo di consultazione di tali memorie e dei relativi allegati, tramite PCT, da parte sia del giudice che delle stesse parti.

Un evidente appesantimento dell'attività processuale, che sembra andare – rispetto al rito previgente in cui la costituzione del terzo avveniva prima che il giudice concedesse il triplo termine per il deposito delle memorie istruttorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. - nella direzione opposta rispetto alle esigenze di razionalizzazione, semplificazione e speditezza auspicate dalla riforma in esame.

Ovviamente, come già detto, attore e convenuto non potranno approfittare della facoltà di ridepositare le proprie memorie integrative per aggirare decadenze e preclusioni processuali nelle quali siano già incorsi in relazione alla prima batteria di memorie integrative già depositate, nel senso che non potranno precisare o modificare il thema decidendum, né articolare nuovi mezzi di prova, se non nei limiti necessari, e dunque consequenziali, a prendere posizione sulle questioni relative alla chiamata del terzo.

In altri termini, per il dovuto rispetto dei principi di “parità delle armi” e del contraddittorio, le parti originarie non subiranno alcuna preclusione nei confronti del terzo chiamato relativamente al compimento di quelle attività che siano conseguenza delle difese del terzo, ma non potranno “rimescolare le carte” anche in relazione alle posizioni processuali, ormai definite, alle stesse facenti capo.

Il giudice, quindi, sarà tenuto ad un attento vaglio del contenuto e delle istanze formulate dalle parti già costituite (attore e convenuto) nella seconda serie di memorie integrative, dovendo egli distinguere le modifiche del thema decidendum ac probandum da ritenere ammissibili, perché inerenti alla posizione processuale del terzo, da quelle che, in quanto relative alla posizione originaria delle parti e non incise dalla chiamata del terzo, sono da ritenere inammissibili in ragione della violazione dei termini perentori di cui alla prima serie di memorie integrative. Spetterà al giudice districarsi in questo groviglio di attività processuali e ritrovare il “bandolo della matassa”.

Fortunatamente, come rilevato anche nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, la chiamata del terzo da parte dell'attore costituisce situazione “statisticamente assai rara”, ed è per questo che il legislatore delegato ha ritenuto di non attuare la delega nella parte in cui la l. n. 206/2021 prevedeva la anticipata facoltà anche per l'attore di chiamare in causa un terzo, in quanto tale facoltà, a fronte di un'ipotesi scarsamente ricorrente nella prassi, “avrebbe comportato indistintamente per tutti i giudizi un allungamento dei tempi incongruo rispetto ai benefici perseguiti e soprattutto incompatibile con le finalità di semplificazione e celerità poste dalla delega quali obiettivi generali di tutta la riforma”.

Deve, inoltre, rilevarsi che il rischio di duplicazione dell'attività processuale, conseguente all'accoglimento dell'istanza dell'attore di autorizzazione a chiamare il terzo, è ulteriormente limitato dalla sussistenza di un presupposto normativo per l'operatività di tale fattispecie, ossia che l'interesse dell'attore sia scaturito dalle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, ragion per cui, come rilevato dalla giurisprudenza, l'istanza in esame è inammissibile qualora, ad es., l'attore sia stato in grado, sin dall'introduzione del giudizio, di potere ipotizzare eventuali responsabilità di soggetti terzi rispetto al rapporto contrattuale dedotto in giudizio (Trib. Milano 26 febbraio 1998; Trib. Roma 25 novembre 1997).

In generale, la parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata al terzo entro 10 giorni (ossia nel termine di cui all'art. 165 c.p.c.) dalla notifica della citazione (termine ordinatorio, il cui mancato rispetto non comporta l'improcedibilità della domanda nei confronti del chiamato, cfr. Cass. civ., 4 settembre 2009, n. 19233).

Per quanto attiene al procedimento semplificato di cognizione, il nuovo art. 281-duodecies c.p.c., dettando una disciplina più dettagliata di tale rito, prevede che l'attore debba, a pena di decadenza, chiedere alla prima udienza di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo, la cui costituzione in giudizio avviene nelle forme previste per la costituzione del convenuto, ossia ai sensi del comma 3 dell'art. 281-undecies c.p.c.

Il comma 2 dell'art. 281-duodecies c.p.c., inoltre, prevede, per esigenze di economia processuale, che, nel caso in cui, contestualmente all'autorizzazione all'attore a chiamare il terzo, il giudice debba procedere, ai sensi del comma 1, alla conversione del rito semplificato in rito ordinario di cognizione, con la stessa ordinanza non impugnabile con cui dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario, il giudice debba altresì autorizzare l'attore alla citazione del terzo. In tal caso, rispetto alla nuova prima udienza di cui all'art. 183 c.p.c., non solo decorreranno a ritroso i termini previsti dall'art. 171-ter c.p.c. per il deposito delle memorie integrative, ma, ancor prima, scatteranno le verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c. inerenti alla costituzione del terzo.

Chiamata del terzo da parte del chiamato

Il terzo ha l'obbligo di costituirsi, ai sensi dell'art. 166 c.p.c., almeno 70 giorni prima dell'udienza di comparizione, con applicazione nei suoi confronti, come già detto, dei termini ex art. 171-ter c.p.c. La sua comparsa di risposta deve contenere tutti gli elementi previsti per la comparsa del convenuto dal comma 1 dell'art. 167 c.p.c., nonché, a seguito della pronuncia di illegittimità della Corte costituzionale n. 260/1997, dal comma 2 di tale ultima norma.

Non può non rilevarsi che il legislatore delegato ha perso l'occasione per adeguare il disposto dell'art. 271 c.p.c. al dictum della Consulta, avendo riformulato tale ultima norma con il richiamo al solo comma 1 dell'art. 167 c.p.c.

Sempre ai sensi dell'art. 271 c.p.c., qualora il terzo intenda a sua volta chiamare in causa un terzo, deve farne dichiarazione, a pena di decadenza, nella stessa comparsa di risposta ed essere autorizzato dal giudice ex art. 269, comma 3, c.p.c., ossia nelle stesse forme previste per la chiamata del terzo da parte dell'attore.

In tale ipotesi è opportuno che il giudice provveda già in sede di verifiche preliminari ad autorizzare il terzo alla chiamata dell'altro terzo, fissando una successiva udienza per consentire la citazione del nuovo terzo nel rispetto dei termini minimi a comparire, senza attendere la prima udienza, onde evitare che le parti (attore, convenuto e terzo chiamante) provvedano al deposito delle memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c. allorquando il contraddittorio non è stato ancora esteso al nuovo terzo, con il rischio di moltiplicazione delle attività processuali già esaminato in ordine alla chiamata del terzo da parte dell'attore.

Conclusioni

E' difficile formulare un giudizio positivo in relazione al nuovo meccanismo della chiamata del terzo, soprattutto nell'ipotesi di chiamata del terzo da parte dell'attore nel rito ordinario di cognizione, in cui, come si è visto, è fisiologico l'effetto moltiplicatore delle memorie integrative di cui all'art. 171-ter c.p.c.

La frenetica tendenza del legislatore a concentrare le fasi processuali, nonché ad accorpare le attività assertive ed istruttorie poste a carico delle parti, può generare qualche cortocircuito processuale, con il rischio di complicare la gestione del contenzioso e pregiudicare, anziché favorire, l'esigenza di celere definizione dei giudizi.

La riforma Cartabia non incide sui presupposti per la chiamata del terzo, ma sulle modalità temporali sia per la formulazione della relativa istanza da parte dell'attore e del convenuto, sia per la pronuncia giudiziale autorizzativa della stessa.

Ovviamente la valutazione della funzionalità del nuovo meccanismo di chiamata del terzo va calata nell'ambito della diversa configurazione strutturale che il legislatore delegato ha assegnato al giudizio ordinario, tenendo presente che, qualora l'applicazione delle nuove disposizioni generi una violazione del contraddittorio lesiva del diritto di difesa, il “giusto processo” andrà ripristinato, ai sensi del novellato art. 101 c.p.c., con un intervento correttivo del giudice, chiamato ad adottare i provvedimenti opportuni nel caso concreto.

Il processo è un mosaico delicato, in cui la variazione di una tessera rischia di modificare l'intero disegno, facendo insorgere nuove questioni interpretative ed applicative foriere di rallentamenti, che, alla fine, potrebbero pesare più dei benefici prodotti.

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