Private equity e disciplina generale sulla vendita

03 Maggio 2023

In ipotesi di private equity, nel contratto di vendita di partecipazioni sociali il patrimonio della società target non rileva automaticamente. Potrebbe pertanto essere chiesta la risoluzione del contratto solo in caso di vizi della partecipazione (o della quota); non potrebbe invece essere chiesta la risoluzione del contratto per una diversa consistenza del patrimonio della società oggetto dell'investimento rispetto a quanto prefigurato dall'acquirente. Salvo che il contratto non contenga specifiche garanzie rilasciate dal venditore.

Nella private equity il cessionario di partecipazioni societarie può, in caso di vizi, invocare la disciplina generale sulla vendita?

La private equity è una forma di investimento in capitale di rischio, mediante la quale vengono acquistate partecipazioni societarie con lo scopo di ottenere un guadagno nel medio o lungo periodo: lo scopo è quello di ottenere una plusvalenza nel momento in cui la partecipazione sarà venduta o nel momento in cui la società sarà quotata nel mercato dei capitali. La private equity riguarda, infatti, generalmente società non quotate in Borsa. Si tratta, in sostanza, di una forma di investimento per il soggetto che acquista le partecipazioni ma anche di una forma di finanziamento per la società partecipata.

Cosa succede, però, se il cessionario si accorge che la partecipazione societaria è affetta da vizi? Può invocare la disciplina codicistica sulla vendita? Secondo la giurisprudenza prevalente l'acquirente di partecipazioni di società di capitali può chiedere la risoluzione del contratto solo se esse, appunto, sono gravate da un vizio. Ma non sarebbe invece possibile chiedere la risoluzione del contratto perché il patrimonio della società c.d. target, cioè la società oggetto dell'investimento, non è come l'acquirente pensava che fosse (in termini, va da sé, di capienza e/o consistenza). Un tale tipo di pretesa presupporrebbe una specifica garanzia contrattuale da parte del venditore. La Suprema Corte, anche di recente (Cass. Civ., Sez. VI, ord., 10 giugno 2022 n. 18755), ha ribadito come la cessione delle quote di una società di capitali abbia come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta, sicché le carenze o i vizi sopravvenuti possono giustificare il rifiuto del promissario acquirente alla stipula del contratto definitivo solo se il promittente cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali (Cass. n. 2669 del 2006; Cass. n. 5773 del 1996). Del resto, già da tempo la Corte di Cassazione ha acclarato come le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione possono giustificare l'annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell'art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza (Cass. Civ., Sez. III, 19 luglio 2007 n. 16031). Va da sé che, in tema di compravendita delle azioni di una società stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ma senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientri tra le qualità di cui all'art. 1429, n. 2, c.c., relativo all'errore essenziale, essendo la determinazione del prezzo delle azioni rimessa alla libera volontà delle parti (Cass. Civ., Sez. VI, ord., 16 giugno 2021 n. 17053). In tali casi, quindi, il contratto rimarrebbe valido.

In conclusione, è da ritenere, in ipotesi di private equity, che nel contratto di vendita di partecipazioni sociali il patrimonio della società target non rilevi automaticamente. Potrebbe, pertanto, essere chiesta la risoluzione del contratto solo in caso di vizi della partecipazione (o della quota) - si pensi, per esempio, ad azioni prive di diritto di voto vendute come se fossero comprensive di tale diritto - ma non per una diversa consistenza del patrimonio della società oggetto dell'investimento rispetto a quanto prefigurato dall'acquirente. Salvo, naturalmente, che il contratto non contenga specifiche garanzie rilasciate dal venditore.

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