Licenziamento per giusta causa: l'assenza per malattia documentata in ritardo è ipotesi ben distinta dall'assenza ingiustificata
04 Maggio 2023
Massima
L'assenza ingiustificata del dipendente dal lavoro assume rilevanza disciplinare, ma nell'applicare una sanzione il datore di lavoro deve necessariamente tenere conto della diversa gravità della condotta: alla più lieve ipotesi di assenza giustificata tardivamente può fare seguito una sanzione di natura conservativa, potendo il licenziamento essere inflitto solamente in caso di assenza totalmente ingiustificata, e cioè le cui ragioni non siano state documentate oppure siano risultate non confermate, all'esito del controllo datoriale. Il caso
Un lavoratore ha impugnato il licenziamento per giusta causa irrogatogli il 3 agosto 2017, in quanto, in violazione degli artt. 60 e 61 del CCNL Tessile abbigliamento, si era assentato da lavoro dal 21 al 26 luglio 2017, omettendo di presentare al datore di lavoro documentazione a giustificazione dell'assenza.
Il Tribunale ha accolto il ricorso, dichiarando l'illegittimità del licenziamento e ad analoghe conclusioni è giunta anche la Corte di Appello.
I Giudici di secondo grado hanno evidenziato come con la contestazione disciplinare del 27 luglio la società avesse addebitato al dipendente di essere rimasto assente dal servizio in assenza di giustificazione (in quanto non sarebbe stato fornito alcun documento attestante l'esistenza di una valida causa sospensiva dell'obbligo di rendere la prestazione contrattuale), ma che, di fatto, il successivo 28 luglio, il lavoratore aveva trasmesso la giustificazione stessa. Ciononostante, il 3 agosto, era sopraggiunto il recesso per giusta causa, sulla motivazione che non fosse “ad oggi pervenuta alcuna certificazione medica volta a coprire il suddetto periodo di assenza”.
La Corte territoriale, poi, ha analizzato il CCNL applicato al rapporto, da ciò traendo il distinguo tra l'assenza ingiustificata tout court e quella di cui non sia stata tempestivamente fornita giustificazione: nel primo caso la contrattazione collettiva prevede la possibilità di ricorrere alla sanzione espulsiva (articolo 74, b), mentre nel secondo è ammessa una mera sanzione conservativa (articolo 72).
Tale secondo ipotesi, tuttavia, potrebbe comunque portare, come esito, ad un licenziamento, e ciò tanto nell'ipotesi il datore di lavoro appuri che la documentazione tardiva sia inidonea a dimostrare l'effettività della causa di sospensione, tanto in quella in cui si accerti che, effettivamente, non sussisteva alcuna legittima causa di sospensione del rapporto.
Sulla scorta di tali premesse, pertanto, i Giudici d'Appello hanno accertato l'insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, dal momento che all'atto del recesso il datore di lavoro aveva ricevuto una giustificazione, nonché la mancata contestazione, nel merito, da parte della società, del contenuto della certificazione medica postuma, successivamente trasmessa.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso in Cassazione parte datoriale, affidando le proprie censure a quattro motivi di ricorso, cui ha resistito il lavoratore. La questione
La controversia ruota, principalmente, attorno alla valutazione delle prove emerse in giudizio e sull'interpretazione da fornire alle clausole del CCNL Tessile abbigliamento, nonché alla loro applicazione al caso concreto.
In ordine al primo aspetto, in particolare, assume rilevanza il valore da attribuire al certificato medico inoltrato dal lavoratore successivamente alla cessazione della malattia. La società ha messo in dubbio la sua valenza quale effettiva giustificazione, in quanto si tratterebbe di un certificato redatto da un medico a copertura di un'assenza già avvenuta, con valenza postuma.
Quanto alla portata delle norme del CCNL, il datore di lavoro ha contestato la ricostruzione operata dalla Corte di Appello: a suo dire quest'ultima sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge ritenendo che l'articolo 74 si applichi solamente nell'ipotesi in cui l'assenza – superiore a tre giorni – resti del tutto sguarnita di giustificazione e non già a quella di ritardato inoltro di certificato, alla quale sarebbe applicabile una mera sanzione conservativa.
La società, infatti, ha valorizzato la circostanza che la tardiva comunicazione di impedimenti all'attività lavorativa sia palese violazione degli obblighi di correttezza e buona fede che devono improntare il rapporto tra le parti, dal momento che, il mancato avviso di un'assenza – peraltro di più giorni – ancorché legittima, è fonte di pregiudizio nell'organizzazione dell'attività lavorativa. Inoltre, facendo ricorso all'interpretazione letterale, dal suddetto articolo 74 si evincerebbe come il criterio discretivo tra sanzione espulsiva o conservativa sia esclusivamente quantitativa, essendo la norma incentrata sullo spartiacque dei tre giorni di assenza. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo che le motivazioni contenute nella pronuncia gravata siano immuni da censure, avendo la Corte di Appello fatto corretta applicazione del diritto, anche nell'interpretare la portata delle norme contrattuali.
Innanzitutto, la Corte ha proceduto analizzando il dettato degli articoli del CCNL rilevanti.
L'articolo 60, infatti, dispone, quale regola generale, che l'assenza per malattia o per infortunio extra lavorativo vada comunicata entro 24 ore, salvo che non sussista un accertato impedimento, potendo, in questo caso, il certificato essere fatto pervenire non oltre i tre giorni dall'inizio dell'assenza.
Il successivo articolo 61, poi, si occupa delle modalità di comunicazione, stabilendo che, salvo comprovato impedimento, il lavoratore debba provvedere prima dell'inizio del proprio orario lavorativo e che il numero di protocollo del certificato medico debba essere trasmesso al datore non oltre il secondo giorno di assenza, valendo tali regole anche per la prosecuzione della malattia.
La ratio della normativa, di fondo, risiederebbe nel consentire all'imprenditore di adottare le necessarie misure organizzative volte a “tamponare” l'assenza del dipendente.
L'articolo 72 si occupa, invece, dei riflessi disciplinari derivanti dall'inosservanza delle suddette regole, prevedendo che possa essere inflitta la multa o la sospensione al dipendente che, non presentandosi al lavoro, neppure comunichi o giustifichi l'assenza secondo le modalità sopra indicate.
Infine, l'articolo 74 si occupa della sanzione espulsiva, stabilendo, tra le altre ipotesi, che possa essere irrogato il licenziamento laddove si verifichi un'assenza ingiustificata per oltre tre giorni consecutivi o vi siano assenze ingiustificate per tre volte nel corso di un anno in giorni seguenti a quelli festivi o alle ferie, con la precisazione che interrompono la consecutività i giorni festivi o non lavorativi eventualmente intercorrenti.
Ad avviso della Corte di Legittimità dalle disposizioni del CCNL, quindi, emergerebbe la chiara volontà delle parti sociali di punire con il licenziamento solamente quella condotta che, per le concrete modalità di realizzazione, denoti una peculiare gravità: l'espulsione, pertanto, sarebbe prevista non già per qualunque assenza non giustificata, bensì solo per quella che superi tre giorni (consecutivi o comunque ripetuti in corso d'anno) e che si caratterizzi per essere contigua a giorni festivi o di ferie. Inoltre, la qualifica dell'assenza come “non giustificata” implicherebbe o la mancata documentazione delle ragioni oppure ancora che le stesse siano ritenute – in esito a verifica datoriale – non confermate.
Nel caso in cui, invece, come verificatosi nell'ipotesi oggetto di causa, si verifichi una mera violazione del procedimento previsto dal CCNL, ben sarà possibile ammettere una giustificazione tardiva del dipendente: la sua condotta, quindi, andrà valutata in tale contesto e, laddove le ragioni non siano in contestazione, potrà essere applicata la multa o la sospensione, a seconda della minore o maggiore incidenza della condotta sull'organizzazione lavorativa. Osservazioni
Le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione appaiono del tutto logiche e coerenti con la ratio sottesa alle previsioni del CCNL Tessile abbigliamento.
Occorre, infatti, tener conto del fatto che, in generale, il licenziamento è la sanzione disciplinare massima, che – tanto più quando è motivato da giusta causa - presuppone che il lavoratore abbia posto in essere un comportamento così grave da ledere il vincolo fiduciario che deve intercorrere tra le parti del rapporto.
È ben vero che il lavoratore deve improntare la propria condotta a buona fede e correttezza, ma è altrettanto vero che analoghi doveri incombono sul datore di lavoro.
Ad avviso di chi scrive, infatti, proprio il declinarsi di tali doveri al caso concreto debbono portare a ritenere che la sanzione espulsiva sia stata irrogata ingiustificatamente, e ciò in considerazione del fatto che, per le specifiche circostanze della vicenda, una sanzione conservativa sarebbe stata idonea conseguenze del comportamento posto in essere.
Infatti, prendendo le mosse dalla lettura fornita dalla Corte di Legittimità alle previsioni del CCNL, deve rilevarsi come nel caso di specie il lavoratore non già si sia presentato al lavoro del tutto immotivatamente, bensì si sia limitato ad un'assenza di sei giorni, presentando, il giorno successivo al rientro in servizio un certificato medico.
La giustificazione, quindi, sussisteva e il certificato stesso, sebbene postumo, è intervenuto a brevissima distanza dall'assenza e il cui contenuto, dal punto di vista della sua idoneità a giustificare la sospensione del rapporto, non è stata messa in dubbio dalla società, che, anzi, ha fondato il licenziamento proprio sull'assenza di qualsivoglia giustificazione.
Va evidenziato, peraltro, come seppur all'atto della contestazione elevata il 27 luglio il certificato effettivamente non fosse stato trasmesso alla società, lo stesso, però, incontestatamente fosse in suo possesso il successivo 3 agosto (giacché inoltrato il 28 luglio), senza che però ne sia stato dato minimamente conto, posto che la sanzione espulsiva ha continuato ad essere motivata sull'asserita ragione che non fosse pervenuta alcuna certificazione medica a supporto.
Ed invero è stato proprio questo rilievo a fondare la pronuncia di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato e, ad avviso di chi scrive, una siffatta conclusione avrebbe dovuto restare ferma anche se si fosse pervenuti a una diversa lettura delle norme del CCNL, fondandosi l'atto di recesso su un presupposto di fatto invero smentito fattualmente.
Ad ogni buon conto, come si ripete, appare corretto, anche in considerazione di quanto premesso in ordine alla ratio che fonda le sanzioni espulsive, mettere in evidenza la ontologica diversità che intercorre tra l'ipotesi di mancata giustificazione e giustificazione tardiva, giacché in quest'ultimo caso una giustificazione sussiste, potendo caso mai disquisirsi in ordine alla effettività delle ragioni dell'assenza.
Ed infatti, ricollegandosi ai doveri di buona fede e correttezza, non può negarsi come il mancato tempestivo avviso di assenza dal lavoro sia comportamento stigmatizzabile, in quanto creativo di disagi all'organizzazione produttiva, ma, al tempo stesso, deve rilevarsi come, alla luce dei medesimi doveri, il datore di lavoro debba tollerare, in ragione di esigenze di salute, la produzione di certificato medico postuma, laddove lo scarto temporale sia, come nel caso commentato, minimale. Riferimenti giurisprudenziali
Cass., sez. lav., 26 settembre 2016, n. 18858 in ordine alla sproporzione del licenziamento del dipendente che si assenta per malattia senza inviare il certificato medico, con offerta di disponibilità ade effettuare visita fiscale; Cass., sez. lav., 25 agosto 2016, n. 17335 in ordine al difetto di proporzionalità del licenziamento disciplinare irrogato in caso di comunicazione dello stato di malattia in ritardo.
Cass., sez. lav., 4 gennaio 2013, n. 106 in ordine alla possibilità di giustificare ex post lo stato di malattia.
Cass., sez. lav., 4 marzo 2004, n. 4435 in ordine al fatto che il mero riscontro di omessa o tardiva presentazione del certificato medico in caso di assenza per malattia non legittima il licenziamento per giusta causa, dovendo sempre essere verificato che il fatto sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo.
In senso contrario, Cass., sez. lav., 11 settembre 2020, n.18956 e Cass., sez. lav., 8 novembre 2017, n. 26465. |