La realità del mutuo solutorio nell’attuale giurisprudenza di legittimità

22 Maggio 2023

Si esamina di seguito una questione su cui si registrano difformi orientamenti giurisprudenziali, ossia la sorte del mutuo ipotecario con il quale la banca abbia erogato una somma di denaro sul conto corrente del mutuatario, gravato di pregressa passività che ne risulti così ripianata. 

Si tratta, cioè, di stabilire se l’operazione negoziale, a prescindere dal nomen assegnatole dalle parti, integri effettivamente un mutuo; vale a dire, se il c.d. mutuo solutorio soddisfi i requisiti strutturali della fattispecie tipica, in particolare quello della consegna della somma mutuata.

Premessa 

Come anticipato, il problema attiene alla qualificazione giuridica dell'operazione al cui esito la banca - mediante l'accredito di una somma a titolo di mutuo, su conto corrente in cui sia appostata una pregressa passività - consegua il (duplice) risultato pratico di azzerare lo scoperto, giovandosi al contempo della garanzia reale, nella sostanza trasformando un credito chirografario scaduto in credito ipotecario a scadenza differita.

L'interrogativo non suscita un interesse soltanto teorico, presentando significative ricadute di ordine pratico: infatti, se la descritta vicenda negoziale non fosse inquadrabile come mutuo ipotecario, per la mancanza di un suo tipico elemento costitutivo, allora la banca non potrebbe invocare il contratto quale titolo esecutivo, e neppure valersene in sede di ammissione al passivo, in caso di fallimento del debitore.

La questione, con le sue svariate implicazioni sia dogmatiche che pragmatiche, appare quanto mai attuale, essendo stata oggetto di recenti, contrastanti pronunce della giurisprudenza di legittimità. Il riferimento è, in particolare, alle seguenti pronunce:

(i) Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517 (Pres. Genovese, est. Dolmetta), che ha affermato il principio per cui tale operazione non integra gli estremi del mutuo, bensì una modifica accessoria della preesistente obbligazione;

(ii) Cass. 25 luglio 2022 n. 23149 (Pres. De Stefano, est. Rossetti), che ne ha espressamente preso le distanze, ritenendo che il mutuo solutorio integri senz'altro un mutuo, in tal senso valorizzando la comune intenzione delle parti.

La posizione assunta da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517 

Per cogliere gli snodi problematici della questione, conviene soffermarsi sulla prima delle richiamate pronunce della Suprema Corte, resa su ricorso della banca mutuante avverso il decreto con cui il Tribunale, in parziale accoglimento dell'opposizione allo stato passivo, aveva ammesso al chirografo il credito insinuato, ritenendo nulla la garanzia ipotecaria. Invero, con il provvedimento impugnato, il giudice di merito aveva ritenuto che la somma fosse stata effettivamente erogata, mediante versamento nel conto su cui insisteva la posta passiva.

Al riguardo, la Corte ha dapprima escluso che - nella fattispecie oggetto di quel giudizio - venisse in rilievo un c.d. mutuo di scopo convenzionale (rilevata l'assenza di una pattuizione di destinazione esclusiva, e precisando che, nell'ambito di quella figura negoziale, la deviazione dallo scopo non inciderebbe comunque sulla validità del contratto, bensì sul piano dell'inadempimento); ciò posto, si è interrogata sulla prioritaria questione della conformità al paradigma del mutuo dell'erogazione di una somma di denaro su conto corrente gravato di passività preesistenti, che ne siano per l'effetto ripianate.

Con una netta presa di posizione, sostenuta da argomenti assai nitidi, tale pronuncia della Cassazione (in continuità con i principi già affermati da Cass. 5 agosto 2019 n. 20896) ha negato che l'operazione integri gli estremi del mutuo, per la mancanza del requisito della traditio, cioè la consegna della somma, quale condicio sine qua non del perfezionarsi della fattispecie legale.

Seguendo l'iter  motivazionale della sentenza, risulta dirimente il rilievo per cui la struttura contrattuale del mutuo presuppone la consegna, che per essere tale (e benché attuabile anche in forme piuttosto rarefatte) deve effettivamente realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario, facendole transitare dal patrimonio del primo a quello del secondo, e procurarne a quest'ultimo la disponibilità, con l'effetto di trasferirne altresì la proprietà ai sensi art. 1814 c.c. In mancanza di tale presupposto, “non potrebbe neppure ipotizzarsi […] la sussistenza dell'obbligo di restituzione” in capo al mutuatario; e ciò per l'evidente ragione che il mutuo, quale contratto tipicamente reale, non potrebbe dirsi concluso.

Su tali premesse, la Corte ha negato che l'accredito di una somma su conto corrente gravato di debito realizzi quell'effettivo spostamento di denaro, idoneo ad assicurane la disponibilità, tipico della traditio; piuttosto, la vicenda dovrebbe essere riguardata come una operazione di natura meramente contabile. Come è stato infatti esattamente osservato, la somma “ritorna[…] immediatamente nella disponibilità dell'istituto di credito” (Chiara Lombardo, Estinzione debiti preesistenti tra le parti - Utilizzo strumentale?, in Giur. It., 2021, fasc. 8-9, pag. 1883 ss.).

Ad escludere che, in relazione all'accordo tra banca e cliente, possa ravvisarsi un'autentica consegna (e dunque il trasferimento della proprietà della somma), sarebbe infatti la circostanza per cui, ai sensi dell'art. 1852 c.c., la posta “in dare” sul conto corrente comporta una automatica e contestuale modifica del saldo, “precludendo ogni possibile ed eventuale sua utilizzabilità da parte del cliente, ma non eliminando la sostanza del debito” (cfr. sul punto anche Cass. 5 agosto 2019 n. 20896). Peraltro, come subito precisato dalla Corte, la natura meramente contabile dell'operazione dipende dalla consistenza della posta passiva e di quella attiva, nel senso che, se quest'ultima è di ammontare superiore al debito gravante sul conto, allora “per la parte del supero l'operazione ben può […] iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo”.

Una volta negata la stessa configurabilità di un mutuo, per la mancanza del requisito della traditio, la sentenza si è soffermata sulla esatta qualificazione dell'operazione - atteso che, nella fattispecie, le parti avevano in concreto voluto differire la scadenza del debito pregresso, sostituendola con quella concordata per il “mutuo”. A tale riguardo, la Corte ha ritenuto che l'intera operazione negoziale si risolvesse in una modifica del termine di esecuzione della prestazione, cioè in un pactum de non petendo ad tempus.  E siccome integrante una mera modifica accessoria dell'obbligazione - che, secondo l'art. 1231 c.c., non implica novazione -, tale patto non potrebbe essere utilmente invocato dal creditore in sede di insinuazione al passivo, né in generale quale titolo esecutivo. A questi fini, il creditore dovrebbe invece necessariamente invocare il titolo che in origine ha dato causa all'erogazione, cioè l'iniziale scoperto di conto.

Sulla base delle considerazioni così riepilogate, la Suprema Corte (Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517) ha affermato il principio di diritto per cui “l'operazione di "ripianamento" di debito a mezzo di nuovo "credito", che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus”.

La contraria opinione espressa da Cass. 25 luglio 2022 n. 23149 

Con riguardo alla medesima fattispecie, del mutuo ipotecario stipulato tra la banca e il correntista, contestualmente imputato a ripianamento della preesistente esposizione, la sentenza in commento ha ritenuto “doveroso […] prendere le distanze” dall’orientamento che ravvisa la mancanza di realità del mutuo solutorio.

In proposito, dopo aver chiarito che il c.d. mutuo solutorio non è nullo, non essendo contrario a norme di legge né all’ordine pubblico (e salvo il diverso piano della eventuale sua revocabilità), la Cassazione ha offerto una serie di argomenti, tesi a smentire l’assunto per cui, in una simile operazione negoziale, non potrebbe apprezzarsi un effettivo spostamento di denaro, e difetti quindi il presupposto della traditio.

Secondo tale arresto, il principio espresso da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517 non sarebbe condivisibile, atteso che:

  1. nel contratto di mutuo, la consegna deve essere giuridica e non necessariamente fisica, ben potendo quindi l’accredito in conto corrente integrare una effettiva datio;
  2. il soggetto che utilizzi la somma mutuata per estinguere un debito pregresso “purga il proprio patrimonio d’una posta negativa”: tale modifica patrimoniale non consentirebbe di negare che uno spostamento di denaro vi sia stato;
  3. il pagamento di rilevanti importi non potrebbe avvenire in denaro contante, ma solo per accredito in conto corrente: negare che venga in rilievo un mutuo qualora l’accredito avvenga in forma contabile vorrebbe dire non tenere in considerazione la disciplina sui pagamenti in contanti;
  4. sostenere che il mutuo solutorio sia una mera operazione contabile non varrebbe ad escluderne la natura di mutuo, atteso che “in epoca di moneta elettronica […] qualsiasi solutio si riduce ad una “partita contabile";
  5. la riqualificazione in termini di pactum de non petendo si mostrerebbe insoddisfacente, laddove il debito estinto e il mutuo concesso a tal fine fossero diversamente disciplinanti sotto il profilo delle garanzie, degli accessori e degli interessi;
  6. soprattutto, la tesi sostenuta da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517 mortificherebbe la libertà negoziale dei contraenti, “negando loro la facoltà di stipulare accordi di ristrutturazione atipici”; la scelta delle parti di optare per il mutuo solutorio, anziché concordare una semplice dilazione, rappresenterebbe un esercizio di libertà negoziale, che l’interprete dovrebbe salvaguardare e non frustrare, ingerendosi così nell’assetto di interessi individuato dai contraenti.

Osservazioni sui profili problematici del c.d. mutuo solutorio 

Così descritti i termini del contrasto, va rimarcato che la questione ruota attorno alla possibilità di ravvisare, nella erogazione in forma contabile di somme di danaro su conto corrente gravato di passività, una consegna che sia effettivamente tale.

Il tema è assai suggestivo, poiché attiene a un requisito di struttura di alcuni contratti tipici, che potrebbe apparire - per le forme in cui modernamente si dispiega il traffico giuridico -, se non obliterato, almeno fortemente svalutato; viceversa, per il dibattito che qui viene in rilievo, l'elemento costitutivo della traditio esprime una rinnovata attualità, ed anzi un carattere di assoluta decisività nella esatta individuazione della fattispecie negoziale. Il che fa emergere, quasi in controluce, il proprium della consegna, come indefettibile presupposto strutturale dei contratti cd. reali: quello di costituire il ‘segno' della giuridicità di un accordo che, altrimenti, non potrebbe assumere carattere vincolante. Prospettiva, questa della centralità della traditio e delle sue intime connessioni con la stessa nozione di causa contrattuale, recentemente indagata anche da autorevoli studiosi della tradizione romanistica.

Per quanto qui rileva, conviene delimitare l'esatto perimetro della fattispecie concreta, rispetto alla quale si può dubitare della realità del mutuo c.d. solutorio: si tratta, cioè, dell'ipotesi in cui la somma venga contabilizzata nello stesso conto corrente sul quale insiste la pregressa passività.

Diverso appare il caso in cui, ad esempio, la banca accrediti l'importo mutuato su altro conto corrente, e sia poi il mutuatario a disporne, facendola confluire (‘girandola') sul conto recante la posta passiva – magari proprio dando seguito all'accordo concluso in tal senso con la banca.

A parere di chi scrive, si rivelano assai persuasivi e solidi gli argomenti utilizzati da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517, per negare che l'erogazione di somme effettuata, omisso medio, a ripianamento dello scoperto di conto, assuma la natura di autentica traditio. Infatti, a ben vedere, secondo la ratio decidendi che ne traspare, dirimente non è il grado di ‘rarefazione' che la consegna può assumere per rimanere tale (essendo incontestato che questa possa attuarsi anche in forma immateriale, ad es. contabile), quanto, più radicalmente, se consegna vi sia stata, potendosene riscontrare le note essenziali, a prescindere dalla sua ben possibile virtualità; il che equivale a chiedersi se, in un caso del genere, l'accipiens abbia davvero conseguito la disponibilità della somma, oggetto della dazione a titolo di mutuo.

E lo si nega a fronte del concreto meccanismo di operatività del conto corrente, per cui la somma contabilmente erogata viene istantaneamente assorbita, senza che, per definizione, via sia modo per disporne altrimenti. È proprio tale circostanza a risultare incompatibile con i requisiti minimali della traditio.

In quest'ottica, allora, l'operazione si risolve in un gioco di poste attive e passive, senza trascendere la dimensione contabile, non potendo esservi mutuo senza consegna, quale elemento oggettivo che ne integra la fattispecie costitutiva.

La conclusione potrebbe destare qualche apparente perplessità se si considera che, nel diverso caso cui si è accennato poco sopra – quello, cioè, in cui la somma mutuata venga erogata su diverso conto corrente, e poi trasferita dal mutuatario su quello gravato di passività –, il mutuo dovrebbe dirsi perfezionato, stante la acquisita disponibilità delle somme, e con il medesimo risultato pratico dell'estinzione dello scoperto, peraltro concordato con la banca (qui semmai ponendosi il tema della qualificazione del mutuo in termini di negozio indiretto, se unicamente finalizzato a rendere ipotecario il preesistente credito chirografario, e della sua possibile revocabilità, se in frode ai creditori).

E tuttavia ciò non deve stupire, vista l'oggettiva diversità di presupposti.

In questo secondo caso, infatti, il mutuatario effettivamente riceve le somme accreditate, di cui diviene anche giuridicamente titolare, essendo proprio quest'ultimo, con specifico ed ulteriore atto dispositivo, a destinarle al ripianamento (il che potrebbe anche non avvenire, se del caso profilandosi una responsabilità da inadempimento, qualora la destinazione sia stata espressamente pattuita nell'ambito di un mutuo di scopo convenzionale).

Meno lineare appare la riqualificazione dell'operazione, condotta da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517, come modifica del termine di adempimento dell'obbligazione originaria, nel senso, cioè, di un pactum de non petendo ad tempus, privo di carattere novativo.

Si può, infatti, osservare che la nuova scadenza sarebbe quella concordata rispetto al contratto di mutuo; ma se quest'ultimo non può dirsi perfezionato (e non può quindi costituire fonte di obbligazione), neppure potrebbe assumere rilevanza un suo elemento accidentale quale è il termine di adempimento.

D'altro canto, va rilevato che nella concreta fattispecie su cui ha pronunciato Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517, il Tribunale aveva comunque riscontrato il riposizionamento “a lungo termine” delle scadenze del debito pregresso (con accertamento tipicamente meritale non sindacabile in sede di legittimità: cfr. Cass. 9 febbraio 2021 n. 3115 e Cass. 5 dicembre 2017 n. 29111); e muovendo da questo dato, indicativo della effettiva volontà delle parti, la Corte ha proceduto alla sua corretta qualificazione giuridica in termini di modifica accessoria, consistita in una semplice dilazione.

Al riguardo, è da notare che anche il richiamato precedente di cui a Cass. 5 agosto 2019 n. 20896 aveva ritenuto che “in tali ipotesi, l'accordo tra banca e cliente […] sposta in là nel tempo l'esigibilità del pregresso debito”.

Sulla scia delle considerazioni finora svolte, non sembrano persuasivi gli argomenti valorizzati in senso contrario da Cass. 25 luglio 2022 n. 23149, per sostenere che nel caso in esame il mutuo sarebbe senz'altro perfezionato.

Il primo, che fa leva sul principio per cui la datio deve essere giuridica e non materiale (tra le tante, Cass. 30 novembre 2021 n. 37654), ben potendo avvenire tramite accredito, non pare cogliere nel segno: la stessa Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517 non mette in dubbio che la consegna possa avvenire in forma virtuale, ma esclude che vi sia traditio sul rilievo della automatica e immediata modifica del saldo - con sostanziale indisponibilità delle somme -, ciò che è incompatibile con l'effettività del trasferimento.

Neppure convince l'assunto per cui “chi usa il denaro ricevuto a mutuo per estinguere un debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio d'una posta negativa”, di guisa che, modificandosi la consistenza patrimoniale del debitore, non potrebbe negarsi l'avvenuto spostamento di denaro. Il ragionamento appare infatti circolare, laddove presuppone (“… ricevuto a mutuo”) quel che si dovrebbe invece dimostrare, cioè l'effettivo perfezionarsi di un mutuo; dubbia è anche la possibilità di ravvisare una modifica nella composizione del patrimonio del debitore, se è vero, come osservato da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517, che l'operazione (per la coincidenza delle poste in dare e avere) “non muta la sostanza del debito”.

Anche gli ulteriori rilievi svolti da Cass. 25 luglio 2022 n. 23149, per cui “in epoca di moneta elettronica, […] qualsiasi solutio si riduce ad una partita contabile” - cosicché il carattere contabile dell'operazione non varrebbe ad escludere che si tratti di mutuo -, e per cui la tesi opposta sarebbe in contrasto con le norme che disciplinano i pagamenti in contanti, non sembrano incisivi.

È chiaro infatti che per escludere il tipo contrattuale del mutuo Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517 non ha fatto leva, sic et simpliciter, sulla modalità immateriale (contabile appunto) della consegna mediante accredito su conto corrente, né ha ritenuto che il trasferimento debba avvenire in contanti.

Ad essere valorizzato è stato piuttosto il fatto che l'erogazione su conto corrente gravato di passività non ha portata traslativa, stante l'immediata (e inevitabile) imputazione a ripianamento. In altri termini, non si nega la consegna sol perché avvenuta in forma contabile, ma poiché l'intera vicenda si esaurisce all'interno di una partita contabile (diversamente dal caso in cui il mutuatario ottenga, certo anche solo in forma contabile, la giuridica disponibilità dell'importo).

E va sottolineato che la conclusione s'impone a motivo della coincidenza, in capo alla banca, della qualità e di creditrice per l'esposizione pregressa, e di ‘mutuante' (proprio per questo non variando la sostanza del debito). Per contro, qualora l'accredito sul conto in cui è appostata la passività provenga, sempre a titolo di mutuo, da un soggetto terzo, nonostante l'operare dello stesso meccanismo contabile – con analogo esito di ripianamento –, il mutuo dovrebbe dirsi perfezionato, poiché in quest'ipotesi vi sarebbe senz'altro una modifica del patrimonio del mutuatario (che abbia appunto estinto il suo debito verso la banca, e contratto un finanziamento con il terzo).

Ancora, la più recente pronuncia in commento ravvisa la fragilità della tesi della riqualificazione in pactum de non petendo, laddove “il credito estinto e il mutuo concesso per estinguerlo fossero soggetti a regole diverse quanto a interessi, accessori e garanzie”. Senonché - potrebbe replicarsi -, se non c'è mutuo perché manca la consegna, a nulla rileva la specifica, innovativa conformazione dell'assetto negoziale prefigurata dalle parti, dato che quell'accordo non può divenire giuridicamente vincolante (se non nel suo effetto modificativo del termine di adempimento del debito anteriore).

Ma la critica più serrata svolta da Cass. 25 luglio 2022 n. 23149 poggia sul riconoscimento della libertà negoziale dei contraenti, che resterebbe svilita da chi esclude che l'operazione dia luogo a un mutuo. In effetti, si dice, a così opinare si trascura che le parti avrebbero ben potuto accordarsi per una dilazione o una novazione, ma hanno invece optato per la conclusione di un mutuo, nell'esercizio di quella libertà negoziale che l'interprete è tenuto a salvaguardare, altrimenti finendosi per negare la stessa possibilità di concordare accordi atipici di ristrutturazione.

Nell'invocare il principio di autonomia contrattuale, che trova riconoscimento positivo nell'art. 1322 c.c., la Corte utilizza un argomento di notevole rilievo anche sistematico. E tuttavia, nel nostro caso, appare argomento che prova troppo.

La consegna è infatti requisito di carattere obiettivo, che deve sussistere affinché si perfezioni la fattispecie costitutiva del mutuo, quale contratto reale. Il dato oggettivo della traditio si colloca quindi su un piano diverso rispetto a quello della volontà negoziale – attenendo quest'ultima alla scelta del tipo contrattuale ed alla specifica definizione del comune assetto di interessi.

Sicché, riscontrare la mancanza della consegna quale elemento che concorre a integrare la fattispecie non significa dimidiare la volontà delle parti: se non accompagnato dall'effettivo trasferimento della somma di denaro, l'accordo non può assumere la veste giuridica del mutuo.

Conclusione

Per tutte le considerazioni che precedono, a giudizio di chi scrive, appare maggiormente persuasiva la tesi adottata da Cass. 25 gennaio 2021 n. 1517

Tuttavia, viste le rilevanti implicazioni anche pratiche della questione e la rilevata difformità di vedute tra sezioni della Suprema Corte, è prevedibile che essa resterà al centro dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità (rendendosi peraltro anche auspicabile, ove il contrasto perduri, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite).

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