Gli atti in frode tra accordo di composizione della crisi e concordato minore

05 Maggio 2023

Con la pronuncia in commento, la Corte qualifica una donazione fatta dal debitore quale atto in frode, in quanto tale ostativo dell'omologazione di un accordo di composizione della crisi. L'arresto è l'occasione per delineare una distinzione tra colpa e mala fede nell'assunzione del debito e per verificare se gli atti in frode della legge 3/2012 siano mutati nel concordato minore.
Massima

È inammissibile la proposta di accordo di composizione della crisi ex art. 10 ss. L. 3/2012 qualora il debitore abbia donato un immobile ai figli, poiché un simile trasferimento deve essere considerato un atto in frode ostativo all'apertura ex art. 10, comma 3 L. 3/2012.



Il caso

Il ricorrente ha depositato presso il Tribunale di Milano un ricorso per l'omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento originatasi da obbligazioni assunte come garante di una società commerciale. La proposta veniva approvata, ma veniva rigettata l'omologazione in seguito all'opposizione di due creditori finanziari che eccepivano l'intervenuta donazione alle figlie del ricorrente della nuda proprietà di un immobile.

La dismissione dei beni veniva palesata nel ricorso, ma il giudice di prime cure aveva comunque ravvisato l'atto come in frode ai creditori, come tale comunque ostativo all'omologazione della proposta ex art. 10, comma 3 L. 3/2012, poiché i creditori ipotecari sarebbero stati lesi dall'atto dispositivo che non si sarebbe più potuto revocare.

Il reclamo veniva respinto e il debitore proponeva ricorso in Cassazione, sede in cui il debitore ha denunciato l'erroneità del collegamento funzionale tra l'atto in frode impeditivo dell'omologa dell'accordo e i requisiti dell'azione revocatoria.

Secondo il provvedimento impugnato, se l'accordo fosse stato omologato, l'esdebitazione conseguente avrebbe leso il diritto del creditore ipotecario di soddisfarsi sul bene donato; avrebbe poi violato la disposizione dell'art. 7, comma 1L. 3/2012 che disciplina l'attestazione speciale in caso di incapienza del privilegio. Infatti, il creditore ipotecario poteva essere soddisfatto anche dalla porzione di patrimonio donata nello scenario della liquidazione del patrimonio, per effetto della possibile revocatoria, rendendo fallace l'attestazione di incapienza del creditore ipotecario.

Il ricorso del debitore lamentava che una simile ricostruzione non poteva considerarsi corretta, poiché la revocatoria dispiega i suoi effetti solo se definitiva e non poteva impedire l'omologa del piano se non anticipando gli effetti di un provvedimento non ancora passato in giudicato.

La Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato il provvedimento, poiché non ha ravvisato che la motivazione dell'ordinanza impugnata fosse fondata sulla pendenza della azione pauliana, bensì sul pregiudizio connesso alla riduzione del credito ipotecario dovuto all'omologa dell'accordo: quest'ultima impedisce ai creditori ipotecari di agire con l'azione pauliana, perché il credito è ridotto ai valori della proposta e quindi non può essere esercitato per l'intero, nemmeno con la revocatoria.

Si tratta di un pregiudizio tangibile ed evidentemente volontario. Di qui, la conferma dell'atto in frode quale atto ostativo all'apertura dell'accordo.



La questione giuridica e la soluzione

L'arresto in commento è l'occasione per proporre una distinzione chiara tra colpa e mala fede nell'assunzione del debito e per verificare se gli atti in frode della legge 3/2012 siano mutati nel concordato minore.

Quanto al primo profilo, il dato di partenza è nel reclamo del ricorrente, dove il debitore si è lamentato del rigetto perché avrebbe confuso la meritevolezza soggettiva, valevole per il solo consumatore e per la procedura riservata a tale figura di debitore (omologazione del piano del consumatore) e non per l'accordo, per il quale andrebbero indagati gli atti di frode.

È opportuno, tuttavia, comprendere se la ‘meritevolezza' possa essere stata confusa con gli atti di frode nell'accordo di composizione della crisi e più in generale in tutte le procedure contenute nella legge sul sovraindebitamento.

Il rapporto di genere a specie tra meritevolezza e atti in frode è frutto dell'elaborazione di alcune pronunce di merito (Trib. Prato 28/09/2016; Trib. Monza 21/11/2018). Secondo queste ultime, infatti, se il debitore deve indicare gli atti di disposizione compiuti nell'ultimo quinquennio la relazione dell'OCC deve informare il giudice affinché questi valuti quanto il ricorrente sia ‘meritevole' di accedere ad una delle procedure.

In questa prospettiva, dolo, colpa grave e atti di frode sono (almeno parzialmente) sovrapponibili.

In altri termini, per l'apertura dell'accordo, il giudice deve verificare se il debitore risulti ‘meritevole' e cioè se non si sia stato negligente (i) nel momento genetico del sovraindebitamento (con dolo o colpa grave o malafede) e (ii) successivamente al dissesto con atti di dismissione volontari.

Tuttavia, si tratta di una semplificazione contraria al dato letterale.

Le norme da cui muovere per spiegare perché dolo, colpa grave e atti in frode non sono sempre sovrapponibili sono l'art. 7, comma 2, lett. d-ter e lett. d-quater L. 3/2012.

In tema di piano del consumatore, la legge sul sovraindebitamento (ma adesso anche il CCII ex art. 69, comma primo) impedisce al debitore che ha determinato la situazione di crisi con colpa grave, malafede o frode l'accesso alla procedura in quanto negligente.

Allo stesso modo, anche per l'accordo di composizione della crisi la L. 3/2012 (ed anche il CCII ex art. 77 comma primo in tema di concordato minore) nega l'accesso alla procedura se il debitore ha commesso atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Nella prospettiva del consumatore, le circostanze impeditive si collocano al momento in cui sorge il sovraindebitamento, mentre nell'altra procedura le circostanze impeditive si collocano dopo l'insorgere del sovraindebitamento.

È infatti possibile che un atto dispositivo anteriore all'insorgere del debito, pur revocabile, non osti all'apertura della procedura ove il debitore non sia sovraindebitato, pur avendo l'atto reso più difficile l'esecuzione individuale (e in ciò consiste l'eventus damni).

Non sono assimilabili concettualmente l'atto revocabile, l'indebitamento effettuato con colpa grave, dolo o malafede, e l'atto successivo allo stato di sovraindebitamento compiuto con l'intenzione di pregiudicare i diritti dei creditori.

In ciò consiste l'equivoco interpretativo del ricorrente nella pronuncia in commento. La donazione è da considerarsi in frode non perché causa della crisi e in grado di rendere immeritevole il ricorrente; è atto di frode perché se l'accordo fosse stato omologato l'azione revocatoria sarebbe venuta meno. Sotto quest'ottica, ricorre anche una seconda violazione di legge: non è possibile l'attestazione speciale ex art. 7 L. 3/2012 per il quale al creditore privilegiato deve essere assicurato un soddisfacimento non inferiore rispetto all'alternativa liquidatoria, perché in quest'ultima il medesimo creditore poteva beneficiare dell'azione pauliana per la parte eccedente la proposta.

Per effetto della rimodulazione dell'obbligazione e della esdebitazione perde ogni possibilità di agire e di conseguenza non potrà in nessun caso essere soddisfatto in misura non inferiore rispetto a quanto avrebbe ottenuto nell'ipotesi di liquidazione.



Osservazioni: nel Codice della crisi e dell'insolvenza

Occorre domandarsi quale sarebbe stata la soluzione del caso in esame se si fossero applicate le norme del CCII.

Il dato da cui muovere è la nozione di consumatore così come disciplinata dalla l. 3/2012 e dal CCII.

Anche in quest'ottica, il codice non cambia prospettiva: la ristrutturazione dei debiti del consumatore è impedita se il debitore ha determinato il dissesto con colpa grave, malafede o frode (art. 69 CCII), mentre il concordato minore non può essere aperto se sono stati compiuti atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Anche nella riforma rimane salda la distinzione tra motivi ostativi riferibili alla genesi del sovraindebitamento nella procedura del consumatore e atti fraudolenti successivi al dissesto nella procedura del professionista.

Nella nuova prospettiva, pertanto, gli atti revocabili potrebbero essere fonte di inammissibilità se hanno determinato la crisi del consumatore, il che non è automatico; oppure nel concordato minore se sono stati posti in essere dopo l'insorgere dello squilibrio e hanno determinato una diminuzione fraudolenta del patrimonio.



Conclusioni

La prassi tende ad assimilare la meritevolezza, l'elemento soggettivo nell'assunzione dei debiti, gli atti in frode e gli atti presupposto della revocatoria ordinaria; tuttavia, a un'attenta analisi, si tratta di presupposti non sovrapponibili, come prospettato dalla dottrina e giurisprudenza (G. Limitone, Meritevolezza e atti di frode nelle procedure di sovraindebitamento confluite nel codice della crisi, in IlCaso.it, 1 settembre 2022; Trib. Ravenna 14 ottobre 2021, in IlCaso.it)

Diversi sono infatti i presupposti che caratterizzano la frode nella revocatoria e l'atto in frode quale atto che impedisce l'accesso ad una procedura di sovraindebitamento.

Nell'azione revocatoria è rilevante l'eventus damni inteso come diminuzione della garanzia patrimoniale generica, mentre l'atto in frode di cui al codice della crisi deve essere caratterizzato anche da animus nocendi. Deve, cioè, essere compiuto con l'intenzione precisa di voler pregiudicare i creditori e pertanto quando il debitore si trovava già in crisi da sovraindebitamento.

Ma ciò non significa che sia stato origine del sovraindebitamento, poiché l'azione pauliana può essere esperita anche solo quando l'atto dispositivo renda più difficile l'esitazione del credito.



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