Assegnazione degli alloggi ERP: il requisito della residenza da almeno 5 anni viola la Costituzione
11 Maggio 2023
Lo ha confermato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 77, pubblicata il 20 aprile 2023. Il caso La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, lett. b), della legge regionale della Liguria n. 10/2004. La disposizione censurata – come modificata dall'art. 4, comma 2, l.r. n. 13/2017 – stabilisce, tra i requisiti del nucleo familiare per partecipare all'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, la residenza o l'attività lavorativa da almeno 5 anni nel bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando, tenendo conto della decorrenza della stessa nell'ambito del territorio regionale. Il rimettente ritiene che tale disposizione, nella parte in cui prevede il requisito di 5 anni di residenza, violi l'art. 3 Cost., in quanto determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra italiani e stranieri, e l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 29, paragrafo 1, della direttiva 2011/95/UE, in base al quale gli «Stati membri provvedono affinché i beneficiari di protezione internazionale ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione, adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello Stato membro in questione». Il precedente della Consulta Il Giudice delle leggi rileva come la norma censurata sia del tutto simile ad una disposizione legislativa della Regione Lombardia, già dichiarata costituzionalmente illegittima (cfr. Corte cost., n. 44/2020), che prevedeva, fra i requisiti che dovevano possedere gli aspiranti all'assegnazione di un alloggio ERP, la residenza anagrafica o lo svolgimento di un'attività lavorativa nella regione Lombardia per almeno 5 anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda. In quella occasione, la Consulta, eliminando l'inciso riferito ai 5 anni, aveva trasformato il requisito di residenza (o attività lavorativa) prolungata nella regione in requisito di residenza (o occupazione) tout court nella stessa regione. In quella occasione, il motivo di illegittimità costituzionale era stato individuato nel contrasto del requisito della residenza (o occupazione) ultraquinquennale, come condizione di accesso all'ERP, sia con i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3, comma 1, Cost., perché produce una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non ne sia in possesso, sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, comma 2, Cost., perché tale requisito contraddice la funzione sociale dell'edilizia residenziale pubblica. Il requisito della previa residenza ultraquinquennale non ha alcun nesso con il soddisfacimento di un bisogno abitativo Innanzitutto, i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio: poiché la ratio del servizio di edilizia residenziale pubblica è il soddisfacimento del bisogno abitativo, la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione. Il relativo requisito si risolve così semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l'accesso all'ERP a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli), ciò che è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale. Inoltre, il requisito della residenza protratta integra una condizione che può precludere in concreto a un determinato soggetto l'accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienza (nella quale non è più residente): pertanto, le norme che introducono tale requisito vanno vagliate con particolare attenzione, in quanto implicano il rischio di privare certi soggetti dell'accesso alle prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza. Se la residenza costituisce un requisito ragionevole al fine d'identificare l'ente pubblico competente a erogare una certa prestazione, non è invece possibile che l'accesso alle prestazioni pubbliche sia escluso per il solo fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza (cfr. Corte cost., n. 199/2022). Tanto più che il radicamento nel territorio nel passato non è garanzia di futura stabile permanenza in un determinato ambito territoriale. In ogni caso, la prospettiva di stabilità non può assumere un'importanza tale da escludere il rilievo dello stato di bisogno, potendo semmai risultare più appropriato ai fini della formazione di graduatorie e criteri preferenziali. Il requisito della prolungata residenza è discriminatorio La norma regionale censurata è sovrapponibile a quella della Regione Lombardia già dichiarata incostituzionale: sia per il servizio sociale oggetto della limitazione, sia per la durata della residenza (o occupazione) richiesta come requisito di accesso, sia per il fatto di non distinguere tra italiani, cittadini dell'Unione europea e stranieri. In entrambi i casi, inoltre, la normativa regionale assegna alla residenza prolungata un doppio rilievo, come requisito di accesso e come elemento che concorre al punteggio per la formazione della graduatoria. L'unica differenza riguarda l'ambito territoriale cui il requisito stesso è riferito: l'intero territorio regionale, nella legge lombarda; il «bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando» nella norma oggi al vaglio della Consulta. Tale elemento distintivo, tuttavia, non giustifica un esito diverso del presente giudizio rispetto al precedente. Esso anzi allarga la platea di coloro che sono esclusi dalla possibilità di fruire degli alloggi ERP, e sono dunque trattati in maniera ingiustificatamente differenziata, in quanto la norma ligure penalizza, per essere privi del requisito, anche soggetti già residenti in regione e non solo quelli provenienti da altre regioni o dall'estero. Il Giudice delle leggi dichiara, quindi, costituzionalmente illegittima la disposizione censurata limitatamente alle parole “da almeno cinque anni", in quanto si pone in contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost., determinando una irragionevole disparità di trattamento rispetto a tutti i soggetti, stranieri o italiani che siano, privi del requisito previsto. La seconda questione sollevata (violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 29, paragrafo 1, della direttiva 2011/95/UE) resta assorbita.
Fonte: dirittoegiustizia.it |