Responsabilità del sindacato. Potere di disposizione dei diritti del lavoratore in assenza di specifico mandato. Mandato espresso, tacito e presunto

11 Maggio 2023

Il sindacato risponde dei danni subiti dal lavoratore iscritto, che non gli abbia conferito uno specifico incarico, se omette di informarlo dell'eventuale illegittimità di un provvedimento del datore di lavoro a lui sfavorevole e di curarne l'impugnazione?
Massima

In mancanza di un apposito mandato, conferito nei modi di legge, l'iscrizione del lavoratore a un'associazione sindacale non implica che questa sia tenuta a gestire una determinata vertenza d'interesse del singolo iscritto (nella specie, l'impugnazione dell'omessa rotazione dei lavoratori sottoposti a CIGS) e che, di conseguenza, sia civilmente responsabile per inadempimento degli obblighi di informazione e di attivazione a tutela dei diritti del lavoratore.

Il caso

Nel 2015 un lavoratore agiva in giudizio contro il proprio sindacato, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in ragione del dedotto inadempimento di obblighi di informazione e di contestazione in ordine al suo collocamento in cassa integrazione guadagni.

Sosteneva l'attore che, pur in difetto di formale conferimento, l'incarico di gestire la vertenza scaturiva direttamente dalla sua iscrizione all'organizzazione sindacale, rimasta all'opposto colpevolmente inerte.

L'adito Tribunale di Siracusa rigettava la domanda, accertando – in fatto – la mancanza di un apposito mandato ed escludendo – in diritto – ch'esso rientrasse nelle ordinarie attribuzioni del sindacato.

Il soccombente ha riproposto la sua tesi in sede di gravame, ma la Corte di appello di Catania con la sentenza che qui si commenta ha confermato la decisione impugnata, ribadendone gli enunciati.

Le questioni

L'adesione a un sindacato attribuisce ex se all'organizzazione, senza necessità di uno specifico mandato, la gestione delle vertenze che riguardano l'iscritto e la disponibilità delle situazioni individuali appartenenti alla sua sfera giuridica? E tale mandato, oltre che espresso o tacito, può essere presunto?

Le soluzioni giuridiche

Con la recentissima sentenza sopra riportata la Corte di appello di Catania ha disatteso la domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale proposta dal lavoratore nei confronti della propria associazione sindacale, cui questi imputava di non avere eseguito l'incarico di assisterlo nella gestione di una vertenza relativa alla sua sottoposizione alla procedura di CIGS e, al contempo, di non averlo informato dell'illegittimità dei provvedimenti dell'impresa e della possibilità di impugnarli.

La Corte si è basata sul decisivo rilievo dell'insussistenza di un rapporto di mandato professionale ad hoc che impegnasse il sindacato a prestare l'attività omessa.

La pretesa dell'appellante è stata del pari respinta sotto i subordinati aspetti di una dedotta responsabilità da contatto sociale e dell'applicazione dei principi in tema di gestione di affari.

“Il sindacato […] è un'organizzazione che nasce a tutela dell'interesse collettivo di tutti i lavoratori appartenenti allo stesso e non dell'interesse individuale del singolo (che, astrattamente, potrebbe anche essere confliggente con quello del gruppo), non potendosi, pertanto, desumere dalla mera iscrizione all'associazione sindacale e dal correlato versamento della quota associativa l'automatico obbligo di impugnativa di qualsivoglia provvedimento lesivo dei diritti di un singolo lavoratore, pur iscritto”.

Ad avviso della Corte, di conseguenza, la gestione di una o più vertenze determinate riguardanti il lavoratore presuppone necessariamente che al sindacato sia dato uno “specifico incarico”, nella fattispecie reputato insussistente, non risultandone documentato il conferimento né in forma scritta né in forma orale e non ricavandosene gli estremi aliunde dagli elementi di causa.

Osservazioni

1.- Focalizzando l'attenzione sulla sola questione principale formante oggetto del giudizio – e limitando l'indagine ai profili di diritto, lasciato opportunamente in disparte l'accertamento dei fatti – la pronuncia in questione merita di essere segnalata perché, da un lato, consente di riflettere sul contenuto dei poteri che l'adesione al sindacato attribuisce all'organizzazione in tema di disponibilità delle situazioni individuali degli iscritti e, dall'altro, porta a riprendere, evidenziandone la perdurante attualità, le problematiche inerenti alla categoria civilistica classica del contratto di mandato e alle relative modalità costitutive.

2.- A sostegno delle sue affermazioni la Corte etnea evoca due precedenti di merito che, pur giungendo negli specifici casi esaminati a esiti diversi da quelli sanciti dalla decisione in esame, ne condividono l'assunto di fondo circa la delimitazione dei poteri del sindacato.

Il primo è rappresentato da una sentenza del Tribunale di Torino del 10 dicembre 2013 (in www.studiocerbone.com), che accoglie sì la domanda di risarcimento del danno avanzata da alcuni operai contro la propria organizzazione sindacale per tardiva impugnazione stragiudiziale del loro licenziamento, ma muovendo dall'accertamento di fatto del conferimento allo scopo di uno specifico mandato, reputato dal Tribunale indispensabile, in quanto il solo capace di ampliare lo spettro dei poteri spettanti al sindacato, tra i quali istituzionalmente non rientra la gestione delle specifiche vertenze individuali e, segnatamente, l'impugnazione del licenziamento.

Il secondo precedente è dato da un'analoga decisione del Tribunale di Venezia del 17 aprile 2014 (in www.altalex.com), che condanna anch'esso un'associazione sindacale per inadempimento del mandato, appositamente conferitole dal lavoratore iscritto allo scopo di impugnare il licenziamento intimatogli dal datore di lavoro.

3.- Sebbene il terreno sul quale si muovono queste due pronunce e quella in rassegna, il campo cioè della responsabilità civile nascente da inadempimento contrattuale, sia originale, l'enunciato che ne costituisce il supporto argomentativo non è affatto nuovo né in giurisprudenza né in dottrina.

E' orientamento costante della Corte di Cassazione, infatti, che nell'adesione al sindacato sia insito l'intento del lavoratore di rinunziare all'esercizio della propria autonomia individuale in favore della collettività dei lavoratori, consentendo alle organizzazioni di categoria di fissare condizioni minime di lavoro di natura inderogabile, di migliorare i livelli contrattuali e di fornire assistenza agli iscritti.

Nella suddetta adesione non è, invece, ravvisabile la volontà di attribuire la piena disponibilità di posizioni individuali alle organizzazioni sindacali che, pertanto, non possono dismettere tali diritti acquisiti al patrimonio dei singoli lavoratori, né comunque disporne, salvo il caso in cui gliene sia conferito uno specifico preventivo mandato o che intervenga una posteriore ratifica, anche per fatti concludenti (v., negli esatti termini, Cass. n. 2362 del 7 febbraio 2004).

In particolare, nella giurisprudenza del giudice di legittimità il principio si trova costantemente affermato con riguardo agli accordi che siano stipulati da sindacati dei lavoratori e datore di lavoro ai fini della sospensione dell'obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e di corrispondere la relativa retribuzione (v., ex plurimis, Cass. n. 18053 del 24 agosto 2007).

Ribadisce il S.C. che l'efficacia di tali accordi è subordinata al consenso dei singoli lavoratori interessati, che abbiano a tal fine conferito un apposito incarico alle organizzazioni sindacali o che, se non altro, lo ratifichino ex post, trattandosi di accordi che incidono sulla disciplina dei contratti individuali di lavoro e sui diritti di cui i singoli sono titolari, dei quali il sindacato non è abilitato a disporre in forza della mera iscrizione.

Allo stesso modo la Cassazione esclude che, in difetto di specifico mandato, il contratto collettivo possa pregiudicare i diritti soggettivi acquisiti dai lavoratori pensionati, salva l'accettazione o la ratifica degli interessati (v. Cass. n. 4219 del 7 aprile 1982, ove la puntualizzazione che costoro ben possono disporre mediante transazione o rinuncia, nei limiti segnati dall'art. 2113 c.c., dei diritti già acquisiti al loro patrimonio, essendo inapplicabile riguardo a detto trattamento di fonte negoziale la previsione di nullità di cui all'art. 2115 c.c., che è relativa a forme di previdenza obbligatoria).

Come si vede, la prospettiva in cui si collocano tali arresti è opposta a quella che viene in considerazione leggendo la pronuncia in commento: lì si tratta di iniziative del sindacato, che se assunte in assenza di specifico mandato (o ratifica) sono giudicate inefficaci, qui al contrario di inerzia del sindacato, che si esclude possa diventare fonte di responsabilità.

Il principio è però il medesimo e regge persuasivamente entrambe le conclusioni, derivando la sua attitudine a fungere da fondamento così dell'indirizzo della Cassazione come della sentenza della Corte di appello di Catania (e delle altre ivi richiamate) da una corretta riflessione sui limiti del potere di azione, che il lavoratore attribuisce al sindacato attraverso l'iscrizione e che di regola, in mancanza di un quid pluris, rappresentato da una particolare manifestazione di volontà, preventiva o successiva, non implica la gestione delle proprie posizioni individuali.

4.- Anche in dottrina si è discusso della possibilità di configurare una legittimazione negoziale del sindacato nascente non già da una delega dei lavoratori, ma dal ruolo e dalla natura dell'organizzazione stessa.

La questione rinvia a quella, ancora più generale, della natura della rappresentanza sindacale e della titolarità, originaria o derivata, dei poteri sindacali.

In proposito alcuni autori ritengono che il fondamento di detti poteri vada rinvenuto nella volontà del singolo lavoratore, implicitamente manifestata al momento dell'adesione e valida fino al recesso, mentre altri ravvisano nel primo comma dell'art. 39 Cost. la fonte normativa della capacità negoziale del sindacato in ordine alla gestione dei rapporti di lavoro, ritenendo che la Costituzione attribuisca tale potere all'organizzazione iure proprio, a prescindere quindi da un'investitura dei singoli.

Si concorda, invece, quanto ai limiti e all'oggetto della rappresentanza sindacale, nel senso di escludere ch'essa, a differenza della rappresentanza di diritto privato, implichi una facoltà dispositiva intesa come potere del sindacato di rimuovere o modificare le posizioni di diritto soggettivo dei lavoratori.

Questa, invero, si caratterizza per l'attività di tutela degli interessi collettivi dei quali il sindacato è titolare, la cui funzione rappresentativa non riguarda pertanto gli interessi individuali, né a fortiori i diritti soggettivi del lavoratore, per la tutela dei quali la dottrina pressoché unanime richiede, come la giurisprudenza sopra esaminata, che l'interessato conferisca un mandato apposito all'organizzazione sindacale o ne ratifichi ex post l'operato o ancora vi presti acquiescenza.

È quindi possibile che al rapporto di rappresentanza sindacale si affianchi un ordinario rapporto di mandato, di natura privatistica, per la tutela di specifici diritti del lavoratore. Il che, peraltro, genera il delicato problema di distinguere, nei casi concreti, gli interessi esclusivi del lavoratore, che rientrano nella sua sfera giuridica individuale, da quelli collettivi che legittimano invece l'intervento autonomo dell'organizzazione.

Occorre poi ricordare che in genere, in assenza di una legge di attuazione del citato art. 39 Cost., l'ordinamento interno e l'amministrazione del sindacato, quale associazione non riconosciuta, secondo alcuni di “diritto speciale”, nonché la disciplina dei rapporti tra lo stesso e gli iscritti, sono integralmente rimessi agli accordi degli associati, ai sensi dell'art. 36, comma 1, c.c., e quindi agli statuti e ai regolamenti.

Il legislatore, infatti, si occupa solo della disciplina dei rapporti tra l'associazione e i terzi. Si ritiene comunque che possano estendersi all'associazione non riconosciuta i principi dettati dal codice in materia di associazione riconosciuta che non presuppongano l'avvenuto riconoscimento.

5.- In tutte le sentenze e le opinioni dottrinali sopra rammentate è costante il riferimento al mandato, sostenendosi che soltanto uno specifico incarico, appositamente conferito dal lavoratore, amplia la sfera dei poteri operativi dell'organizzazione sindacale, comportando per questa la possibilità di stipulare accordi dispositivi dei diritti individuali dell'iscritto, ma a un tempo il dovere di attivarsi per la tutela di tali diritti.

È altresì ricorrente la precisazione che non occorre che il mandato sia espresso, potendo essere manifestato anche in modo tacito, per fatti concludenti.

In merito vale la pena osservare che, alla stregua della definizione datane dall'art. 1703 c.c., il mandato è un contatto che implica il compimento, da parte del mandatario, di uno o più atti giuridici, anche non negoziali, per conto e in funzione del soddisfacimento dell'interesse del mandante.

La natura contrattuale comporta che il mandato poggi su un accordo tra le parti, il consenso costituendo elemento essenziale, non surrogabile da meri comportamenti di fatto, che semmai potranno rilevare come fatti concludenti, se univocamente espressivi della volontà dei contraenti.

Al riguardo, invero, non si dubita né in dottrina né in giurisprudenza (per la quale ultima si può vedere ex professo Cass. n. 171 del 28 gennaio 1970, in Rass. Avv. Stato, 1970, 553) che il mandato possa essere non solo espresso – al qual fine non occorrono formule sacramentali, quanto una chiara manifestazione di volontà della parte che investe l'altra del potere di agire giuridicamente per suo conto e dell'accettazione di questa – ma anche tacito.

A integrare un mandato tacito è necessario e sufficiente che da una parte e dall'altra sia posta in essere un'attività concreta, dalla quale emerga senza margini di dubbio il raggiungimento dell'intesa di dare e accettare l'incarico. Accettazione che può desumersi pure dalla diretta esecuzione dell'incarico da parte del mandatario, qualora ciò sia consentito dalla natura dell'affare o dagli usi (e salvo l'onere di avvisare il mandante dell'inizio di esecuzione ex art. 1327 c.c.).

È il principio generale di libertà delle forme che consente di ammettere la configurabilità del mandato tacito, per cui, ove non sia prescritta una particolare modalità espressiva del consenso – vuoi ad substantiam, vuoi ad probationem – sarà possibile concludere il contratto di mandato anche per comportamenti concludenti.

È questo il caso di specie, dal momento che nella materia giuslavoristica in questione non sono prescritte forme solenni, che ostino all'ammissione di un mandato tacito.

6.- Altra cosa è il mandato presunto.

Risale a oltre settant'anni or sono l'affermazione di un'autorevole dottrina, secondo cui «non può bastare a dar vita a un mandato il mero comportamento del mandatario, di fronte al quale il mandante resti affatto inerte: a meno che il contegno silenzioso del mandante, per il concorso di date circostanze, non possa assumere il valore di univoca dichiarazione di volontà. Ma, se ciò non si verifichi, non può aversi mandato: parlar qui, come talora si è fatto, di mandato presunto, non è che indulgere – inconsapevolmente, ma non meno colpevolmente – a un procedimento di “schietta finzione”».

Si tratta in verità di una categoria datata, elaborata in passato, in specie sotto il vigore dell'abrogato codice civile, con riguardo prevalentemente ad ambiti familiari o societari, in cui la prassi delle relazioni interne poteva indurre a pensare, a presumere per l'appunto, che una certa attività giuridica si fosse compiuta per volere dell'interessato, sul quale venivano a riversarsi gli effetti dell'attività stessa.

In particolare, con riguardo alla vecchia struttura della famiglia patriarcale, da taluni settori della dottrina si faceva riferimento alla figura del mandato presunto per dare supporto giuridico al ritenuto obbligo del marito, proprio in quanto mandante, di pagare i debiti contratti dalla moglie per le esigenze domestiche, se e nella misura in cui non superassero la soglia della normalità rispetto alla posizione sociale della famiglia. Posto che di solito la moglie, col consenso del marito, ha la gestione della casa, si può presumere – si sosteneva – che essa abbia ricevuto dal marito, tenuto al mantenimento di coniuge e figli, il potere di compiere negozi giuridici e contrarre obbligazioni di cui egli debba rispondere.

Già allora, tuttavia, non mancava il contrario parere di chi faceva notare come il mandato sia un contratto, ragion per cui il consenso non può mancare per essere sostituito da una consuetudine, da una prassi, prescindendo dal riscontro di un'effettiva, e non semplicemente immaginata, volontà costitutiva, sia pure risultante da comportamenti concludenti.

Anche la giurisprudenza era generalmente ostile all'idea del mandato presunto, rilevando che «il mandato non si presume, essendo necessario che esso sia posto in essere da un'inequivocabile manifestazione di volontà delle parti, volontà che può essere peraltro desumibile anche dalla sua incompatibilità con un comportamento contrario» (cfr. Cass. n. 1406 del 25 maggio 1942, reperibile su www.italgiure.giustizia.it).

Quest'opinione ha finito nel tempo per imporsi, talché è ormai generalizzata la tesi che nega la configurabilità del mandato presunto, escludendosi che si possa riscontrare un mandato laddove manchi la possibilità di rintracciare l'intento del mandante, comunque manifestato, di conferire al mandatario l'incarico di agire giuridicamente per suo conto.

7.- Applicando questi principi al tema che forma oggetto della pronuncia in rassegna si può concludere che:

a) l'adesione a un sindacato di per sé non gli attribuisce la gestione delle vertenze individuali riguardanti l'iscritto e la disponibilità delle situazioni soggettive appartenenti alla sua sfera giuridica;

b) allo scopo è indispensabile uno specifico mandato del lavoratore, ampliativo dell'ordinaria rappresentanza negoziale dell'organizzazione sindacale;

c) tale mandato può essere espresso sia in forma scritta sia in forma orale e può essere conferito anche in modo tacito, cioè con un comportamento concludente;

d) esso non può invece essere soltanto presunto, nel senso di ritenere che sia insito nella mera iscrizione del lavoratore all'organizzazione in ragione della prassi dei rapporti sindacali e delle iniziative solitamente assunte dai sindacati a tutela degli iscritti.

Poiché peraltro, come sopra si è avvertito, è possibile che al rapporto di rappresentanza sindacale si affianchi un ordinario rapporto di mandato, di natura privatistica, per la tutela di specifici diritti del lavoratore, è questione di fatto, da risolvere caso per caso (e nella specie risolta con accertamento negativo dalla Corte d'appello di Catania), verificare se in concreto il lavoratore, sottoscrivendo la richiesta di iscrizione, non abbia manifestato adesione a uno statuto in ipotesi congegnato in modo da attribuire al sindacato l'incarico aggiuntivo di assistenza in specifiche vertenze individuali e di gestione di specifici suoi interessi e diritti soggettivi.

Riferimenti bibliografici

Sul fondamento, sul contenuto e i limiti della rappresentanza negoziale dei sindacati v. Amoroso - Di Cerbo - Maresca, Diritto del lavoro, I, Milano, 2009, 329, e altri autori ivi citati; Carinci, De Luca Tamajo, Tosi e Treu, Diritto del lavoro, 1, Il diritto sindacale, Torino, 2020, 88; Romagnoli, Associazioni, V, Associazioni sindacali, III, Roma, 1988.

Sul tema della responsabilità contrattuale dei sindacati, oltre ai predetti, v. G. Santoro Passarelli, La responsabilità delle organizzazioni sindacali, in Riv. it. sc. giur., 3 - 2012, 357.

Sul mandato tacito e presunto v. Alcaro, Il mandato, Milano, 2000; Bavetta, Mandato (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XXV, Milano, 1975, 321; Di Rosa, Il mandato, t. I, Art. 1703-1709, in Commentario del codice civile diretto da Schlesinger, Milano, 2012 ; Dominedò, Mandato (diritto civile), in Novissimo Digesto italiano, X, Torino, 1964, 108; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, 1149; Luminoso, Il mandato, Torino, 2000, 16; Marvasi, Inadempienze e risarcimento danni nel mandato, Milano, 2013, 139; Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato diritto civile italiano diretto da Vassalli, VIII, t. 1, Torino 1952, 25 (da cui è ripreso il passo tra virgolette trascritto all'inizio del punto 6 delle superiori Osservazioni); Santagata, Del Mandato, Disposizioni generali, Art. 1703-1709, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1985, 110.

Quanto alla giurisprudenza, gli arresti più pertinenti con i temi esaminati sono stati citati nel testo.

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