Il contratto a termine e l'autonomia collettiva nel Decreto lavoro. Prime considerazioniFonte: DL 4 maggio 2023 n. 48
12 Maggio 2023
Premessa
Con l'art. 24 del D.l. 4 maggio 2023, n. 48, entrato in vigore il 5 maggio 2023, sono state apportate delle modifiche alla disciplina del contratto a termine “variando le causali che possono essere indicate nei contratti di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi (comprese le proroghe e i rinnovi), per consentire un uso più flessibile di tale tipologia contrattuale, mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva europea sulla prevenzione degli abusi” (1).
Pertanto, i contratti potranno avere durata superiore ai 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi (2); b) per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2024; c) per sostituire altri lavoratori.
La dizione dell'art. 24 richiama alla mente l'art. 23 della legge n. 56/1987.
Ma i contesti (e le funzioni) delle due disposizioni sono profondamente diversi
Il legislatore, con l'art. 23 della l. n. 56/1987, aveva “liberalizzato” (3) la stipula del contratto a termine consentendo alla contrattazione, in aggiunta alle ipotesi previste dalla legge o “autorizzate” dall'autorità amministrativa (4), di individuare ulteriori ipotesi per l'apposizione del termine nel contratto di lavoro.
Una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, come si legge nella sentenza, a sezioni unite, n. 4588/2006 (5), che “conferiva all'autonomia sindacale poteri di indubbia e penetrante incisività in materia di flessibilità dei rapporti lavorativi”.
La funzione dell'autonomia collettiva, nell'ambito del Decreto lavoro, è completamente diversa.
La ratio dell'intervento del Decreto lavoro è quello di consentire la durata del contratto a termine (comprese le proroghe e i rinnovi) oltre i 12 mesi e fino ai 24 mesi (6) senza incorrere nella tagliola delle c.d. “causali impossibili” (7) individuate nel primo comma dell'art. 19 del d.lgs. n. 81/2015.
Il primo comma dell'art. 19 del d.lgs. n. 81/2015 prevedeva che la durata di un contratto a termine, superiore a dodici mesi e comunque non eccedente i ventiquattro mesi, poteva essere ammessa “solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria; b-bis) specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all'art. 51 (8).
Per ottenere tale risultato, il Legislatore ha posto in essere due misure.
1) ha eliminato le prime due condizioni (lett. a) (9) e b); 2) ha sostituito la terza condizione (lettera b-bis) con una dizione più generica (“casi previsti dai contratti collettivi”) eliminando la necessità di individuare “specifiche esigenze” (dizione contenuta nel primo comma dell'art. 19 del d.lgs. n. 81/2015).
Una modifica importante che presenta molteplici profili problematici.
Ne esaminiamo alcuni. I soggetti sindacali legittimati alla stipula dei contratti collettivi ed il livello della contrattazione collettiva
Da questo punto di vista, la lettera a) del primo comma dell'art. 24 del d.l. n. 48/2023 rinvia ai “contratti collettivi di cui all'art. 51” (del d.lgs. n. 81/2015).
L'art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 prevede che: “Salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi stipulati dalle loro rappresentanza sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”.
Una norma “di chiusura nel sistema delle fonti” (10), com'è stata definita, che equipara i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali (11).
Il riferimento al livello aziendale è prezioso, al di là dei dubbi sollevati (12), per la possibilità di modulare l'intervento sindacale sulla base delle esigenze che emergono a livello aziendale.
I soggetti legittimati sono le “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e le rispettive RSA e RSU.
E' onere del datore di lavoro provare il carattere comparativamente più rappresentativo dei sindacati che hanno sottoscritto il contratto collettivo (13).
Legittimazione che fa sorgere i consueti problemi in ordine al dissenso tra sindacati comparativamente più rappresentativi e alla tematica della contrattazione “separata”.
In ordine alla individuazione della maggiore rappresentatività comparata occorre fare riferimento agli indici elaborati dalla giurisprudenza per la sussistenza della maggiore rappresentatività sindacale.
In particolare, occorre considerare la consistenza numerica degli associati, l'ampiezza e diffusione delle strutture organizzative, l'attività di autotutela svolta con caratteri di continuità e sistematicità, la partecipazione alla trattative sindacali e la stipulazione dei CCNL (14).
Si tratta di un criterio di legittimazione esclusiva.
Di conseguenza, a soggetti privi del requisito è inibito negoziare sulle materia delegate alla contrattazione collettiva (15).
Sull'efficacia soggettiva dei contratti collettivi “separati” la questione richiama un dibattito che si è accesso in ordine al rinnovo separato del CCNL del settore metalmeccanico, oggetto di svariate pronunce sul piano della repressione dell'attività antisindacale (16).
In questo contesto, il tema centrale è quello del significato del rinvio contenuto alla fonte collettiva nel contratto individuale.
Le opinioni, sul tema, sono diverse.
C'è chi sostiene che il dissenso individuale risulterebbe circoscritto all'ipotesi del mutamento dei soggetti collettivi stipulanti (17).
Secondo altra tes (18), che pone l'accento sui prodotti negoziali più che sui soggetti firmatari, l'operatività del rinvio al CCNL permane anche nell'ipotesi di contratti separati.
Altri (19) ancora sostengono che anche in costanza di rapporto di lavoro il lavoratore possa sempre recedere dalla clausola di rinvio.
La questione, probabilmente, troverà nuove occasioni di dibattito nel contesto in esame. Ove venga stipulato, nel contesto in esame, un contratto aziendale si pone il problema della sua efficacia.
È infatti costante nella giurisprudenza di legittimità (20) l'affermazione che l'efficacia generale degli accordi aziendali è tendenziale trovando un limite nell'espresso dissenso di lavoratori o associazioni sindacali.
Il loro dichiarato dissenso non inficia la validità dell'accordo, ma incide sull'efficacia, che perde il carattere della generalità.
La lacuna può essere colmata con il ricorso al contratto collettivo aziendale di prossimità che, appunto, ha “efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati”, ai sensi del 1 comma dell'art. 8 del d.l. n. 138/2011, come convertito e come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (21).
Si tratta di una norma “di carattere chiaramente eccezionale” (22) il cui spazio, secondo alcuni (23) potrebbe essere “assorbito” dalla disposizione in commento. A favore della tesi dell'assorbimento” (e, quindi, dell'efficacia erga omnes degli accordi aziendali in questione) si possono richiamare vari argomenti: a) l'unicità ed indivisibilità dell'interesse collettivo aziendale dei lavoratori stessi (24); b) la presunzione dell'attribuzione a favore delle organizzazioni stipulanti della funzione di rappresentare la generalità dei lavoratori (25); c) la presenza di una delega legislativa alla contrattazione collettiva che, implicitamente, assicurerebbe una efficacia erga omnes degli accordi aziendali. Ove non si condividano tali argomenti resta sempre praticabile il ricorso agli accordi di prossimità.
L'efficacia erga omnes dell'accordo, soprattutto nelle ipotesi di possibile superamento di crisi aziendali ed occupazionali (26), è certamente sostenibile nel rispetto, ovviamente, dei presupposti previsti nell'art. 8 del d.l. n. 138/2011.
La materia dei “contratti a termine” è espressamente prevista nella disposizione.
Il rispetto dei soggetti legittimati alla stipulazione e la sottoscrizione degli accordi sulla base di un criterio maggioritario dovrebbero assicurare la validità di questi accordi nella materia in esame (27). I contenuti della contrattazione collettiva ed i suoi limiti
Il Legislatore, nel decreto lavoro, ha attribuito una delega piena alla contrattazione collettiva.
Nell'art. 24 del d. l. n. 48/2023 si fa riferimento ai “casi previsti dai contratti collettivi”, senza fare più riferimento alle “specifiche esigenze” di cui parlava l'art. 19 lett. b-bis) del d.lgs. n. 81/2015 (28).
Naturalmente, ci sono dei limiti che gli accordi collettivi devono rispettare.
In primo luogo, la normativa europea.
La clausola 3 dell'Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999 n. 1999/70/CE del Consiglio, prevede che: “Ai fini del presente accordo, il termine lavoratore a tempo determinato, indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”.
Dunque, poiché il contratto a tempo indeterminato è la ordinaria fattispecie di rapporto di lavoro, il ricorso al contratto a termine (nel nostro caso, l'estensione della sua durata fino a 24 mesi) deve essere giustificato da “condizioni oggettive” (29).
Sulla base di queste coordinate si possono ipotizzare alcune ipotesi che possono legittimare la contrattazione collettiva (30) ad estendere la durata del contratto a termine (compreso di proroghe e rinnovi) fino ai 24 mesi.
In primo luogo, motivi che riprendono annosi contrasti giurisprudenziali, come la sostituzione di lavoratori assenti per ferie.
L'esigenza temporanea di sostituire personale assente per ferie può costituire una ragione oggettiva ai sensi della clausola 5 (31) dell'accordo quadro.
In secondo luogo, motivi che, con qualche differenza, riprendono ipotesi già previste nell'art. 19 del d.lgs. n. 81/2015 come quelle giustificate da esigenze temporanee, anche se non estranee all'ordinaria attività dell'impresa.
In terzo luogo, motivi che, non ricollegandosi ad ipotesi oggettive, legittimano la durata fino ai 24 mesi in base a criteri di carattere generale (“tutti lavoratori ultra ventinovenni”) (32).
Non occorre dimenticare, infatti, che una “delega in bianco” consente al sindacato di individuare ragioni di “tipo soggettivo” (33) per estendere la durata del contratto a termine, nel rispetto dei limiti di legge. I limiti quantitativi
Con l'art. 23 del d.lgs. n. 81/2015 sono stati posti dei limiti quantitativi all'assunzione di lavoratori a tempo determinato.
Al primo comma dell'art. 23 si legge che: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione”.
Il primo comma dell'art. 23 del d.lgs. n. 81/2015 fa salve diverse disposizioni dei contratti collettivi.
Dunque sulla base di una “deroga” disposta da un contratto collettivo di qualsiasi livello è possibile “diminuire o innalzare il limite quantitativo, riferire il limite a singole unità operative piuttosto che all'azienda nel suo complesso; riferire il calcolo al numero di lavoratori iscritti nel libro unico del lavoro all'atto della stipula dei singoli contratti a termine anziché al 1 gennaio” (34).
L'apposizione della percentuale, com'è reso palese dalla stessa dizione della disposizione, rappresenta un contenuto essenziale della fattispecie.
Malgrado ciò, in caso di violazione dei limiti quantitativi (previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva), resta “esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato” (ai sensi del 4 comma dell'art. 23), essendo il datore di lavoro tenuto al solo pagamento di una sanzione amministrativa (pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno; pari al 50% se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno).
Nel nuovo quadro normativo che emerge dal Decreto lavoro si pone, però, una delicata questione che possiamo riassumere nella seguente domanda.
Nell'ipotesi di violazione dei limiti quantitativi che si sia verificata nel periodo che va dal superamento dei 12 e fino ai 24 mesi è applicabile solo la sanzione amministrativa prevista dalla legge ovvero a tale sanzione si aggiunge una sanzione di tipo civilistico?
A favore di questa seconda soluzione militano alcuni argomenti.
In primo luogo, quello della lettera del primo comma dell'art. 23 d.lgs. n. 81/2015 che sembra limitare l'applicazione esclusiva della sanzione amministrativa alle sole violazione dell'onere percentuale che si sono verificate al momento “dell'assunzione”.
In secondo luogo, da ragioni di carattere sistematico che trovano sostegno nella ratio del nuovo provvedimento.
Ad una maggiore flessibilità dei rapporti a termine (assicurata dalla formulazioni di “causali” di fonte collettiva) per il periodo che va dai 12 ai 24 mesi dovrebbe corrispondere, come contrappeso, un maggiore rigore nelle sanzioni da applicare nel caso di violazioni di legge (o di contratto collettivo).
In altre parole, alla violazione dell'onere di percentuale che si è verificata nel periodo successivo ai 12 mesi della durata del contratto a termine (e fino alla scadenza dei 24 mesi) dovrebbe applicarsi (al di là della sanzione amministrazione) una sanzione civilistica (la trasformazione del contratto a termine in tempo indeterminato dalla data di superamento dei 12 mesi) per assicurare quel carattere di “dissuasività” della sanzione che la Corte di giustizia impone per evitare “abusi” nell'utilizzo del contratto a termine.
In questo contesto, ovviamente, si porrà il problema di identificare i lavoratori “eccedentari” che hanno diritto alla trasformazione del contratto (da tempo definito a tempo indeterminato) con l'applicazione di criteri cronologici o di altra natura in conformità ai principi di buona fede e correttezza.
Si tratta, ovviamente, di una mera ipotesi interpretativa che dovrà essere verificata nelle aule di giustizia. Note
(1) Si legge nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 32 del 1° maggio 2023.
(2) In questo contesto viene approfondito esclusivamente il ruolo della contrattazione collettiva nel Decreto lavoro.
(3) Sul tema, si veda, fin d'ora, G. RIGANO, Contratto a termine, in Il lavoro privato (a cura di G. AMOROSO-V. DI CERBO- A MARESCA), Milano 2022, p. 986, al quale si rinvia per l'analisi, nel tempo, del ruolo della autonomia collettiva in tema di contratto a termine.
(4) M. D'ANTONA, I contratti a termine, in Aa.Vv., Il diritto del lavoro negli anni '80, Milano, 1988, p. 111; R. COSIO, I contratti a termine tra flessibilità amministrativa e flessibilità contrattate, Riv. giur. lav., 1989, I, 5-6, 501 ss.
(5) Cass., S.U., 2 marzo 2006, n. 4588, Lav. giur., 2006, p. 781, con nota di P. NODARI.
(6) In caso di superamento dei 24 mesi, ai sensi del comma 2 del D.lgs. n. 81/2015, il contratto a termine si “trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi”. Raggiunto il limite dei 24 mesi le parti possono stipulare un ulteriore, successivo, contratto a termine, della durata massima di 12 mesi, purché ciò avvenga presso la ITL competente e con l'assistenza di un rappresentante delle O.O.S.S. comparativamente rappresentative a livello nazionale.
(7) Sul tema si veda L. FAILLA , Contratto a tempo determinato: un annunciato ritorno alle causali. Con tante difficoltà, www.Ipsoa Quotidiano, 29 aprile 2023.
(8) Tale ultima condizione è stata introdotta a seguito della modifica prevista dall'art. 41-bis della legge n. 106/2021.
(9) Naturalmente, la possibilità della durata fino ai 24 mesi rimane, ai sensi della lettera b-bis dell'art. 24 del d.l n. 48/2023 nei casi di “sostituzione di altri lavoratori”.
(10) S. MAINARDI, Le relazioni collettive nel nuovo diritto del lavoro, in Aa.Vv., Legge e contrattazione collettivo nel diritto del lavoro post-statutario, Milano, 2017, 181 ss.
(11) P. BELLOCCHI, Libertà sindacale e autonomia collettiva, in Il lavoro privato (a cura di G. AMOROSO-V. DI CERBO- A MARESCA), Milano 2022, p. 257.
(12) M. MENEGOTTO, Contratti a termine: più fiducia nella contrattazione, Bollettino speciale Adapt 4 maggio 2023, n. 2.
(13) Da ultimo si veda Trib. Bologna, 4 aprile 2023, causa RG. n. 738/2021.
(14) S. SCARPONI, Rappresentatività e organizzazione sindacale, Padova, 2005, 122 ss.
(15) Sulla questione del CCNL rider sottoscritto da UGL si veda Trib. Bologna 30 giugno 2021.
(16) Sul tema si rinvia a P. BELLOCCHI, Libertà sindacale e autonomia collettiva, cit., 264.
(17) G. SANTORO PASSARELLI, Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio, in Riv. it. dir. lav., 2010, I, 487.
(18) A MARESCA, Accordi collettivi separati tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, Riv. it. dir. lav., 2010, I, 29 ss.
(19) S.P. EMILIANI L'efficacia delle clausole di rinvio al contratto collettivo alla luce del protocollo d'intesa del 31 maggio 2013, in M. BARBERA-A. PERULLI (a cura di) Consenso, dissenso, rappresentanza: le nuove relazioni industriali., Padova, 2014., 223 ss.
(20) Cass. sentenze 2 novembre 2021, n. 31201, 15 novembre 2017, n. 27115, 18 aprile 2012, n. 6044, 28 maggio 2004, n. 10353.
(21) Cass. Ordinanze 10 novembre 2021 n. 33131 e 15 giugno 2021, n. 16917.
(22) Cfr. Corte cost. n. 221/2012. Sul tema si veda, di recente, Corte cost. 28 marzo 2023, n. 52.
(23) M. TIRABOSCHI, lavoro a termine e certificazioni delle causali davvero una buona soluzione?, Bollettino Adapt, 26 aprile 2023, n. 16.
(24) Cass. 28 maggio 2004, n. 10353, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, con nota di BOLLANI.
(25) Cass. 2 marzo 1988, n. 6695. Sul tema si veda G. PROIA, Contratto collettivo aziendale (di. Lav.), in Diritto on line, 2015.
(26) Sul tema si veda Cass. sentenza n. 16917/2021.
(27) G. SANTORO PASSARELLI, Il contratto aziendale in deroga, WP-CSDLE, 2015, n. 254.
(28) Sul tema si veda A MARESCA, Contratti a termine: oltre il Decreto dignità, in www.consulentidellavoro.tv, 2023.
(29) Lo ricorda la recente Ordinanza della Suprema Corte del 27 aprile 2023, n. 11037 che ha rinviato alla Corte di giustizia una questione di contratti a termine (ritenuti illegittimi) intercorsi con il Ministero della Difesa.
(30) Sul tema si veda S. BAGHIN, Contratti a termine e causali: come cambia il ruolo per la contrattazione collettiva, in Ipsoa Quotidiano, 9 maggio 2023.
(31) Sul tema si veda CGUE sentenza 22 giugno 2011, C- 161/11.
(32) Sul tema si veda, in altro contesto, R. COSIO, I contratti a termine tra flessibilità amministrativa e flessibilità contrattate, cit., 510.
(33) Sul tema si veda Cass. S.U., 2 marzo 2006, n. 4588.
(34) Cfr. G. RIGANO, Contratto a termine, cit., 997. |