Legittimazione attiva dell'a.d.s. nel giudizio di separazione personale a tutela della libertà personale del disabile
15 Maggio 2023
Massima
Sussiste legittimazione attiva dell'amministratore di sostegno a promuovere giudizio di separazione personale in nome e per conto del beneficiario. Il caso
L'amministratrice di sostegno di una beneficiaria ha avanzato ricorso per separazione personale in nome e per conto della stessa, dopo avere conseguito autorizzazione del g.t., con richiesta di pronunzia di addebito a carico del marito, che aveva abbandonato la casa coniugale rendendosi irreperibile e disinteressandosi completamente del proprio nucleo familiare. Pronunziati i provvedimenti presidenziali, con autorizzazione dei coniugi a vivere separati con obbligo di mutuo rispetto, e fissazione di un contributo per il mantenimento della prole, la causa è stata posta in decisione. Il Tribunale, dopo avere effettuato un excursus in ordine alla sperimentabilità di separazione e divorzio da parte del tutore per conto dell'interdetto, ha applicato i principi di cui in massima in ipotesi di giudizio di separazione promossa dall'a.d.s. in luogo del beneficiario, ritenendo la legittimazione attiva in capo all'amministratore di sostegno. La questione
La questione affrontata dal Tribunale concerne l'ammissibilità in capo all'amministratore di sostegno della possibilità di rappresentare, anche in sede di giudizio di separazione, il beneficiario che intenda separarsi, seppur l'atto rientri nella categoria di quelli personalissimi. Le soluzioni giuridiche
Alla questione, il Tribunale fornisce risposta senza dubbio positiva, affermando la legittimazione attiva in capo all'amministratore di sostegno a cui il g.t. abbia conferito i necessari poteri ex art. 405 c.c. Osservazioni
I. La capacità processuale è riconosciuta a quanti “hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere” (art. 75, comma 1, c.p.c.). In difetto della capacità di agire, le persone possono stare in giudizio “rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità” (art. 75, capoverso, c.p.c.). In materia divorzile, con riguardo all'interdetto giudiziale che venisse convenuto in giudizio, è prevista la nominato del curatore speciale (art. 4, comma, 5, l. div.). Inizialmente, la Cassazione legittimò l'interdetto ad agire in giudizio, in qualità di attore, tramite curatore speciale (Cass. civ. 21 luglio 2000, n. 9582, pronunzia richiamata dalla decisione che si annota), estendendo analogicamente il tenore della previsione normativa divorzile, che letteralmente richiama la posizione dell'interdetto, laddove lo stesso sia convenuto in giudizio. Diversa è la situazione in cui versa la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno. In tal caso il discorso è diversificato, dato che il beneficiario di a.d.s. “conserva capacità di agire” con riguardo ai profili che non siano stati ablati dal decreto del g.t. ex art. 405 c.c. (art. 409, primo comma, c.c.) Consegue che il disabile potrebbe agire in giudizio autonomamente a tutela dei propri diritti soggettivi; ovvero, quando sia previsto in decreto e l'a.d.s. ritenga necessario promuovere un giudizio nel suo interesse, egli stesso potrebbe agire in sua vece, previa autorizzazione del g.t., al riguardo ritenendo non necessaria la nomina della figura del curatore speciale (dell'interdetto, come prevede la disciplina divorzile). II. In tempi recenti, un importante posizione dottrinale (Anelli, 285-287) riteneva inammissibile il conferimento di delega al rappresentante del disabile con riguardo a profili, decisioni e scelte afferenti la sfera personalissima della sua vita, in particolare tema di separazione e divorzio. La posizione trovava giustificazione alla stregua della tradizionale impostazione che esclude la delega a terzi per compiere atti c.d. personalissimi (quali, testamento e matrimonio: Santoro Passarelli, 25), atti che, letteralmente sono, appunto, indelegabili ad altri. Negata la legittimazione dell'amministratore di sostegno per compiere tali atti in sostituzione del beneficiario, autorevolmente si ritiene che unicamente a quest'ultimo sarebbe riconosciuta la libertà di decidere le sorti del proprio rapporto di coniugio, anche perchè la nuova forma di protezione civilistica conserva la capacità matrimoniale in capo al medesimo beneficiario (Bonilini, 479-480). In diversa prospettiva ricostruttiva si è posto il formante giurisprudenziale inaugurato sotto la l. n. 6 del 2004, nel quale anche il Tribunale di Frosinone si colloca. In particolare, la giurisprudenza di merito, a partire da due pronunzie “sorelle” del Tribunale di Modena (Trib. Modena 25 e 26 ottobre 2007, press. Stanzani e Rovatti), ha giudicato ammissibile ed accolto la domanda di divorzio congiunto presentata dall'amministratore di sostegno in luogo della parte incapace. Argomentando che la sostituzione di quest'ultimo nel compimento degli atti inerenti alla vita familiare, di dissoluzione del vincolo coniugale, permette di valorizzare la personalità del disabile anche nelle scelte di vita più personali, pena altrimenti la lesione dei suoi diritti fondamentali, attraverso i quali si esplica la sua personalità; con susseguente emarginazione della persona dall'esercizio di diritti umani fondamentali e conseguente esclusione dal consorzio umano. Dato che si è chiarito (da parte del primo giudicato geminiano): “sposarsi, separarsi, divorziare rappresentano probabilmente gli atti con cui massimamente si esplica e si sviluppa in pieno la personalità umana che la Repubblica si è incaricata di promuovere, rimuovendone gli ostacoli (art. 2 Cost.)”. Questo alto obiettivo si iscrive nell'alveo della protezione della cura personae del disabile, che costituisce il “cuore” della nuova protezione personalizzata ed individualizzata, maggiormente attenta ai profili personali ed esistenziali del disabile, piuttosto che a quelli tradizionali di carattere prettamente patrimoniale, massimamente tutelati da interdizione ed inabilitazione in un'ottica economicistica che invera di sè il testo originario del codice civile. Come è stato efficacemente notato, la giurisprudenza ha compreso che “l'indisgiungibilità tra titolarità ed esercizio del diritto andava infranta al fine di assicurare al disabile l'esercizio effettivo di diritti irrinunciabili, quali, appunto, quella separazione ed il divorzio” (R. Rossi, 41). In quest'ottica solo di recente si è usciti dal circolo vizioso creato dalla categoria degli atti personalissimi, nell'ottica di tutelare in modo sostanziale ed effettivo i diritti fondamentalidel disabile. Questi principi si sono affermati nella giurisprudenza di merito, con riguardo alla riconosciuta legittimazione attiva dell''a.d.s in funzione rappresentativa del beneficiario quando egli intenda separarsi o divorziare dal coniuge (oltre alle pronunzie modenese, Trib. Pinerolo 13 dicembre 2005, in personaedanno; Trib. Bologna, sez. Imola, 2 gennaio 2006, ivi; Trib. Catania 15 gennaio 2015, in IUS Famiglie (ius.giuffrefl.it), 12 maggio), come ha ribadito la pronunzia epigrafata. III. Da questo univoco quadro interpretativo emerge che la giurisprudenza pretoria ammette la sostituzione rappresentativa in capo all'a.d.s. (previo conferimento del relativo potere da parte del g.t. tramite decreto ex art. 405 c.c.) anche per l'esercizio di diritti personalissimi, in luogo ed in sostituzione del disabile. Altrimenti, assai significativa forma di esplicazione esistenziale della persona disabile, consistente nella possibilità di vivere la propria esistenza libera da vincoli nascenti da matrimonio (ritenuto ormai intollerabile) sarebbe preclusa, con buona pace per la tutela di diritti costituzionali fondamentali e non negoziabili (art. 2 Cost.). L'interpretazione formalistica tradizionale determinerebbe, nel caso del disabile che intenda liberarsi da un vincolo di coniugio insopportabile, un effetto perverso, si tratterebbe di “una risposta scopertamente pilatesca” (R. Rossi, 289), precludendogli l'esercizio, appunto, di un fondamentale diritto di libertà, in tal modo emarginandolo dal consorzio civile. D'altro canto, “liberarsi da un'unione coniugale ormai insostenibile è atto che rientra con maggior dignità nell'ambito della cura personae, ossia di salvaguarda della salute psico-fisica della stessa e la legge certamente valorizza tali poteri in capo all'ads, di talchè la stessa non può essere interpretata in modo difforme dagli scopi che si prefigge”. In tempi recenti, il principio della tutela in modo sostanziale dei diritti di matrice familiare di cui è titolare il disabile, tramite se del caso sostituzione rappresentativa, ha fatto breccia nella giurisprudenza di legittimità. Prima la S.C. lo ha affermato con riguardo all'ammissibilità per il tutore di presentare domanda di separazione giudiziale per l'interdetto (Cass. civ. 6 giugno 2018, n. 14669, pure richiamata dalla decisione in epigrafe). Poi, un'ulteriore recente giudicato ha garantito continuità di effetti al principio, estendendone l'ambito applicativo a tutte le misure di protezione, quindi anche con riferimento alla sostituzione rappresentativa ad opera dell'a.d.s., relativamente alla domanda di separazione giudiziale riguardante il beneficiario: “sussiste legittimazione attiva del beneficiario di a.d.s., tramite il proprio amministratore di sostegno, a promuovere giudizio di separazione personale, senza necessità di nomina di curatore speciale per lo svolgimento di detto giudizio” (Cass. civ. 14 marzo 2022, n. 8247, massima non ufficiale). Da quanto precede, emerge che in materia di protezione dei disabili, il principio di indelegabilità a terzi degli atti personalissimi non rappresenta più un tabù, perchè anzi trova deroga in tema di protezione dei medesimi, in ottica di protezione e per garantire esplicazione della loro personalità individuale. Il principio è ormai ben fermo a livello pretorio, come evidenzia la pronunzia in epigrafe e si è affermato nella nomofilachia. Il prinicipio si rivela conforme alla ratio legis che presiede al sistema di protezione personalizzata volto alla cura personae e si fa apprezzare in quanto in alcun modo emargina il disabile, dato che anzi, meritoriamente, tende ad accomunarlo, anche sotto il profilo della vita familiare, a chi disabile non è, nel pieno rispetto del principio di eguaglianza. Riferimenti
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