Liquidazione delle spese di giudizio: inderogabili per il giudice tributario i minimi tariffari
16 Maggio 2023
Premessa
Si tratta, di una pronuncia con la quale i Supremi Giudici hanno fatto chiarezza in ordine alla applicazione dei “criteri di parametrazione” che il Giudicante dovrà necessariamente adottare nella quantificazione delle spese di lite e degli onorari in mancanza di una convenzione espressa delle parti in giudizio. Gli Ermellini hanno puntualizzato l'inderogabilità dei minimi tariffari così come previsti dal D.M. del 2018 nel caso in cui spetti al Collegio quantificare le spese del giudizio.
Riscossione di sanzioni per violazioni al codice della strada
Il Tribunale di Roma annullava una cartella di pagamento emessa per la riscossione di sanzioni per violazioni al codice della strada. Nella quantificazione delle spese di lite il giudice adito decideva liquidando l'importo di € 400,00 per il primo grado ed € 500,00 per il giudizio di appello attivato in sede di gravame, oltre ad € 147,00 per il contributo unificato.
La sentenza di appello depositata in sede di gravame veniva impugnata in Cassazione con specifico riferimento al criterio di quantificazione che il giudicante aveva adottato per la liquidazione delle spese di lite. L'AdER subentrata ad Equitalia Servizi Spa restava intimata. La causa, inizialmente avviata alla trattazione camerale veniva successivamente rimessa in pubblica udienza.
Secondo parte ricorrente la sentenza avrebbe liquidato, a titolo di spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, importi inferiori ai minimi tabellari senza peraltro procedere per ciascun grado di causa ad una quantificazione per fasi. Pertanto, il ricorso introduttivo posto al vaglio dei giudici di cassazione si è incentrato sulla derogabilità o meno dei valori tabellari minimi così fissati per ciascuna fase processuale dal nuovo testo del D.M. n. 55/2014, art. 4, comma 1 così come modificato dal D.M. n. 37/2018 che attualmente dispone, ai fini della liquidazione del compenso, che il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate che in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all'80%; ovvero, possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50%. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100% e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70%. Aggiornamento dei parametri medi
La L. 247/2012, art. 13, comma 6, rimette ad un apposito decreto del Ministero della Giustizia, l'aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d'intesa con in Consiglio Nazionale Forense, ai sensi dell'art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri “si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse di terzi o per prestazioni ufficiose previste dalla legge”.
La novellata previsione dell'art. 4, comma 1 del D.M. n. 55 è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile nella quantificazione delle spese di lite, limitandosi a disporre che detta riduzione, non poteva di regola essere superiore al 50%.
Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del carattere non vincolante dei parametri di liquidazione la stessa Corte di Cassazione è giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione delle spese di giudizio, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un'apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l'obbligo di non attribuire somme simboliche lesive del decorso professionale (in tal senso: Cass. Sen. 28325/2022; Cass. Sen. 14198/2022; Cass. Sen. 19989/2021).
A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal più volte richiamato D.M. n. 55/2014, non può tuttavia darsi continuità anche per i compensi sottoposti al regime introdotto dal D.M. n. 37/2018; in particolare, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale finalizzata a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l'uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale.
La ratio legis è stata altresì evidenziata nel parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, n. 2703-2017 del 27 dicembre 2017 che aveva giudicato inadeguato, rispetto al suo scopo primordiale di “limitare il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare, l'utilizzo di una formula normativa suscettibile di avallare approdi interpretativi in merito all'applicazione della locuzione “di regola” anche alle riduzioni percentuali dei valori parametrici di base, mentre tale possibilità doveva più incisivamente essere limitati agli incrementi dei parametri e non alla riduzione”.
Pertanto, l'attuale previsione normativa è evidentemente finalizzata a specificare “con maggiore chiarezza” l'inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti; ciò, anche in considerazione del fatto che il L. n. 247/2012, art. 13, comma 7 prevede fra i criteri cui si deve attenere l'Amministrazione quello della “trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali”.
Tale intento normativo traspare dalla dichiarata rispondenza per esplicita valutazione normativa dei parametri tabellari introdotti ex novo ai requisiti cui devono rispondere le liquidazioni ricadenti nell'ambito applicativo della L. 247/2012, art. 13-bis, introdotto dal D.L. 16 ottobre 2017, convertito nella L. 4 dicembre 2017, e poi modificata dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205. La disposizione precisa che il compenso, nei rapporti regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento delle attività professionali in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle micro imprese o delle piccole o medie imprese, si considera equo quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e “conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'art. 13, comma 6”. Ai medesimi parametri deve far riferimento il giudice per porre rimedio alla vessatorietà delle clausole a norma dei commi 4, 5 e 6 dell'art. 13, ipotesi in cui una volta accertata, la non equità del compenso, la successiva quantificazione va effettuata proprio mediante l'impiego dei parametri tabellari per superare l'originario squilibrio dell'accordo (art. 13, comma 10). Rileva altresì precisare che la previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali, non si pone in contrasto con la disciplina euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi.
L'ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia in concomitanza della pronuncia 19.2.2000, cause C-35 del 1999 ed è stata successivamente confermata, anche per altri settori, a condizione che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico. Rileva, altresì precisare che i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato, pertanto, da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all'esigenza di garantire la trasparenza e l'unitarietà nella determinazione dei compensi professionali.
Tali parametri non appaiono discriminatori, avendo una portata generale (ex art. 15, comma 2, lettera g) della Direttiva 2006/123/CE; Corte di giustizia 4 luglio 2019 C- 377/2017) ed inoltre, l'intervento normativo lascia impregiudicata la possibilità che le parti stabiliscano un compenso inferiore a quello risultante dalla massima riduzione prevista; per cui, l'introduzione dei minimi finisce per incidere in misura non sproporzionata sulle dinamiche concorrenziali tra professionisti.
In conclusione
Il principio espresso dalla Corte di Cassazione 13 aprile 2023, n. 9815 Con riferimento all'unico motivo di doglianza mosso da parte ricorrente in sede di legittimità, ossia, la violazione dell'art.4 aggiornato dal D.M. n. 37/2018 nonché degli artt. 91, 132 comma 2 n. 4) c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c. la Corte di Cassazione lo ha ritenuto fondato.
In particolare, i Giudici della Corte hanno espresso il principio secondo cui in assenza di diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55/2014, a seguito di modifiche apportate allo stesso dal D.M. n. 37/2018, non è dato al giudice scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile. Si tratta in sostanza di un orientamento giurisprudenziale assunto dagli Ermellini che legittima i nuovi criteri rispondenti all'interesse generale di introdurre una remunerazione minima inderogabile finalizzata a non svilire la professione ed esigere un livello della prestazione adeguato nell'interesse del cliente, secondo un principio ed esigenze comuni ad altri settori professionali, assicurando standard di diligenza appropriati alla natura e al decoro delle attività svolte.
Sulla base di tali considerazioni i Giudici hanno ritenuto fondati nel caso de qua i motivi di censura mossi dal ricorrente in sede di legittimità, avendo il Tribunale adito riconosciuto a titolo di spese processuali, in relazione alla valore della causa (pari all'importo della sanzione irrogata), somme inferiori a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal più volte richiamato D.M. n. 55/2014, art. 4, comma 1 nel testo novellato dal citato D.M. n. 37/2018, e con l'attribuzione di un importo onnicomprensivo senza distinzione per fasi.
Per cui, i Giudici di Legittimità hanno cassato con rinvio la sentenza di appello impugnata da parte ricorrente con rinvio della causa al Tribunale di Roma, in persona di altro magistrato, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. |