L'omologazione di accordi di ristrutturazione che prevedano un soddisfacimento irrisorio dei crediti fiscali e previdenziali

17 Maggio 2023

Gli Autori analizzano l'attuale contrasto giurisprudenziale relativo al tema dell'omologazione forzosa da parte del Tribunale di accordi di ristrutturazione dei debiti aventi ad oggetto essenzialmente (se non esclusivamente) il risanamento di debiti tributari, quando la soddisfazione di tali debiti risulti irrisoria.
Premessa

Nei casi in cui venga richiesta dal debitore l'omologa forzosa (con cram down fiscale) di accordi di ristrutturazione dei debiti aventi ad oggetto essenzialmente o esclusivamente il risanamento di debiti tributari la cui soddisfazione risulti irrisoria, sebbene tale via risulti nominalmente più conveniente per l'Erario, non è detto che quest'ultimo presti sempre il proprio consenso e si adegui ad una soddisfazione minima dei propri crediti. La giurisprudenza ha proposto delle soluzioni pratiche a questo quesito, giungendo a conclusioni non sempre conformi.

Sul punto, alcuni giudici si sono dimostrati favorevoli ad omologare accordi di ristrutturazione aventi ad oggetto prevalentemente debiti tributari che venivano soddisfatti in percentuale minima; altri, invece, hanno rigettato la richiesta di cram down fiscale formulata da soggetti che avevano presentato proposte transattive fiscali, non approvate dall'Erario, e comportanti un eccessivo sacrificio economico per quest'ultimo.



Il quadro normativo

Il “cram down” fiscale, disciplinato all'interno sia della Legge Fallimentare che del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, consente al tribunale, di fronte all'opposizione o inerzia dell'Erario o degli Enti previdenziali – e in presenza di alcune condizioni – di procedere all'omologa nonostante il voto negativo o la mancata adesione dei suddetti creditori.

Quanto alla Legge fallimentare, l'istituto è applicabile sia nell'ambito del concordato preventivo (artt. 160 l. fall. e ss.), sia in quello degli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 182-bis l. fall. e ss.).

Recentemente sono state introdotte in materia importanti novità.

Anzitutto, la L. 159/2020 ha contribuito, mediante la modifica di alcuni articoli della Legge Fallimentare (artt. 180, 182-bis e 182-ter), ad anticipare l'entrata in vigore di alcune disposizioni sulla transazione fiscale e contributiva previste nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

Nell'ambito del concordato preventivo, la predetta legge introduce il comma 4 all'art. 180 l. fall., il quale prevede che il Tribunale possa comunque omologare il concordato:

  • anche in assenza dell'adesione da parte dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali ed assistenziali, quando l'adesione dei predetti enti risulta determinante per poter raggiungere le maggioranze previste dall'art. 177 L.F;
  • quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del soggetto attestatore, la proposta di soddisfacimento del Fisco e/o degli enti previdenziali risulti conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria.

Le medesime novità sono state inserite nell'art. 182-bis l. fall. in tema di transazione fiscale nell'ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti: il Tribunale può omologare l'accordo in mancanza dell'adesione del Fisco e degli altri enti previdenziali ed assistenziali, quando tale adesione risulti decisiva per il raggiungimento della percentuale del 60% (richiesta dall'art. 182-bis, comma 1, L.F.) dei creditori aderenti.

Come già accennato, il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato in vigore il 15 luglio 2022, altro non ha fatto se non riprendere quanto già introdotto dalla precedente L. 159/2020.

In particolare, l'art. 48, comma 5, CCII, stabilisce che negli accordi di ristrutturazione e nel concordato preventivo, quando l'adesione dell'Amministrazione finanziaria risulta decisiva ai fini delle maggioranze e la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria, il Tribunale può omologare il piano anche in assenza di adesione da parte del Fisco.

Rilevante risulta anche il contenuto dell'art. 63 CCII, rubricato “Transazione e accordi su crediti contributivi”, poiché si tratta di una norma che non introduce un parametro quantitativo minimo in relazione al soddisfacimento dei crediti tributari, ma si limita ad affermare al comma 2-bis che Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”.

In altre parole, dunque, tale dettato normativo stabilisce che il Tribunale può approvare la transazione fiscale quando l'accordo di ristrutturazione risulta, per l'Erario, più conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale, senza prevedere alcuna percentuale minima di soddisfacimento dei crediti fiscali.

La ratio della norma consiste nel permettere alle imprese che versano in uno stato di crisi di continuare a svolgere la propria attività sulla base di accordi omologati dal Tribunale che consentano di ottenere il miglior soddisfacimento dei crediti tributari senza compromettere la continuità aziendale.

La prosecuzione dell'attività d'impresa attraverso il suo risanamento è lo scopo principale degli accordi di ristrutturazione dei debiti, motivo per cui il nuovo assetto normativo sembra essere fondato sulla convinzione che sarebbe controproducente escludere la fattibilità di accordi che soddisfino, seppure in percentuale minima, i suddetti crediti fiscali, specialmente quando tali accordi risultano più convenienti rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale.



Gli orientamenti di merito contrastanti sul tema

Come anticipato, l'attuale contrasto giurisprudenziale verte sul tema del c.d. cram down fiscale e previdenziale “al minimo”: alcuni giudici sono restii nell'omologare accordi di ristrutturazione che abbiano ad oggetto prevalentemente debiti tributari e fiscali, quando le percentuali di soddisfacimento di tali debiti siano troppo irrisorie, nonostante risultino comunque più convenienti rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale.

Come già accennato, la norma di riferimento dell'istituto della transazione fiscale negli accordi di ristrutturazione dei debiti è ora l'art. 63 CCII.

Dal dettato normativo, ai fini dell'omologazione forzosa dell'accordo di ristrutturazione da parte del Tribunale in mancanza di adesione da parte del Fisco, emergono solamente due presupposti:

  • l'adesione del Fisco deve essere determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli articoli 57, comma 1, e 60, comma 1;
  • la liquidazione giudiziale deve risultare meno conveniente rispetto alla proposta di soddisfacimento dei crediti fiscali e previdenziali.

Nulla viene in rilievo con riguardo alla necessità di una percentuale minima di soddisfacimento dei crediti tributari e previdenziali.

La nuova norma risulta apparentemente molto chiara in relazione alla possibilità di ottenere l'omologazione forzosa di un accordo di ristrutturazione avente ad oggetto un soddisfacimento irrisorio dei crediti tributari, ma, a tale riguardo, i giudici di merito hanno seguito finora orientamenti contrastanti.

Alcuni tribunali, infatti, hanno optato per il rigetto di accordi di ristrutturazione non approvati dal Fisco, che prevedevano il soddisfacimento dei debiti tributari in percentuali irrisorie (3% e 1,79% a fronte di un ammontare di debiti tributari pari al 97% ed al 58%). Occorre specificare che i motivi che hanno indotto i suddetti Tribunali a non omologare l'accordo sono molteplici, riconducibili ad esempio anche ad un errato confronto con la liquidazione giudiziale piuttosto che all'inaffidabilità dell'impianto contabile delle imprese. Si tratta di decreti adottati rispettivamente dal Tribunale di Salerno, in data 23 gennaio 2023, e dal Tribunale di Lecce, in data 17 ottobre 2022. Trattasi in questo caso di ipotesi in cui il Fisco non ha “aderito” all'accordo ex art. 182-bis, comma 5, L.F..

In merito alla “mancanza di voto” ed alla “non adesione” del Fisco alla proposta concordataria e/o all'accordo di ristrutturazione dei debiti merita evidenziare che si sono sviluppate anche differenti posizioni dottrinali. Secondo l'orientamento che a parare di chi scrive appare prevalente ed anche più in linea con la ratio della norma, si dovrebbe propendere per un'interpretazione c.d. “estensiva”, secondo cui il cram down fiscale sarebbe ammissibile anche nel caso di diniego espresso da parte dei creditori pubblici qualificati (quali l'Erario).

Sembrano abbracciare tale tesi il Tribunale di Milano (decr. 21 luglio 2021), il Tribunale di Roma (decr. 27 luglio 2021) e il Tribunale di Trieste (decr. 15 luglio 2022), che hanno omologato accordi di ristrutturazione dei debiti costituiti solamente da debiti tributari e fiscali che venivano soddisfatti in modo molto contenuto, sebbene conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria.

Orbene, secondo i suddetti Tribunali, la finalità dell'art. 63, comma 2-bis, CCII, è quella di permettere ai creditori pubblici qualificati di ottenere il più alto soddisfacimento possibile dei loro crediti, senza compromettere la continuità aziendale delle imprese in crisi e senza indicare alcun parametro al di sotto del quale il cram down non possa essere applicato.

La transazione fiscale e previdenziale, così come concepita dalle recenti norme, genera molteplici benefici, sia nei confronti dell'Erario, sia nei confronti delle imprese in difficoltà.

Anzitutto, l'omologazione forzosa da parte del Tribunale di accordi di ristrutturazione aventi ad oggetto il soddisfacimento (seppur) minimo di crediti tributari consente alle imprese di continuare ad operare, al contrario di quello che accadrebbe se si optasse per la liquidazione giudiziale.

In secondo luogo, l'art. 63 CCII ha lo scopo di impedire che alcune proposte di ristrutturazione dei debiti vengano rigettate, sebbene convenienti per i creditori pubblici qualificati, solamente perché prevedono un soddisfacimento “troppo limitato” dei crediti contributivi e fiscali.

Infine, come precedentemente evidenziato, dal momento che la norma non specifica alcuna percentuale minima di soddisfacimento dei crediti tributari al di sotto della quale l'accordo non possa essere omologato forzosamente dal Tribunale, a parere di chi scrive non sembrerebbe ragionevole precludere la possibilità alle imprese in crisi di perseguire il risanamento mediante la conclusione di accordi di ristrutturazione dei debiti solamente perchè il Fisco non li ritiene “sufficienti” a soddisfare i suoi crediti.



Conclusioni

In linea con la ratio della norma, dunque, al fine di poter ottenere o meno forzosamente il cram dowm fiscale non dovrebbe rilevare tanto il quantum della soddisfazione creditizia tributaria, quanto piuttosto la convenienza della stessa in relazione alla liquidazione giudiziale.

Convenienza che si rivela sia in termini quantitativi, laddove la percentuale di soddisfazione dei crediti risulti maggiore, sia in termini qualitativi, in quanto offrire alle imprese la possibilità di continuare ad operare a seguito di un efficace risanamento permette alle stesse di generare ricchezza e redditività.



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