Le priorità della riforma fiscale. Il potenziamento dell'autotassazione

19 Maggio 2023

Il dibattito in corso sulla riforma fiscale, stimolato dalle copiose indicazioni fornite dal DDL delega attualmente all'esame del Parlamento (atto Camera 1038), non dovrebbe perdere di vista le esigenze primarie della semplificazione e dell'incremento del tasso di assolvimento spontaneo delle obbligazioni tributarie. Gran parte delle disposizioni del DDL delega centrate sulla revisione delle relazioni con i contribuenti si declinano nella rinnovata capacità dell'Amministrazione di operare in due direzioni: da un lato, assistere i contribuenti nella fase dell'adempimento e nella trattazione dell'interpello, dall'altro, gestire in contraddittorio l'attività di accertamento e i c.d. istituti deflativi del contenzioso. La corretta e proficua gestione del contraddittorio presidia la legittimità e l'efficacia dei controlli, affermandosi come fattore determinante per la credibilità e il buon funzionamento del sistema.
Autotassazione e controllo: differenze funzionali

Nell'attuale sistema basato sull'autotassazione il gettito dei tributi è assicurato essenzialmente dall'iniziativa spontanea dei contribuenti, in ciò supportati e indotti dall'Amministrazione nell'esercizio delle proprie attività istituzionali.

Se si vuole mantenere e rafforzare tale sistema, nel quale il controllo ex post assolve a una indispensabile funzione di deterrenza, occorre sgomberare il campo da alcuni ricorrenti equivoci.

In particolare, i procedimenti di definizione consensuale come l'accertamento con adesione, il reclamo-mediazione e la conciliazione giudiziale andrebbero strutturati e gestiti in funzione dell'interesse, immanente ai menzionati istituti, di evitare le lungaggini e l'alea del contenzioso, al fine ultimo di incrementare l'efficacia dell'azione di controllo e la propensione dei contribuenti all'assolvimento spontaneo delle obbligazioni. Per quanto utili possano sembrare sotto l'aspetto delle maggiori imposte introitate, tali strumenti, proprio perché raggiungono una minima parte dei contribuenti, dovrebbero pur sempre assolvere a una funzione di deterrenza diffusa, a presidio dell'autotassazione assicurata da tutti. Diversamente, sono percepiti come opportunità propizie per rimediare, (eventualmente e) a buon mercato, alle carenze dell'adempimento spontaneo.

Appare contraddittorio, da una parte, affermare di voler combattere l'evasione e incrementare le entrate erariali, dall'altra, assumere iniziative che rischiano di depotenziare l'autotassazione. In questo senso, enfatizzare l'obiettivo di gettito affidato all'Amministrazione con il proposito (non di misurare il grado di efficacia dell'azione di controllo ma) di incrementare le casse erariali rischia di svalutare la fase dell'adempimento spontaneo, specie se accompagnato da un sistema di annacquamento del trattamento sanzionatorio non più in grado di presidiare l'interesse del contribuente all'adempimento spontaneo.

In palese conflitto con il principio dell'autotassazione è altresì il ricorso a provvedimenti straordinari che consentano definizioni più o meno automatiche a fronte del pagamento di somme inferiori a quelle che sarebbe stato necessario versare in autotassazione.

In un sistema alternativo all'autotassazione, si colloca, infine, il concordato preventivo proposto dal DDL, laddove, con immaginabili difficoltà operative, si affida all'Amministrazione il compito di determinare e liquidare l'imposta sul reddito nei confronti della generalità dei piccoli-medi contribuenti.

Le restrizioni dell'interpello

La proposta governativa di riforma prevede la “razionalizzazione” della disciplina degli interpelli di cui all'art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), con il proposito di ridurre il numero delle relative istanze presentate dai contribuenti.

Ciò dovrebbe avvenire mediante disposizioni volte a:

(i) “implementazione” dei “provvedimenti interpretativi di carattere generale, anche prevedendo una casistica delle fattispecie di abuso del diritto, elaborati anche a seguito dell'interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e gli altri enti esponenziali di interessi collettivi, nonché tenendo conto delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni”,

(ii) “rafforzare il divieto di presentazione di interpelli riservandone l'ammissibilità alle sole questioni che non trovano soluzione in documenti interpretativi già emanati

(iii) introdurre discipline differenziate in relazione alla dimensione dei contribuenti: per le persone fisiche e i contribuenti di minori dimensione il diritto di interpello verrebbe limitato alle questioni che non sia possibile risolvere “mediante servizi di interlocuzione rapida” e “l'utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale”, mentre per i restanti contribuenti l'ammissibilità sarebbe subordinata “al versamento di un contributo, da graduare in relazione a diversi fattori, quali la tipologia di contribuente o il valore della questione oggetto dell'istanza, finalizzato al finanziamento della specializzazione e della formazione professionale continua del personale delle Agenzie fiscali”.

A prima vista, la prefigurata “razionalizzazione” sembrerebbe tradursi nella drastica riduzione degli ambiti di applicazione dell'istituto, compensata dal potenziamento dei tradizionali documenti di prassi amministrativa (circolari, risoluzioni, ecc.), che tuttavia non offrono ai contribuenti le medesime garanzie dell'interpello in termini di sistematicità, puntualità ed effetti giuridici. Ma a ben guardare, il perimetro di applicazione dell'interpello tracciato dal DDL coincide sostanzialmente con quello rinvenibile nel D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, ove si consideri che già oggi l'interpello è ammesso per le sole questioni di non facile soluzione e che non trovano soluzione in documenti interpretativi già emanati.

La novità della proposta si palesa piuttosto nella previsione di un onere contributivo a carico dei contribuenti interessati ad avvalersi dell'interpello. Al riguardo, non andrebbe trascurato che l'istituto dell'interpello nasce dall'idea di assistere il contribuente in sede di adempimento, mediante indicazioni univoche e rassicuranti circa l'entità delle obbligazioni da assolvere, in considerazione della obiettiva difficoltà di orientarsi nel labirinto delle norme fiscali. Sarebbe pertanto paradossale che a pagare i costi, anche in termini monetari, del disorientamento indotto dalla legislazione schizofrenica sia chiamato proprio il contribuente che ne è vittima

A sua volta, l'idea di incentivare strumenti tradizionali come circolari e risoluzioni, concepiti in funzione dell'esigenza di uniformare i comportamenti degli uffici operativi, non sembra corrispondere direttamente agli obiettivi di tutela rafforzata dei contribuenti perseguiti dallo Statuto del contribuente. La stessa proposta di rimettere ai call center o analoghi “servizi di interlocuzione rapida” parte delle funzioni fin qui assolte dall'interpello, richiederebbe una preventiva valutazione del grado di complessità delle questioni prospettate tutt'altro che facile.

In tema di interpello, andrebbe se mai rivista e semplificata la frammentata disciplina introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, che ha inteso artificiosamente moltiplicare le tipologie di interpello e le relative procedure in relazione all'oggetto dell'istanza, distinguendo tra interpello ordinario, interpello probatorio, interpello antiabuso, interpello disapplicativo e interpello su nuovi investimenti. Sarebbe sufficiente delineare due sole tipologie, affiancando all'interpello ordinario, diretto alla soluzione di astratte questioni di diritto, altra tipologia di interpello che, pur assolvendo a esigenze diverse, presuppone in ogni caso – come caratteristica costante - l'esame di fattispecie concrete riconducibili alla specifica realtà del contribuente istante.

Configurabile un diritto soggettivo all'autotutela?

La proposta governativa affida al legislatore delegato il compito di “potenziare l'esercizio del potere di autotutela estendendone le ipotesi agli errori manifesti” e prevedendo “la impugnabilità del diniego ovvero del silenzio” in presenza di “errori manifesti”.

Mentre il riferimento agli “errori manifesti” non sembra innovare i presupposti dell'autotutela come puntualmente indicati nel menzionato D.M. n. 37/1997, la possibilità di riproporre in giudizio il merito dell'istanza di annullamento o revoca e, quindi, di rimettere al giudice l'esercizio di una potestà amministrativa eminentemente discrezionale apre prospettive e soluzioni nuove, destinate a impattare sulla definitività e certezza delle situazioni giuridiche. Considerando che l'esercizio della potestà di autotutela normalmente viene invocato con riguardo ad atti definitivi, per i quali il rinvio alla fase giudiziaria è ormai precluso, ovvero per ottenere – a termini ormai scaduti - il rimborso di somme non dovute, la previsione del rinvio a giudizio sembra scardinare il sistema di decadenze e prescrizioni, fino ad incidere sui limiti della giurisdizione tributaria.

A voler tuttavia escludere che la proposta possa innovare l'oggetto della giurisdizione per effetto dell'attribuzione al giudice di potestà discrezionali, la proposta in esame sembra affermare in capo al contribuente un diritto soggettivo all'autotutela munito di tutela giudiziaria, con tutte le implicazioni e difficoltà sopra evidenziate.

L'autotutela nella gestione degli istituti deflativi del contenzioso

Per rimediare in parte alla indeterminatezza del DDL delega e contribuire alla delimitazione dell'ambito applicativo dell'autotutela, il tema potrebbe essere affrontato alla luce dell'esperienza maturata nell'applicazione di istituti contigui come l'accertamento con adesione, il reclamo-mediazione e la conciliazione giudiziale. Si è del parere, infatti, che le definizioni perfezionate in applicazione dei già menzionati istituti deflattivi del contenzioso, con conseguente riduzione della pretesa impositiva, normalmente sono espressione di autotutela parziale in quanto pur sempre motivate dalla rimozione di errori di legittimità o di merito che inficiano l'accertamento oggetto di rideterminazione.

Non potrebbe essere diversamente, in costanza del principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria che non ammette rinunce o transazioni. Fatta eccezione, infatti, per questioni formali come, ad esempio, l'eccezione di decadenza dal potere impositivo che, in alternativa alla probabile soccombenza in giudizio, possono indurre l'Amministrazione a definire la pretesa in via equitativa, di norma la rideterminazione consensuale dell'accertamento trova necessaria motivazione nei vizi di legittimità o di merito dell'atto, ossia nei medesimi presupposti sostanziali dell'autotutela.

Nella prassi operativa i menzionati strumenti deflativi si sono rivelati particolarmente utili per rimediare alle difficoltà di determinazione delle basi imponibili, con particolare riguardo a questioni di fatto non correttamente affrontate in sede di accertamento.

Nell'applicazione pratica degli strumenti deflattivi del contenzioso, in definitiva, si fa ampia applicazione dell'autotutela per rimediare ad errori imputabili all'Amministrazione, che teoricamente potrebbero essere emendati anche d'iniziativa e non necessariamente in attuazione dei procedimenti di accertamento con adesione. La circostanza che l'autotutela venga esercitata nell'ambito dei predetti istituti, volti sostanzialmente a ridurre la pretesa impositiva per effetto della eliminazione di errori imputabili all'Amministrazione, dipende dall'interesse della stessa Amministrazione a introitare parte delle somme accertate, ma non fa venir meno la differenza concettuale tra errori di diritto, più facilmente intercettabili ed emendabili anche d'iniziativa in via di autotutela, ed errori riconducibili a questioni fattuali o valutative che si riflettono sulla determinazione della base imponibile e che raramente possono risultare così evidenti da motivare interventi in autotutela al di fuori dei procedimenti di definizione consensuale avviati in attuazione degli istituti deflattivi del contenzioso.

Si vuol dire, in sintesi, che le definizioni perfezionate in applicazione degli istituti deflattivi del contenzioso conseguono alla eliminazione di errori di fatto o di diritto nella determinazione delle obbligazioni accertate e che, per ciò stesso, sono espressione dell'esercizio di autotutela parziale. Ciò che giustifica l'autotutela in sede di definizione consensuale, tuttavia, non è sempre sufficiente a motivare l'autotutela d'iniziativa. Quest'ultima è funzionale infatti alla eliminazione di errori che siano evidenti ed oggettivi, di norma non rinvenibili nella trattazione di questioni fattuali che, salvo rari casi, mal si prestano a valutazioni certe ed oggettive.

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