Delibere modificative dello statuto di società di capitali e azione revocatoria ordinaria

22 Maggio 2023

La Cassazione si pronuncia sul tema controverso dell'ammissibilità dell'esercizio di un'azione revocatoria ordinaria nei confronti di delibere dell'assemblea dei soci di società di capitali, con particolare riferimento all'ipotesi di delibere modificative dello statuto.
Massima

L'azione revocatoria di cui agli artt. 2901 e ss. c.c. non può essere esercitata nei confronti di atti endosocietari di società dotate di personalità giuridica e, in particolare, di delibere modificative dello statuto, poiché tali atti – per i quali sussistono nella normativa societaria strumenti specifici che ne presidiano la legittimità – sono compiuti unicamente per la gestione dell'attività del soggetto giuridico e non hanno effetti esterni in termini di incidenza sulla sua garanzia patrimoniale generale, mentre l'azione pauliana è comunque esercitabile nei confronti degli atti esterni delle suddette società.

Il caso

Due creditori convenivano in giudizio una società consortile per azioni e i suoi soci affinché fosse dichiarata inefficace nei loro confronti, ai sensi dell'art. 2901 c.c., la delibera adottata dall'assemblea straordinaria dei soci nella parte in cui aveva modificato lo statuto sociale, sostituendo all'obbligo dei soci di pagare lo sbilancio annuale di esercizio la mera possibilità di deliberarne in assemblea il rimborso.

Si costituivano in giudizio la società e parte dei soci, resistendo alla domanda proposta. Nelle more del giudizio, la società era dichiarata fallita, con conseguente interruzione della causa; il curatore fallimentare riassumeva la causa e subentrava agli attori nell'esercizio dell'azione revocatoria.

Il Tribunale accoglieva la domanda e dichiarava inefficace nei confronti del Fallimento la delibera in questione.

I soci soccombenti in primo grado proponevano appello a cui il Fallimento, costituitosi in giudizio, resisteva; la Corte d'Appello rigettava l'impugnazione.

I soci soccombenti anche in appello proponevano, quindi, ricorso per cassazione articolando, in via progressivamente subordinata, quattro motivi di impugnazione, con il primo dei quali lamentavano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2364, 2615-ter, 2901 c.c. e 66 l.f., per avere la sentenza impugnata considerato revocabile la delibera di modifica statutaria anzidetta.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La questione giuridica affrontata e decisa dalla sentenza in commento è rappresentata dalla proponibilità dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti di una delibera dell'assemblea dei soci modificativa dello statuto di una società di capitali. Nel caso specifico, la delibera aveva modificato lo statuto di una società consortile, sostituendo l'obbligo dei soci di pagare lo sbilancio annuale di esercizio con la mera possibilità di deliberarne in assemblea il rimborso; per tale ragione, la delibera de quo era stata considerata dal Tribunale, prima, e dalla Corte d'Appello, poi, alla stregua di una rinuncia da parte della società a un proprio credito nei confronti dei soci e, quindi, un atto dispositivo del patrimonio a contenuto abdicativo, suscettibile di dichiarazione di inefficacia ai sensi dell'art. 2901 c.c. (si vedano, con riguardo ai precedenti gradi di giudizio, Trib. Santa Maria Capua Vetere 21 settembre 2015, n. 3124, in Giust. Civ.Com., con nota di M. Passaretta, e App. Napoli 15 maggio 2019, n. 2602).

Il provvedimento in esame, dopo aver ripercorso la motivazione della sentenza impugnata e aver sottoposto a critica il ragionamento dalla stessa seguito, esclude l'assoggettabilità ad azione revocatoria ordinaria della delibera dell'assemblea dei soci modificativa dello statuto, in ragione della natura endosocietaria dell'atto. A tale esclusione la sentenza perviene prendendo le mosse dalla specificità soggettiva del debitore, rappresentato da una società di capitali e, quindi, da un soggetto “giuridicamente artificiale”, la cui volontà si forma in ambito interno, attraverso la volontà manifestata dai soci e secondo regole che sono determinate, nella modalità basilare, dal legislatore e completate dai soci sia a mezzo dello statuto sia attraverso il governo interno della società. Secondo il ragionamento proposto dalla sentenza in esame, assume rilievo la personalità giuridica attribuita alla società di capitali, originariamente percepita quale schermo per i soci, anche sotto il profilo del rischio assunto, e nella quale sono fatte confluire soggettività e responsabilità patrimoniale dell'ente. La personalità giuridica, in tale sua funzione, vale a confinare in ambito interno gli atti necessari a concretizzare la volontà dell'ente, quali le delibere di cui si discute. La natura interna dell'atto (natura endosocietaria, appunto) è così ricondotta all'effetto dello schermo posto dalla personalità giuridica attribuita alla società, che è tale impedire che l'atto stesso possa essere “attaccato” dai soggetti diversi da quelli schermati, se non in specifiche ipotesi da considerare quale eccezione, pena lo svuotamento della stessa personalità giuridica: si tratta dei casi, indicati dalla sentenza in esame, in cui è riconosciuta ai creditori la possibilità di proporre opposizione a operazioni di fusione, scissione e riduzione del capitale sociale, quali operazioni direttamente lesive dei loro diritti, ovvero di impugnare la delibera per nullità, ai sensi degli artt. 2379 e 2379-ter c.c., potendo essi rientrare tra i soggetti a ciò legittimati. Secondo il provvedimento in esame, pertanto, è la stessa dialettica funzionale tra la dimensione interna e la dimensione esterna della persona giuridica a portare all'esclusione della proponibilità dell'azione avverso un atto endosocietario, quale deve ritenersi la delibera di modifica dello statuto di una società di capitali (nel senso di ritenere non assoggettabile a revocatoria ordinaria una delibera dell'assemblea dei soci, sul presupposto della sua natura di atto endosocietario, si veda Trib. Venezia 17 marzo 2016, n. 586, in osservatoriodirittoimpresa.it, con riferimento a delibera avente ad oggetto lo scioglimento della società; in senso contrario si veda, invece, Trib. Torino 5 novembre 2020, n. 3867, in realtà riferita a un'articolata operazione di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale per perdite, con rinuncia del socio alla relativa sottoscrizione e sottoscrizione da parte di un terzo, complessivamente posta in essere in pregiudizio di creditore prossimo all'avvio di un'esecuzione sulla quota del socio rinunciante).

La sentenza in esame, pur escludendo la proponibilità dell'azione revocatoria ordinaria in ragione della natura dell'atto, accogliendo così il primo motivo di ricorso, riserva un cenno finale ad altra questione, riferita all'ipotesi in cui la delibera, ancorché atto endosocietario, fosse ritenuta astrattamente revocabile, rappresentata dalla sussistenza di un concreto interesse alla proposizione dell'azione. A riguardo, la decisione nega la sussistenza di tale interesse, considerando la clausola modificata, al pari della sua precedente versione, non esplicativa, di per sé sola, di effetti, occorrendo invece per la sua operatività l'approvazione del bilancio, a quella data non ancora intervenuta: da ciò viene fatta conseguire l'impossibilità di qualificare la delibera come rinuncia a un diritto, non essendo questo ancora sorto, e quindi come atto pregiudizievole per i creditori sociali.

Osservazioni

La sentenza in commento rappresenta, a quanto è dato conoscere, la prima decisione di legittimità resa in ordine alla questione dell'ammissibilità dell'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria nei confronti di delibere dell'assemblea dei soci di società di capitali. Nell'escludere la possibilità di ricorrere a tale generale mezzo di tutela della garanzia patrimoniale in ipotesi di delibere di modifica dello statuto, anche laddove le stesse, come nel caso deciso, possano avere effetti sulle aspettative dei creditori sociali, la sentenza attribuisce rilievo decisivo alla natura endosocietaria dell'atto, ricondotta alla sua funzione organizzativa, di regolazione dei rapporti tra i soci e la società. In quanto di regola incidenti solo su detti rapporti tra i soci e la società, le delibere in questione sono atti destinati a rimanere confinati nell'ambito interno e assoggettati alla relativa impugnazione, naturalmente nei limiti, anche di legittimazione, in cui questa è ammessa; ciò, a ben vedere, solo di regola, non potendosi escludere ipotesi, come quelle ricordate dalla stessa sentenza, in cui le decisioni in questione incidono direttamente sui diritti dei creditori sociali, ai quali sono tuttavia riconosciuti specifici mezzi di tutela (così è per l'opposizione riconosciuta ai creditori nelle operazioni di fusione, scissione e riduzione del capitale sociale).

La sentenza in esame traccia la linea di demarcazione dell'ambito interno, per le società di capitali, con un forte richiamo alla personalità giuridica loro attribuita, evocando il conseguente diaframma che tale personalità interpone tra gli stessi soci (e i loro rapporti con la società, esclusi dall'azione revocatoria ordinaria) e i terzi. Il riferimento alla personalità giuridica se, da un lato, vale a rimarcare la caratteristica tutela normativa accordata alle attività interne delle società di capitali, dall'altro lascia aperto il problema della possibilità di assoggettare a revocatoria ordinaria le decisioni assunte dai soci delle società di persone, specie nelle ipotesi in cui queste adottino convenzionalmente modalità di decisione collegiale e una struttura di tipo corporativo, sull'esempio delle società di capitali: dette società di persone, pur prive di personalità giuridica, potrebbero presentare un elevato grado di soggettivazione, tali da renderle distinte, sotto più profili, dalla persona dei loro stessi soci, ponendo così il dubbio in ordine alla possibilità di riconoscere un ambito endosocietario a cui ricondurre i relativi atti deliberativi, con conseguente esclusione di questi ultimi dall'azione di cui si discute.

Un'ultima considerazione, infine, merita l'ulteriore questione di cui sopra si è detto, relativa alla sussistenza di un interesse all'azione revocatoria ordinaria della delibera in questione, esclusa dalla sentenza in esame perché delibera modificativa di clausola statutaria ritenuta priva di un effetto immediato, richiedendo, per la sua operatività, un accertamento della perdita in sede di approvazione del bilancio. Sul punto, deve osservarsi che proprio in ragione della necessità di tale ulteriore accertamento, a quanto risulta non intervenuto al momento della modifica, la modifica statutaria non pare essere stata in grado di determinare un'immediata diminuzione del patrimonio della società: di fronte ad una situazione giuridica ancora in divenire, pertanto, la modifica statutaria non avrebbe potuto assumere il valore e la portata di un atto dispositivo (di contenuto abdicativo) suscettibile di revoca e tale conclusione pare trovare conferma nella circostanza che, per converso, un'eventuale declaratoria di inefficacia dell'atto revocato non avrebbe potuto comportare l'assoggettamento all'azione esecutiva di quanto oggetto di rinuncia.

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