La Corte di Giustizia torna sulla effettività della tutela consumeristica e sulla centralità del ruolo del g.e.

23 Maggio 2023

La Corte di Giustizia è intervenuta circa le modalità con cui il giudice dell'esecuzione può valutare il carattere abusivo delle clausole di un contratto b2c, d'ufficio o su domanda di parte e indipendentemente dal fatto che quest'ultima possa agire presso il giudice di cognizione nazionale tramite ricorso nel merito.
Massima

La direttiva 93/13 deve interpretarsi nel senso che essa osta a una disposizione di diritto nazionale che non consente al giudice dell'esecuzione di valutare, d'ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole del contratto b2c, indipendentemente dalla circostanza che il consumatore abbia comunque a disposizione, un ricorso nel merito che gli consente di chiedere al giudice della cognizione un siffatto controllo ed ordinare la sospensione dell'esecuzione forzata previo versamento di una cauzione.

Il caso

Due debitori, cittadini rumeni, hanno proposto opposizione all'esecuzione forzata dinanzi al Tribunale di Bucarest, adducendo l'abusività delle clausole contenute nel contratto di mutuo, costituente il titolo esecutivo, in virtù della sentenza C-75/19 della Corte di Giustizia Europea.

Ad avviso degli opponenti, in virtù di quanto statuito dalla direttiva 93/13, non potrebbe trovare applicazione l'art.713,par.2, c.p.c., del diritto nazionale rumeno, secondo cui un consumatore sottoposto a un procedimento di esecuzione forzata decade, dopo un termine di quindici giorni a partire dalla notifica dei primi atti di tale procedimento, dall'invocare l'esistenza di clausole abusive contenute nel contratto di cui si chiede l'esecuzione forzata, e ciò anche se tale consumatore abbia a disposizione, in applicazione del diritto nazionale, un'azione giudiziaria imprescrittibile ai fini dell'accertamento dell'esistenza di clausole abusive, che consente al giudice di sospendere l'esecuzione forzata.

Il Tribunale di Bucarest ha rigettato l'opposizione, ritenendola tardiva in quanto il diritto del consumatore non può essere esercitato ad libitum, senza essere soggetto ai termini legalmente statuiti a tal fine.

Avverso tale sentenza i debitori hanno proposto appello dinanzi al Tribunale superiore di Bucarest, che ha sospeso il procedimento investendo la CGE della seguente questione pregiudiziale.

Il Giudice rumeno ha chiesto se la direttiva 93/13 osta a una norma di diritto interno che non consente, scaduto il termine di quindici giorni impartito da tale disposizione, al giudice dell'esecuzione investito di un'opposizione all'esecuzione di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, costituente titolo esecutivo, di valutare, d'ufficio o su domanda del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di tale contratto, quando tale consumatore ha a disposizione, peraltro, un ricorso nel merito che comunque gli consente di chiedere al giudice investito di tale ricorso di procedere a un siffatto controllo e di ordinare la sospensione dell'esecuzione forzata fino all'esito di detto ricorso, conformemente ad altra disposizione di tale diritto nazionale.

La questione

La questione posta al vaglio della Suprema Corte di Giustizia riguarda la garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale del consumatore nel diritto procedurale degli stati membri.

Le soluzioni giuridiche

Appare anzitutto opportuno delineare il quadro normativo in cui si colloca la sentenza commentata.

La Direttiva CEE 93/13, all'articolo 6, paragrafo 1, sancisce nei contratti stipulati tra consumatore e professionista (denominati con l'acronimo b2c) la non vincolatività delle clausole abusive nei confronti del consumatore, ritenendo che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista sia per quanto concerne il potere negoziale sia per il livello di informazione(v., in particolare, sentenze del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C 154/15, C 307/15 e C 308/15, nonché del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C 421/14, EU:C:2017:60).

La Corte di Giustizia Europea, nella sua copiosa giurisprudenza, al fine di garantire l'effettività della tutela del consumatore, ha imposto al giudice l'obbligo di esaminare -anche d'ufficio- l'eventuale natura abusiva delle clausole contenute nel b2c, dandone adeguata motivazione nel provvedimento.

Già in passato (sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C 415/11, EU:C:2013:164, punto 46 e giurisprudenza ivi citata; del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C 154/15, C 307/15 e C 308/15, EU:C:2016:980, punto 58, nonché del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C 421/14, EU:C:2017:60, punto 43, sent. 26 gennaio 2017, causa C-421/14), è stato evidenziato che, se l'eventuale natura abusiva di una o di più clausole del contratto controverso non era stata esaminata nell'ambito di un precedente controllo giurisdizionale, conclusosi con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, la direttiva n. 93/13 impone al giudice nazionale, adito dal consumatore mediante un'opposizione incidentale ad un procedimento di esecuzione, di valutare, su istanza delle parti o d'ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l'eventuale abusività di tali clausole.

La Corte ha delineato il modo in cui il giudice nazionale deve assicurare la tutela dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva in parola, rimarcando l'obbligo per gli Stati membri di garantire l'effettiva tutela giurisdizionale dei diritti derivanti dalla direttiva 93/13, tutela sancita dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e riaffermata all'articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C 776/19 a C 782/19, EU:C:2021:470).

In particolare, Il Tribunale di Bucarest, nel rinvio pregiudiziale alla Corte Europea, ritenendo che la fattispecie sottoposta al suo esame sia simile a quella decisa con la sentenza C-75/19 dalla Corte Europea, richiama il punto 34 dell'ordinanza del 6 novembre 2019 (C‑75/19), che statuisce che la direttiva 93/13 va interpretata nel senso che essa osta a una norma di diritto nazionale in forza della quale un consumatore, che ha stipulato un contratto di mutuo presso un istituto di credito e contro il quale tale professionista ha avviato un procedimento di esecuzione forzata, è decaduto, dopo un termine di quindici giorni a partire dalla notifica dei primi atti di tale procedimento, dall'invocare l'esistenza di clausole abusive per opporsi a detto procedimento.

Il giudice del rinvio chiede se tale interpretazione valga anche nel caso in cui il giudice investito di un ricorso nel merito sia competente per sospendere l'esecuzione forzata.

Investita della questione, la Corte lussemburghese ha preliminarmente evidenziato che il principio di effettività della tutela giurisdizionale del consumatore è garantito se l'ordinamento nazionale riconosce al consumatore la facoltà di proporre, dinanzi al giudice del merito, un'azione di diritto ordinario diretta a far verificare il carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui si chiede l'esecuzione forzata nell'ambito della quale può ottenere da tale giudice che sospenda detta esecuzione, ovviando così al rischio che il procedimento di esecuzione forzata si concluda prima dell'esito dell'azione di accertamento dell'esistenza di clausole abusive.

La Corte ha richiamato, tra le altre, l'importante sentenza del 17 maggio 2022, ed evidenzia che le fattispecie che hanno dato origine alla pronuncia della sopracitata sentenza e alla domanda di rinvio pregiudiziale, sono in parte differenti, in quanto nel primo caso, il giudice dell'opposizione non aveva la facoltà di controllare il carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto, mentre, nella controversia che ha dato luogo al presente rinvio pregiudiziale, tale giudice ha la possibilità se adito entro un termine di quindici giorni. Ciò nonostante, la questione essenziale che entrambe le fattispecie postulano, è se la facoltà per il consumatore, di presentare un ricorso nel merito nell'ambito del quale può chiedere la sospensione dell'esecuzione forzata sia tale, tenuto conto delle modalità di una siffatta sospensione, da garantire l'effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13.

L'esame del contesto procedurale nazionale evidenzia come l'effettività della tutela giurisdizionale del consumatore non è assolutamente garantita. Difatti, l'art. 719 del Codice di procedura civile rumeno imponendo al consumatore che chiede la sospensione del procedimento di esecuzione forzata il versamento di una cauzione calcolata sulla base del valore dell'oggetto del ricorso, di fatto scoraggia lo stesso dall'introdurre la relativa azione giudiziaria, essendo, peraltro probabile che un debitore insolvente non disponga della somma richiesta.

In questo stato di cose l'effettività della tutela giurisdizionale dei diritti viene meno ogni qualvolta che un debitore insolvente non disponga delle risorse finanziarie necessarie per costituire la garanzia richiesta.

Conclude la Corte, statuendo che il giudice nazionale investito di un'opposizione all'esecuzione forzata di un siffatto contratto ha l'obbligo di esaminare d'ufficio se le clausole di quest'ultimo presentino un carattere abusivo, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione nazionale che osti a un siffatto esame.

Osservazioni

La pronuncia in commento costituisce un altro importante tassello che si aggiunge alle sentenze pronunciate dalla CGUE in data 17 maggio 2022, rappresentando un monito per il nostro giudice nazionale, specie alla luce del vademecum elaborato dalle Sezioni Unite con la sentenza del 6 aprile 2023, n. 9479.

Ed infatti, la Corte lussemburghese, nella motivazione, ribadisce e meglio specifica quanto già affermato con le sentenze di maggio 2023 e cioè che il giudice dell'esecuzione resta comunque il baluardo della effetività della tutela del consumatore. Sul punto va pure brevemente ricordato che, in linea di principio, il diritto dell'Unione non armonizza le procedure applicabili all'esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale e che tali procedure rientrano dunque nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio dell'autonomia processuale di questi ultimi. Resta, tuttavia, ferma una peculiare condizione e cioè che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o o anche solo eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione, nel rispetto appunto del principio di effettività (v., in particolare e per tutte la sentenza della Corte di giustizia, 26 giugno 2019, Addiko Bank, C-407/18, EU:C:2019:537, punti 45 e 46 nonché giurisprudenza ivi citata).

Riferimenti

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Fiengo, Giudicato da decreto ingiuntivo non opposto: quando è superabile?, in questa rivista;

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Soldi – Capponi, Consumatore e decreto ingiuntivo: le soluzioni ermeneutiche percorribili per l'integrazione tra diritto eurounitario e diritto interno, in judicium.it.