Opponibilità del giudicato penale ex art. 654 c.p.p. al datore di lavoro

24 Maggio 2023

Con l'Ordinanza n. 9454/2023 la S.C. ha asserito l'applicabilità dell'art. 654 c.p.p. nei giudizi civili o amministrativi non vertenti sul risarcimento del danno o sulle restituzioni; ma su un diritto soggettivo o interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che, furono oggetto del giudizio penale, e solo nei confronti dei soggetti che, si siano costituiti o siano intervenuti nel processo penale.
Massima

Con l'ordinanza n. 9454 del 6 aprile 2023, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto: “Ai sensi dell'articolo 654 c.p.p., nei giudizi civili o amministrativi non di danno; nel giudizio relati- vo alla legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore per il medesimo fatto per cui egli sia stato assolto, il giudicato penale di assoluzione non è opponibile a soggetti, che non abbiano partecipato al relativo processo”.

Il caso

La Corte territoriale premetteva che al ricorrente, dipendente di una società operante nel mercato dell'energia, era stato contestato di aver effettuato un allaccio diretto alla rete elettrica mediante cavi passanti all'interno della sua proprietà, rinvenuti nel corso di una verifica disposta in seguito ad una segnalazione anonima, allaccio non comunicato dal (OMISSIS) alla società mediante il quale aveva sottratto energia; riteneva il fatto non contestato nella sua materiale esistenza, che la contestazione disciplinare sul punto non era per nulla generica e che, rispetto alle risultanze istruttorie evidenziate, fosse del tutto irrilevante la circostanza dell'assoluzione, in sede penale, del (OMISSIS) dal reato contestatogli (furto di energia elettrica) sulla base dei fatti accertati in occasione del sopralluogo del 9 giugno 2016. Concludeva, in definitiva, che nessuno dei motivi di reclamo potesse trovare accoglimento.

L'ordinanza

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva che, nel caso in esame può venire in considerazione (non l'art. 653 c.p.p., che concerne l'efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare, ma) trattandosi di procedimento civile riguardante un licenziamento disciplinare, l'articolo 654 c.p.p., che regola l'"Efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi".

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, ai sensi dell'articolo 654 c.p.p., nei giudizi civili o amministrativi non di danno, il giudicato penale di assoluzione non è opponibile a soggetti, che non abbiano partecipato al relativo processo (cfr. anche Cass. civ., sez. lav., 17 luglio 2020, n. 15344).

Poiché, difatti, l'impugnante neppure aveva allegato che, la sua datrice di lavoro avesse preso parte ad un qualsiasi titolo al relativo procedimento penale conclusosi con quella decisione; conseguentemente, detta sentenza di assoluzione non era vincolante per i giudici di merito di questo procedimento civile.

La questione

La questione in esame è la seguente: Se il Giudice civile è chiamato a giudicare sulla legittimità di un licenziamento per asserita giusta causa, determinato da un contegno astrattamente integrante gli estremi di un reato, su cui pende un procedimento, può procedere con autonomia all'accertamento dei fatti e della responsabilità del lavoratore? Cosa accade se il giudizio sulla legittimità del licenziamento si svolga quando sia già intervenuta, sullo stesso fatto, una sentenza penale passata in giudicato?

Soluzioni giuridiche

Rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare

Nel nostro Ordinamento vige il principio di autonomia tra procedimento penale e procedimento disciplinare: il datore di lavoro, venuto a conoscenza di un fatto che abbia rilievo sia, disciplinare che, penale, può esercitare il potere disciplinare senza attendere gli esiti del procedimento penale. Infatti, il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva in ambito penale, sancito dall'art. 27, c. 2, Cost., non si applica estensivamente o per analogia all'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, poiché concerne solo le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato.

L'azione disciplinare si caratterizza per la necessaria immediatezza della contestazione dell'illecito, astrattamente mal conciliabile con le tempistiche del procedimento penale. Oltre all'immediatezza, l'azione disciplinare è informata al principio dell'immutabilità, sicché la contestazione, oltre che immediata, deve essere sufficientemente precisa, specifica e articolata. Nel caso in cui, il datore di lavoro non riesca ad esercitare l'azione disciplinare con adeguata precisione, perché impossibilitato nella cognizione del fatto addebitabile al proprio dipendente, può posticipare l'esercizio del potere disciplinare fino all'esito del procedimento penale, senza che possa ritenersi tardi- va la contestazione intervenuta dopo tale momento. Può accadere che, nelle more dello svolgimento del procedimento penale, il datore di lavoro disponga la sospensione cautelare dal lavoro, prevista dal CCNL di categoria.

Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile

Esistono delle eccezioni al principio di autonomia del giudizio penale rispetto al giudizio civile, re- golate nel codice di procedura penale (c.p.p.). Il codice, infatti, distingue a seconda che si tratti di giudizio per le restituzioni o per il risarcimento del danno dovuti dal condannato o dal responsabile civile (artt. 651 c.p.p. e 652 c.p.p.), di giudizio per l'accertamento della responsabilità disciplinare del pubblico dipendente (art. 653 c.p.p.), o di altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 c.p.p.).

Nel rapporto di lavoro privato, il giudizio di impugnazione del licenziamento rientra nell'ultima previsione (art. 654 c.p.p.). Questa norma prevede che, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che, si sia costituito o che, sia intervenuto nel processo penale: la norma, pertanto, circoscrive l'efficacia del giudicato penale alle sole parti che, abbiano concretamente partecipato al giudizio penale; inoltre, i fatti ritenuti rilevanti in sede penale ai fini della decisione, devono avere rilevanza decisiva anche in sede civile e la legge civile non deve porre limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa. In assenza di solo una di tali condizioni, la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnazione della sanzione disciplinare e il giudice civile dovrà provvedere autonomamente all'accertamento ed alla valutazione dei fatti posti alla base del licenziamento per asserita giusta causa.

Le regole sopra descritte non destano particolari problemi nel caso di sentenze penali di condanna; diverso il discorso delle sentenze penali di assoluzione, tali pronunce conservano il loro effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contengono un accertamento specifico ed effettivo in ordine alla insussistenza del fatto e della partecipazione dell'imputato. Qualora l'assoluzione sia stata pronunciata a norma dell'art. 530 comma 2 c.p.p. (ossia quando “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”) ovvero, in caso di carenza dell'elemento soggettivo (formula assolutoria: “perché il fatto non costituisce reato”), tali pronunce non vincolano il giudice civile che, potrebbe rilevare la legittimità del licenziamento essendo venuto a mancare il legame di fiducia con il datore di lavoro. Le pronunce di condanna rese al di fuori del dibattimento non acquistano efficacia di giudicato nei giudizi extra-penali; manca, infatti, l'accertamento giudiziale sulla base di prove assunte e discusse in dibattimento.

La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti a mente dell'art. 444 c.p.p., (la c.d. sentenza di “patteggiamento”) ancorché inidonea a vincolare il Giudice civile, ha finito per acquisire valore probatorio dinnanzi a quest'ultimo.

Osservazioni

La Suprema Corte, in conclusione, rileva una eccezione ai principi ribaditi nelle sentenze precedenti con riferimento soprattutto ai procedimenti disciplinari ove deduceva: che “Ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale, né la mancata attivazione del processo penale per il medesimo fatto addebitato, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso” (Cass. n. 21549/2019); inoltre che, “In tema di licenziamento disciplinare, non è rilevante l'assoluzione in sede penale circa i fatti oggetto di contestazione, bensì l'idoneità della condotta a ledere la fiducia del datore di lavoro, al di là della sua configurabilità come reato, e la prognosi circa il pregiudizio che agli scopi aziendali deriverebbe dalla continuazione del rapporto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, aveva ravvisato l'ipotesi del trafugamento di beni aziendali, di cui all'art. 25 del c.c.n.l. metalmeccanici del 7 maggio 2003, nonostante l'assoluzione del dipendente in sede penale con la formula perché il fatto non costituisce reato)” (Cass. 7127/2017); stabilendo che, “Nel giudizio relativo alla legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore per il medesimo fatto per cui egli sia stato assolto, il giudicato penale sia opponibile, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., al datore di lavoro solo se questi abbia preso parte al relativo giudizio penale”.

Tra le varie formule di assoluzioni nel giudizio penale, tuttavia, solo le sentenze di assoluzione con formula piena, vincolano il Giudice Civile, giacché se il fatto non è stato provato; non vi sia prova che l'imputato lo abbia commesso, o se il fatto non costituisca reato, il Giudice del lavoro potrà dichiarare un eventuale licenziamento, fondato sugli stessi fatti del giudizio penale, legittimo e confermare gli assunti del Datore di lavoro.

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