Il Trust non è fittizio se non residuano in capo al disponente poteri di gestione e controllo
25 Maggio 2023
Il caso. Un imprenditore impugnava un avviso di accertamento tramite il quale l'Ufficio recuperava a tassazione una maggiore Irpef per l'anno 2010 assumendo che il contribuente aveva detenuto all'estero possidenze non dichiarate attraverso l'interposizione fittizia di un trust. Il ricorrente osservava di aver costituito un trust nel Jersey, non essendo prevista nel 2010 alcuna legislazione in Italia. Successivamente, aveva trasferito la sede del trust in Nuova Zelanda, paese che aveva stipulato un accordo contro le doppie imposizioni con l'Italia avviando una fase di rapporti di collaborazione e scambio di informazioni con le autorità italiane. Quindi, alla fine del 2012, il trust veniva trasferito in Italia, dove l'attuale legislazione ne prevede l'assoggettamento ad imposizione, circostanza che, a suo dire, confermava l'assenza di qualsiasi intento di sottrarre ad imposizione i redditi del trust. Con riferimento al regolamento del trust, il ricorrente sottolineava che trattavasi di un trust discrezionale e irrevocabile, in cui il disponente «non aveva più alcun potere di disposizione dei beni caduti in trust». Si costituiva l'Ufficio sostenendo la fittizietà del trust desumibile attraverso le vicende e modifiche degli assets del trust e dei suoi beneficiari nel corso del tempo, nonché attraverso l'esame delle clausole dell'atto costitutivo che avrebbero dimostrato come il vero dominus risultasse ancora il disponente. I giudici di prime cure respingevano il ricorso avallando l'operato dell'Amministrazione finanziaria.
“Il cambio di rotta”. I giudici di secondo grado ribaltano l'esito della controversia a favore della parte privata. La Corte, dopo aver ricordato che l'istituto del trust, di origine anglosassone, ha trovato cittadinanza nella legislazione italiana, ha individuato quale punto centrale della controversia verificare se l'istituzione del trust rispondesse ad un effettivo piano di segregazione patrimoniale mediante la costituzione di un autonomo centro di imputazione di effetti giuridici ovvero se, al contrario, il trust venisse utilizzato come mero schermo. In questo secondo caso, i redditi formalmente riconducibili al trust avrebbero dovuto essere imputati all'interponente.
I giudici hanno osservato come elementi dirimenti siano: a) i poteri che il disponente riserva a sé stesso nella vita del trust, essendo incompatibile con la struttura di un trust effettivo la presenza di poteri gestori in capo al disponente ovvero di poteri di indirizzo del trustee; b) la revocabilità ad nutum ed in qualsiasi momento del trust da parte del disponente; c) la revocabilità del guardiano sempre ad iniziativa esclusiva di quest'ultimo.
Nel caso di specie, il Collegio non ha ravvisato alcuna delle citate ipotesi tali da potersi affermare che residuassero in capo al disponente poteri di gestione e controllo del trust sì da farlo apparire un mero simulacro privo di vita e consistenza. Gli elementi addotti dall'Ufficio in relazione alle clausole dell'atto istitutivo, secondo gli interpreti, non dimostravano il contrario:
Alla luce delle suddette argomentazioni, i giudici tributari ambrosiani hanno concluso per la carenza di indizi gravi, precisi e concordanti che, ai sensi dell'art. 37, comma 3, d.P.R. 600/73, consentono di ritenere fittizio il trust. |