Il Trust non è fittizio se non residuano in capo al disponente poteri di gestione e controllo

25 Maggio 2023

Per sostenere che il trust sia utilizzato come mero schermo sono da considerare elementi dirimenti i poteri che il disponente riserva a sé stesso nella vita del trust, essendo incompatibile con la struttura di un trust effettivo la presenza di poteri gestori in capo al disponente ovvero di poteri di indirizzo del trustee, la revocabilità ad nutum ed in qualsiasi momento del trust da parte del disponente, la revocabilità del guardiano sempre ad iniziativa esclusiva di quest'ultimo. Qualora non ricorra una delle citate ipotesi, non si può affermare che residuino in capo al disponente poteri di gestione e controllo del trust tali da farlo apparire un mero simulacro privo di vita e consistenza. Così si pronuncia la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 909 del 7 marzo 2023.

Il caso. Un imprenditore impugnava un avviso di accertamento tramite il quale l'Ufficio recuperava a tassazione una maggiore Irpef per l'anno 2010 assumendo che il contribuente aveva detenuto all'estero possidenze non dichiarate attraverso l'interposizione fittizia di un trust. Il ricorrente osservava di aver costituito un trust nel Jersey, non essendo prevista nel 2010 alcuna legislazione in Italia. Successivamente, aveva trasferito la sede del trust in Nuova Zelanda, paese che aveva stipulato un accordo contro le doppie imposizioni con l'Italia avviando una fase di rapporti di collaborazione e scambio di informazioni con le autorità italiane. Quindi, alla fine del 2012, il trust veniva trasferito in Italia, dove l'attuale legislazione ne prevede l'assoggettamento ad imposizione, circostanza che, a suo dire, confermava l'assenza di qualsiasi intento di sottrarre ad imposizione i redditi del trust. Con riferimento al regolamento del trust, il ricorrente sottolineava che trattavasi di un trust discrezionale e irrevocabile, in cui il disponente «non aveva più alcun potere di disposizione dei beni caduti in trust». Si costituiva l'Ufficio sostenendo la fittizietà del trust desumibile attraverso le vicende e modifiche degli assets del trust e dei suoi beneficiari nel corso del tempo, nonché attraverso l'esame delle clausole dell'atto costitutivo che avrebbero dimostrato come il vero dominus risultasse ancora il disponente. I giudici di prime cure respingevano il ricorso avallando l'operato dell'Amministrazione finanziaria.

“Il cambio di rotta”. I giudici di secondo grado ribaltano l'esito della controversia a favore della parte privata. La Corte, dopo aver ricordato che l'istituto del trust, di origine anglosassone, ha trovato cittadinanza nella legislazione italiana, ha individuato quale punto centrale della controversia verificare se l'istituzione del trust rispondesse ad un effettivo piano di segregazione patrimoniale mediante la costituzione di un autonomo centro di imputazione di effetti giuridici ovvero se, al contrario, il trust venisse utilizzato come mero schermo. In questo secondo caso, i redditi formalmente riconducibili al trust avrebbero dovuto essere imputati all'interponente.

I giudici hanno osservato come elementi dirimenti siano:

a) i poteri che il disponente riserva a sé stesso nella vita del trust, essendo incompatibile con la struttura di un trust effettivo la presenza di poteri gestori in capo al disponente ovvero di poteri di indirizzo del trustee;

b) la revocabilità ad nutum ed in qualsiasi momento del trust da parte del disponente;

c) la revocabilità del guardiano sempre ad iniziativa esclusiva di quest'ultimo.

Nel caso di specie, il Collegio non ha ravvisato alcuna delle citate ipotesi tali da potersi affermare che residuassero in capo al disponente poteri di gestione e controllo del trust sì da farlo apparire un mero simulacro privo di vita e consistenza. Gli elementi addotti dall'Ufficio in relazione alle clausole dell'atto istitutivo, secondo gli interpreti, non dimostravano il contrario:

  • le limitazioni al potere di gestione degli assets, rappresentati da partecipazioni sociali, non implicavano automaticamente che dette partecipazioni rimanessero sotto il controllo del disponente, trattandosi di clausole che rispondevano verosimilmente e esclusivamente all'esigenza di garantire stabilità all'azionariato delle società partecipate e al loro management;
  • gli amministratori, che il trustee non avrebbe avuto potere di rimuovere (se non in caso di infedeltà patrimoniali), erano soggetti diversi dal disponente sicché non si poteva neppure ritenere che egli si fosse assicurato con tale clausola la gestione indisturbata delle società partecipate dal trust;
  • il vincolo fiduciario imposto a favore di altro trust era pur sempre di competenza del trustee e del protector che non dovevano chiedere il benestare del disponente;
  • la circostanza che il disponente fosse tra i beneficiari del trust non appariva dirimente per ritenerlo un trust fittizio, atteso che è la stessa Convenzione dell'Aja a prevedere tale facoltà per il disponente. Il fatto che nel corso del tempo fossero mutati i beneficiari è apparso ai giudici in sé elemento neutro essendo rispondente all'id quod plerumque accidit che un trust possa avere tra i beneficiari anche enti caritatevoli (in ogni caso, il disponente non aveva mai fatto mistero che la principale finalità perseguita con l'istituzione del trust fosse quella della segregazione di parte del patrimonio nell'interesse della propria famiglia);
  • la circostanza che i poteri del protector nei riguardi del trustee fossero molto ampi (come evidenziato dall'Ufficio in virtù del necessario suo preventivo consenso alle modifiche più significative dell'atto istitutivo), posto che risultava incontestato che il protector fosse persona diversa dal disponente, è apparsa ai giudici fisiologica la presenza di un guardiano con poteri penetranti di controllo nei confronti del trustee al funzionamento del trust (anzi, l'assenza di tale figura ovvero la sua configurazione con poteri limitati, potrebbe al contrario essere indizio di un trust simulato, non essendo interesse del disponente, perpetuo dominus sui propri beni, istituire efficaci strumenti di controllo sulla gestione);
  • infine, con riferimento al complesso delle operazioni poste in essere in concreto che, secondo la tesi erariale, dimostravano palesemente come il trust fosse stato piegato alla volontà del disponente ed alla pianificazione fiscale, così come si è evoluta nel tempo fino a trasferire tutto il patrimonio in Italia, la Corte ha ritenuto che non si trattasse di elementi da cui trarre la prova che il disponente fosse il reale gestore dei beni.

Alla luce delle suddette argomentazioni, i giudici tributari ambrosiani hanno concluso per la carenza di indizi gravi, precisi e concordanti che, ai sensi dell'art. 37, comma 3, d.P.R. 600/73, consentono di ritenere fittizio il trust.

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