La demolizione e ricostruzione di un edificio comporta il rispetto delle distanze dagli edifici adiacenti
26 Maggio 2023
Il caso. Una struttura alberghiera agiva in giudizio avverso i vicini istando per la condanna degli stessi alla demolizione e arretramento di una abitazione munita di autorimessa e posta su un terrapieno adiacente all'albergo.
A detta degli attori, infatti, i convenuti avevano demolito una precedente struttura e l'avevano ricostruita con un volume maggiore e più aderente rispetto al confine divisorio tra le due proprietà, comunque a distanza inferiore rispetto a quanto previsto dall'art. 9 D.M. n. 1444/1968.
Tale norma sosteneva, in sintesi, che «1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; 3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di: i) ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7; ii) ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15; iii) ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15 […]».
Si difendevano i convenuti affermando la legittimità della costruzione per il rispetto delle distanze. Sia il Tribunale, che successivamente la Corte d'Appello, accoglievano la tesi degli attori e condannavano i convenuti all'arretramento della struttura.
La Cassazione illustra la normativa sulle distanze e conferma la decisione d'appello sul punto. A seguito dei gradi di merito, il giudizio approdava in Cassazione seguendo il ricorso depositato da parte dei convenuti e il controricorso dell'albergo. Nel ricorso, sostanzialmente, i convenuti insistevano per la correttezza della loro opera e contestavano la decisione d'appello per non avere la stessa tenuto conto della normativa e delle decisioni del TAR nel frattempo intervenute.
Con la sentenza in esame, la Cassazione rigettava il ricorso dei convenuti. La motivazione alla base della decisione era la seguente: in merito alle decisioni del TAR, la Cassazione confermava che, laddove queste si fossero pronunciate sul merito, allora le risultanze processuali avrebbero dovuto essere considerate anche ai fini della decisione civile. Nel caso che ci occupa, tuttavia, i ricorsi al TAR dei convenuti in materia edilizia si erano risolti con un rigetto per vizi rituali quali l'omessa notifica alla Regione e la tardività dell'azione. Le relative decisioni, quindi, nulla pronunciavano nel merito e non potevano fare stato nel processo civile.
Quanto alla materia del contendere, la Cassazione specificava come la disciplina italiana sulle distanze aveva subito negli anni diverse modifiche. L'ultima riforma, operata dalla l. n. 120/2020, aveva preso in considerazione casi come quello oggetto della lite. Secondo i Giudici, la disciplina specificava che, in materia di demolizione e ricostruzione, il proprietario era tenuto a ricostruire l'immobile demolito avendo contezza sia della precedente volumetria, che delle distanze dagli edifici adiacenti. Una maggiore volumetria di ricostruzione, in parziale deroga al principio illustrato, avrebbe potuto essere concessa dalla P.a. solo nel contesto di un intervento di rigenerazione urbana. Salvo tale eccezione la disciplina introdotta dalla l. n. 120/2020, che persegue esigenze di carattere pubblico, obbliga, in caso di demolizione con ricostruzione (e quindi anche con aumento di volumetria nei casi di cui all'art. 3 lett. D del TUE), al rispetto delle distanze preesistenti rispetto agli edifici circostanti. Come chiarito dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (d.l. n. 76/2020), l'art. 2, comma 1-ter, ha «rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma ma solo per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana».
Nel caso oggetto del giudizio non vi era alcun piano di rigenerazione urbana e conseguentemente aveva avuto ragione la Corte d'Appello a condannare i convenuti all'arretramento della struttura alle distanze di legge. Sul punto, quindi, la Cassazione rigettava il ricorso e confermava la decisione d'appello. Diversamente, in accoglimento di un motivo del controricorso, la Suprema Corte affermava come la Corte d'Appello avesse errato nel non considerare come – in materia di distanze legali – il terrapieno e muro di contenimento dovessero essere considerati come parte della struttura e soggetti quindi al rispetto delle distanze dall'edificio adiacente (così, ex multis, anche Cass. n. 23843/2018). Con il rispetto di tale principio, affermava l'albergo, vi sarebbe stata una violazione delle distanze ancora più evidente da parte dei vicini. Pertanto, la Cassazione annullava la decisione di Appello e rinviava al giudice di merito per un riesame della vicenda. (Fonte: Diritto e Giustizia) |