Ristrutturazione dei debiti del sovraindebitato e silenzio-assenso dell'Agenzia Riscossione se non risulta provato il dissenso dell'ente impositore

Giuseppina Satta
26 Maggio 2023

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto non validamente espresso il voto contrario dell'Agenzia dell'Entrate Riscossione in difetto di prova del dissenso espresso dall'ente impositore.

La Prima Sezione Civile ha statuto che l'Agenzia dell'Entrate Riscossione agisce quale mero nuncius dell'ente impositore titolare del credito, avendo l'onere di documentare la volontà di quest'ultimo. Sennonché, in mancanza di qualsivoglia prova al riguardo, l'eventuale dissenso espresso dalla ridetta Agenzia non può considerarsi concretamente riconducibile agli effettivi titolari dei corrispondenti crediti, i quali devono pertanto intendersi come rimasti inerti, ai sensi dell'art. 11, comma 1, L. 3/2012. In tale ipotesi opera la regola del silenzio-assenso.

La questione in lite

Il giudice delegato del Tribunale di Cosenza respingeva la richiesta di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti presentato da Alfa S.n.c. non avendo la stessa ottenuto le maggioranze necessarie. Il Tribunale respingeva il reclamo ex art. 12, comma 2, L. 3/2012, avanzato da Alfa, la quale riteneva che la manifestazione di dissenso all'omologazione del concordato di due creditori, tra i quali l'Agenzia dell'Entrate (AGE), fosse “viziata” e dovesse per l'effetto essere conteggiata come “silenzio assenso”. Segnatamente AGE, pur avendo tempestivamente inviato una comunicazione PEC esprimendo il proprio dissenso «limitatamente alla parte di credito erariale iscritta a ruolo ed oggetto di falcidia», non aveva allegato la sottoscrizione del suo procuratore speciale. Il Tribunale riteneva comunque validamente espresso il dissenso da parte di AGE la quale, a posteriori, aveva sanato il vizio.

Per quanto di interesse il Tribunale osservato che: «la l. n. 3/2012, a differenza di quanto previsto dalla l. fallimentare per procedure concorsuali affini, quali il concordato, non configura una vera e propria votazione dei creditori, disciplinando, piuttosto, un procedimento di espressione del consenso da parte dei creditori ad una proposta contrattuale» riteneva che «il meccanismo del silenzio assenso previsto dall'art. 11, comma 1, L. 3/2012 riguardi la sola ipotesi della mancata espressione del consenso nel termine stabilito dalla medesima norma; in presenza, invece, di un consenso ritenuto viziato, saranno applicabili le norme del codice civile, che danno spazio all'indagine sulla volontà delle parti e prevedono forme di sanatoria del consenso viziato (nei casi in cui il vizio è causa di annullabilità e non di nullità)».

Alfa proponeva ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 c.p.c.

La valenza del silenzio assenso

Ricorda in primo luogo la Suprema Corte come il citato art. 11, comma 1, L. 3/2012 stabilisca che «i creditori fanno pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, all'organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come eventualmente modificata almeno dieci giorni prima dell'udienza di cui all'art. 10, comma 1. In mancanza, si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro comunicata». Osservano i Giudici di legittimità come il tenore della norma debba intendersi nel senso che nel termine perentorio di dieci giorni prima dell'udienza, i creditori possono esprimere non solo il proprio consenso, ma anche il proprio dissenso rispetto alla proposta. Trova pertanto applicazione la regola del cd. silenzio-assenso: i creditori possono cioè comunicare il proprio consenso o dissenso, ma se non si esprimono nei termini concessi sono considerati consenzienti ed inclusi tra i creditori favorevoli nel computo della maggioranza. Regola, questa, introdotta con l'evidente intento di facilitare il raggiungimento della maggioranza, ricomprendendo i creditori apatici e disinteressati tra i favorevoli, e che rappresenta sicuro indice del favor del legislatore per la procedura di accordo.

Rilevano quindi i Giudici come:

  • l'udienza ex art. 10 della legge n. 3/2012 non equivale ad un'adunanza dei creditori, nella quale illustrare, discutere e votare sulla proposta, perché non avrebbe senso discutere e votare quando le dichiarazioni di consenso o dissenso devono già essere necessariamente pervenute almeno dieci giorni prima;
  • la trasmissione all'organismo di composizione della dichiarazione di consenso o dissenso non consuma il diritto del creditore e, pertanto, lo stesso sarà libero di modificare o revocare la precedente comunicazione, trasmettendone un'altra in sostituzione entro il ridetto termine predetto.

L'interpretazione restrittiva del silenzio assenso e la invalidità del dissenso espresso da AGE

Ritiene la Corte che, sebbene sia condivisibile l'assunto del Tribunale secondo cui l'ipotesi del silenzio assenso debba essere inteso in senso restrittivo, cioè come un comportamento assolutamente inerte del creditore nel termine di dieci giorni assegnatogli dalla legge, non lo è invece la conclusione che lo stesso ha tratto circa la validità della manifestazione di dissenso fatta pervenire nella fattispecie da AGE. La Corte ricorda al riguardo l'orientamento di legittimità secondo cui, per stabilire la validità, o meno, del dissenso espresso da Agenzia delle Entrate Riscossione, occorra «fare applicazione dei principi generali, secondo cui il diritto di voto (nel concordato, così come nelle procedure di sovraindebitamento) spetta al titolare del credito, ovvero al soggetto che, avendo la piena disponibilità del relativo diritto, può decidere della convenienza di una proposta che ne preveda il pagamento non integrale o dilazionato» (cfr. Cass. n. 35976/2022). Sulla base di siffatto orientamento è indubbio che l'Agente della Riscossione non abbia ex sé la facoltà di disporre dei crediti iscritti a ruolo, di cui deve solo curare l'esazione, attraverso rinunce, dilazioni o quant'altro implicato dalla valutazione di convenienza della proposta del debitore. L'AGE può difatti esprimere il consenso/dissenso quale mero nuncius dell'ente impositore, ciò presupponendo che risulti accertato in giudizio che l'AGE medesima abbia agito in tale veste, limitandosi a comunicare la volontà espressa, e documentata, dell'ente titolare del credito. Sennonché, in mancanza di qualsivoglia accertamento sul punto, e in mancanza di una eventuale “delega generalizzata” rilasciatale allo scopo dagli enti impositori, il dissenso espresso da AGE non può considerarsi validamente espresso.

Conclude quindi la Corte di Cassazione che nell'impossibilità di verificare la legittima espressione di quel dissenso da parte degli “uffici fiscali”, e non essendo concretamente riconducibile, quel dissenso, agli effettivi titolari dei corrispondenti crediti, essi devono intendersi come rimasti inerti, giusta l'art. 11, comma 1, L. 3/2012, rispetto alla proposta di accordo di Alfa.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it



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