La valutazione ex post della pericolosità in concreto della condotta distrattiva e del dolo sulla base di c.d. indici di fraudolenza

30 Maggio 2023

La Cassazione Penale affronta il tema dell'accertamento dell'elemento oggettivo e soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione mediante il ricorso ai c.d. indici di fraudolenza, sintomatici della scientia fraudis.
Massima

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell'amministratore di una società che proceda al rimborso di finanziamenti da lui erogati in qualità di socio in violazione della regola della postergazione di cui all'art. 2467 cod. civ. La valutazione della pericolosità in concreto della condotta distrattiva richiesta dalla norma incriminatrice, deve avvenire, sotto il profilo sia oggettivo sia soggettivo del dolo generico, attraverso prognosi postuma avente come punto di riferimento l'epoca di realizzazione delle condotte e sulla base di specifici elementi, c.d. indici di fraudolenza.

Il caso

In sede di giudizio abbreviato, l'amministratore unico e liquidatore di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita nel 2012 veniva condannato per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva per avere contribuito al peggioramento del dissesto attraverso la restituzione di finanziamenti effettuati dai soci in violazione dell'obbligo di postergazione rispetto ad altri creditori previsto dall'art. 2467 cod. civ., così riducendo la garanzia patrimoniale della società in un momento in cui la stessa già versava in uno stato di decozione.

Avverso la sentenza d'appello veniva proposto ricorso per Cassazione, con cui la difesa dell'imputato sosteneva:

(a.) l'insussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva poiché la diminuzione della consistenza patrimoniale non avrebbe comportato uno squilibrio tra attività e passività in grado di mettere in pericolo le istanze creditorie e, comunque, prima della sentenza di fallimento il patrimonio sociale era stato reintegrato, versandosi dunque in un caso di c.d. bancarotta riparata; secondo la difesa, al più avrebbe potuto trattarsi di bancarotta preferenziale;

(b.) l'insussistenza dell'elemento psicologico richiesto dal reato per l'impossibilità di affermare la consapevolezza in capo all'amministratore del dissesto della società o della prevedibilità dello stesso nel momento in cui ha effettuato le restituzioni;

(c.) l'illegittimità costituzionale degli artt. 216 co.1, n. 1) l. fall., in combinato disposto con gli artt. 2467 cod. civ. e 42, 43 cod. pen. per contrasto con gli artt. 24 e 27 Cost. poiché, secondo diritto vivente, la valutazione di responsabilità è correntemente effettuata sulla base di elementi ex post (quali la relazione del curatore fallimentare ex art. 33 l. fall.), non nella conoscenza del soggetto attivo del reato di bancarotta al momento del fatto, giungendosi in tal modo ad una affermazione a titolo di responsabilità oggettiva, e in particolare di responsabilità c.d. da posizione.

Le questioni giuridiche

La prima questione affrontata dalla sentenza attiene alla necessità di accertamento in merito alla effettività della diminuzione patrimoniale e dello squilibrio tra attività e passività.

Il tema, più volte ricorrente in materia, attiene alla corretta definizione dei limiti entro cui possa riconoscersi un'ipotesi di bancarotta c.d. “riparata”, in grado di far venir meno la sussistenza dell'elemento materiale del reato. In particolare, secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la bancarotta c.d. “riparata” può configurarsi allorquando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, in grado di reintegrare il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica della dichiarazione di fallimento, annullando in tal modo il pregiudizio dei creditori. Ne deriva che, grava sull'amministratore, resosi responsabile di condotte distrattive, l'onere di provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente posti in essere; con la conseguenza che la sola prospettazione, in assenza di effettivo assolvimento dell'onere probatorio, non può valutarsi più che ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6) cod. pen.

Quanto al tema (subordinato) della corretta qualificazione giuridica della restituzione dei finanziamenti di soci di società a responsabilità limitata, effettuati ‘in conto capitale' o con diciture similari in limine al dissesto della società, esso ruota attorno all'alternativa tra due differenti fattispecie di reato descritte dall'art. 216 co. 1l. fall.: la bancarotta patrimoniale fraudolenta per distrazione - che ricorre laddove si produca uno squilibrio tra attività e passività capace di porre in pericolo le ragioni della massa creditoria - e la bancarotta patrimoniale preferenziale di cui al co. 3 dello stesso art. 216 l. fall., caratterizzata invece dalla soddisfazione delle pretese di singoli creditori, senza attenzione alle modalità con cui potrebbe avvenire il riparto fallimentare, e senza rispettare l'esistenza di eventuali cause di prelazione o di privilegio.

La casistica interna al tema può raggrupparsi entro tre direttrici ermeneutiche, non in contrasto tra loro, che ruotano intorno al consolidato principio in forza del quale l'alternativa tra bancarotta distrattiva e bancarotta preferenziale deve essere risolta avuto riguardo alla ragione creditoria soddisfatta attraverso il prelievo di somme durante il dissesto della fallita (cfr. Cass. pen., sez. V, 21 giugno 2021, n. 32930).

Le tre classi di casi possono così definirsi sulla base di alcune massime giurisprudenziali divenute tralatizie:

(i.) il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti soci operati in ‘conto capitale', integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. Ciò in quanto i versamenti in conto capitale non danno luogo a un credito nel corso della vita della società, e, pertanto, nei confronti dei soci opera il criterio di postergazione previsto dall'art. 2467 cod. civ. (in tal senso: Sez. 5, n. 25773 del 20/2/2019; Sez. 5, n. 50188 del 10/5/17; Sez. 5, n. 41143 del 20/05/2014; Sez. 5, n. 34505 del 06/06/2014; Sez. 5, n. 42710 del 03/07/2012; Sez. 5, n. 25292 del 30/05/2012; Sez. 5, n. 2273 del 06/12/2004 - dep. 2005).

In altri termini, anche secondo quanto affermato dalle Sezioni civili della Suprema Corte, i versamenti ‘in conto capitale' (o con altra analoga dizione), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale – non occorrendo quindi che siano conseguenti a specifica delibera di aumento del capitale -, hanno tuttavia una causa che, di norma, è assimilabile a quella del capitale di rischio e ben differente rispetto a quella del mutuo; sicché, tali versamenti non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, ma possono essere chiesti dai soci in restituzione solo al momento dello scioglimento della società, nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione.

(ii.) tra la società e i soci può invece prevedersi l'erogazione di credito e i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo, riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche nel corso della vita della società (ex plurimis, Cass. civ., Sez. I, 31 marzo 2006, n. 7692); il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo o prestito integra la fattispecie di bancarotta preferenziale: in tal caso, i finanziamenti, non avendo natura di conferimenti di capitale di rischio, rappresentano un effettivo ed esigibile credito – ancorché chirografario – in capo ai soci, senza che da ciò consegua un effettivo depauperamento della società (in tal senso: Sez. 5 n. 14908 del 7/3/2008; Sez. 5, n. 13318 del 14/2/2013; Sez. 5,n. 8431 del 1/2/2019; vedi anche, non massimate, le pronunce più recenti Sez. 5, n. 19354 del 2021 e Sez. 5, n. 13062 del 2021, nonché Sez. 5, n. 11399 del 18/1/2021);

(iii.) il prelievo di somme da parte dell'amministratore a titolo di pagamento per le prestazioni lavorative svolte in favore della società poi fallita, in limine al dissesto, integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, non essendo scindibile la sua qualità di creditore da quella di amministratore, qualora i prelievi di somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto non sono definiti e non sono fondati su dati e ed elementi di confronto che ne consentano un'adeguata oggettiva valutazione. (cfr. Sez. 5, n. 17792 del 23/2/2017; Sez. F, n. 27132 del 13/8/2020, rispetto a somme sproporzionate al lavoro svolto; Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017).

L'ultima, non meno rilevante questione, attiene alla correttezza (o meno) di pervenire all'accertamento dell'elemento (oggettivo e) soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione attraverso l'individuazione di indici di fraudolenza sintomatici della c.d. scientia fraudis da desumersi (necessariamente) ex post rispetto al dissesto.

In proposito, come noto, le Sezioni Unite hanno affermato che, stante la genericità del dolo bancarotta fraudolenta patrimoniale, per la sua sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori: è, invece, sufficiente che la condotta di colui che pone in essere l'attività distrattiva, o vi concorre, sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, perché minano, depauperandolo, il patrimonio sociale e la correlata garanzia, senza che sia necessaria l'intenzione di causare tale danno. (Ss. Uu., 31 marzo 2016, n. 22474, Passarelli).

L'elemento soggettivo emerge, quindi, dalla condotta complessiva, ove espressiva della consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

Più in particolare, secondo la giurisprudenza, la condotta (sia con riferimento all'accertamento della sua pericolosità, sia della sussistenza dell'elemento soggettivo) dovrà essere caratterizzata da c.d. indici di fraudolenza.

Gli indici così rilevati sono necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (ex multis, Cass. pen., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396).

Le soluzioni

Le soluzioni adottate dalla Corte si collocano entro gli orientamenti giurisprudenziali consolidati.

Quanto alla prima questione, la Corte ritiene che nel caso di specie le restituzioni siano intervenute quando si era già creata una situazione di crisi. Tale situazione induceva i soci dapprima a rimediare mediante finanziamenti ‘in conto capitale', e poi, ottenuta una certa liquidità, a richiedere, in violazione della regola della postergazione, il capitale prima immesso; determinando in tal modo una situazione pregiudizievole per i creditori della società. Pertanto, la Corte ritiene di fare proprio, da una parte quell'orientamento giurisprudenziale che ha definito più rigorosamente i limiti entro cui possa riconoscersi un'ipotesi di bancarotta c.d. “riparata”, in grado di far venir meno la sussistenza dell'elemento materiale del reato; dall'altra l'orientamento giurisprudenziale, pure prima ricordato, a mente del quale, la condotta dell'amministratore di una società che proceda al rimborso di finanziamenti di soci effettuati ‘in conto capitale', in violazione della regola della postergazione di cui all'art. 2467 cc., integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale (ex multis, Cass. pen., sez. V, del 20 febbraio 2019, n. 25773).

La sentenza impugnata, inoltre, esclude l'illegittimità costituzionale lamentata con il ricorso affermando che, non solo l'elemento soggettivo del reato, ma anche l'elemento oggettivo della pericolosità della condotta distrattiva, possano essere accertati secondo valutazione, da effettuarsi con prognosi postuma, in termini di sussistenza di plurimi elementi indicativi di quella fraudolenza, sia oggettiva che soggettiva, denotando essi, da un lato, la concreta pericolosità dei fatti rispetto all'integrità del patrimonio e, dall'altro, la piena consapevolezza e volontà in capo all'imputato delle condotte poste in essere e in concreto pericolose.

Osservazioni

La sentenza in commento, seppure attraverso le differenti prospettive introdotte dai molteplici motivi di ricorso, si colloca a pieno titolo nell'alveo della giurisprudenza che ha chiaramente affermato che “il delitto di bancarotta distrattiva fraudolenta prefallimentare è reato di pericolo, e, pertanto, ai fini della sussistenza non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento. Peraltro, trattandosi di reato di pericolo concreto, l'atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve risultare idoneo a esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori, che deve permanere fino al tempo che precede l'apertura della procedura fallimentare, che infatti è anche il momento consumativo della fattispecie” (Cass. pen., sez. V, 20 maggio 2022, n.29850).

È in questo contesto, e date dunque tali premesse, che è possibile cogliere in nucleo centrale della pronuncia laddove afferma (ad escludere la sussistenza di profili di legittimità costituzionale) che per l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzarsi la ricerca di "indici di fraudolenza".

È tuttavia fondamentale che sia attentamente valutato l'effettivo rilievo probatorio di detti indici di fraudolenza, soprattutto ove si consideri che tali elementi (quali, ad esempio - volendo ricordare solo i più ricorrenti nella giurisprudenza: (i) la condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, (ii) il contesto in cui l'impresa ha operato, (iii) le cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, (iv) la estraneità a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, etc…) possono prestarsi a non univoche interpretazioni.

Come osservato dalla giurisprudenza più attenta, è dunque imprescindibile assicurare la correttezza del ragionamento inferenziale che su tali indici si basi, e la cui valenza dimostrativa - fuori dei casi di immediata evidenza dell'estraneità o, viceversa, della riconducibilità del fatto al paradigma della fraudolenza - deve essere specifico oggetto della motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di esperienza utilizzate nel procedimento valutativo (cfr. Cass. pen., sez. V, n. 1 agosto 2017, n. 38396).

Conclusioni

In definitiva, alla luce dei criteri delineati dalla giurisprudenza sul tema, la soluzione adottata dalla sentenza in commento appare condivisibile e frutto di un'analisi approfondita degli istituti che vengono in considerazione e che hanno alla base una nutrita casistica.

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