Omologa dell’accordo di ristrutturazione: sindacato del Tribunale e nozione dello “stato di crisi”
30 Maggio 2023
Massima
In sede di omologa dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, il sindacato del Tribunale non è limitato ad un controllo formale della relazione – che deve essere esaustiva, puntuale, analitica e precisa, dotata di relativo approfondimento, adeguatezza motivazionale, coerenza logica e argomentativa, in quanto detti caratteri sono fondamentali per verificare la conformità all'accordo degli atti successivi che ne costituiscano attuazione e che beneficiano dell'esonero dall'azione revocatoria – ma comporta anche un controllo sostanziale circa attuabilità e idoneità del piano, dovendosi intendere come attuabilità la verifica della capacità del piano di liberare quelle risorse, soprattutto di cassa, che consentano, da un lato il regolare pagamento dei creditori non aderenti e, dall'altro lato, la progressiva anche se non repentina uscita dell'impresa dalla situazione di crisi.
Il caso
Il ricorrente - nella specie, una società calcistica militante in Serie C - adiva il Tribunale fallimentare chiedendo l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.
Al fine di superare lo stato di crisi la società ricorrente prospettava un processo di risanamento fondato su
I pilastri di tale operazione, come illustrato nella relazione del professionista attestatore, erano rappresentati da:
In assenza di opposizioni, il Tribunale omologava sia l'accordo di ristrutturazione dei debiti sottoscritto tra la ricorrente rispettivamente con INPS ed INAIL, sia l'accordo di ristrutturazione sottoscritto con l'Agenzia delle Entrate e Riscossione nonché quello raggiunto per accettazione da parte del fornitore strategico.
Le questioni
Propedeuticamente alla omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, il Tribunale fallimentare è tenuto a verificare la sussistenza delle condizioni necessarie previste dall'art.182 bis l. fall., nella specie:
Solo all'esito positivo di tali verifiche, unitamente all'assenza di opposizioni entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione dell'accordo nel registro imprese, ai sensi dell'art.182-bis, comma 4,l. fall., il Tribunale può procedere alla relativa omologazione.
Le soluzioni del Tribunale
Come ricordato dalla sentenza in commento, la sussistenza della competenza del Tribunale adito – che ai sensi dell'art. 9 l.fall, è ancorata alla sede principale dell'impresa - è riscontrata dalla coincidenza della sede legale “con quella effettiva della società - ossia quella ove si svolge effettivamente l'attività direttiva ed amministrativa e vengono dunque individuate e decise le scelte strategiche cui dare seguito”, posta nel circondario del Tribunale adito.
Quanto al presupposto soggettivo,la società calcistica soddisfa tale requisito in quantoimprenditore commerciale soggetto alle procedure concorsuali di cui all'art. 1 l. fall., svolgendo - quale attività caratteristica - la gestione di squadre di calcio con relativa partecipazione a tornei e/o campionati riconosciuti dalla F.I.G.C.
La completezza della documentazione, prevista dall'art. 161 l. fall., risulta confermata da:
Il presupposto oggettivo, secondo la ricostruzione offerta dalla ricorrente - peraltro confermata dalla relazione del professionista attestatore - è rappresentato dallo squilibrio economico e patrimoniale della società, dunque lo stato di crisi, che risulterebbe determinato da eventi negativi, in alcuni casi imprevedibili, determinatisi nel corso di più anni, ovvero:
Avvenuta la pubblicazione dell'accordo e della relativa documentazione nel registro imprese, come previsto dall'art.182 bis, comma 2, l. fall., i creditori ed ogni interessato hanno avuto la possibilità di consultare e scaricare gli accordi nonché la relazione del professionista attestatore dal registro imprese. Decorso ampiamente il termine di 30 giorni, previsto per la presentazione di eventuali opposizioni, ai sensi dell'art. 182 bis, comma 4, l. fall., il Tribunale ha proceduto all'omologazione dell'accordo evidenziando, a tal fine, l'essenzialità della relazione del professionista attestatore: “essa, da un punto di vista formale, deve essere esaustiva, puntuale, analitica e precisa, dotata di relativo approfondimento, adeguatezza motivazionale, coerenza logica e argomentativa in quanto detti caratteri sono fondamentali per verificare la conformità all'accordo degli atti successivi che ne costituiscano attuazione e che beneficiano dell'esonero dall'azione revocatoria”. Ne deriva, pertanto, che in sede di omologazione, il Tribunale può disattendere quest'ultima e procedere ad una valutazione negativa qualora le considerazioni dell'esperto risultino scarsamente motivate, contraddittorie, prive di riferimenti a dati concreti o generiche. In particolare, il Tribunale è chiamato a valutare la parte della relazione attinente il controllo preliminare di attendibilità dei dati contabili dell'impresa, con la precisazione che tale controllo non dovrà tradursi necessariamente in una formale attestazione di veridicità, ma dovrà comunque sostanzialmente emergere dal contenuto della relazione del professionista quale suo imprescindibile passaggio. Nel caso, poi, di accordi di ristrutturazione dei debiti basati su piani industriali a sviluppo pluriennale, la relazione del professionista sotto tale profilo dovrà essere particolarmente severa nell'analisi dei dati di partenza mentre, man mano che procede con la ricostruzione degli sviluppi futuri, si dovrà concentrare maggiormente sulla ragionevolezza delle premesse assunte, pur nella consapevolezza della crescente aleatorietà delle conseguenze che da tali premesse si intendono dedurre. Oltre al preliminare controllo formale “sulla base della medesima relazione, il Tribunale dovrà poi, da un punto di vista sostanziale, sondare attuabilità e idoneità del piano, dovendosi intendere come attuabilità la verifica della capacità del piano di liberare quelle risorse, soprattutto di cassa, che consentano, da un lato il regolare pagamento dei creditori non aderenti e, dall'altro lato, la progressiva anche se non repentina uscita dell'impresa dalla situazione di crisi”. Il Tribunale non potrà, invece, in sede di giudizio di omologazione, estendere il proprio sindacato sulla convenienza dell'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis l. fall., la cui valutazione è rimessa ai creditori. La precisazione in materia di sindacato formale e sostanziale operato dal Tribunale sulla relazione dell'attestatore si pone, quindi, in continuità con la più recente giurisprudenza di legittimità laddove “in sede di omologa dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, il sindacato del Tribunale non è limitato ad un controllo formale della documentazione richiesta, ma comporta anche una verifica di legalità sostanziale compresa quella circa l'effettiva esistenza, in termini di plausibilità e ragionevolezza, della garanzia del pagamento integrale dei creditori estranei all'accordo nei tempi previsti per legge” (Cass. civ., sez. I, 8 maggio 2019, n. 12064). Nel caso di specie l'attestatore ha affermato l'assenza di anomalie nei dati aziendali esaminati e, dunque, la veridicità degli stessi. Ha poi riscontrato la completezza del piano ai fini della ristrutturazione operativa della società, idoneo a ripristinare una condizione di adeguata redditività e flusso di cassa. Ha poi aggiunto che l'accordo con gli Enti, fiscale, previdenziale e assistenziale, appariva coerente con le altre iniziative di dilazione dei debiti aziendali. In conclusione, l'attestatore ha affermato che il piano nel suo complesso appariva fattibile ed i suoi riflessi economico-finanziari idonei a ripristinare il normale equilibrio nei rapporti tra la società e i suoi creditori, presenti e futuri. Alla luce di quanto ampiamente argomentato, secondo una sequenza logica ed esaustiva, dal professionista attestatore sulla idoneità del piano ad assicurare, nei termini indicati nell'accordo, i creditori aderenti ed i non aderenti, il Tribunale ha ritenuto, sulla base della documentazione depositata, di poter procedere all'omologazione.
Osservazioni
Il provvedimento in esame è apprezzabile nella misura in cui, oltre a circoscrivere l'ambito del sindacato del Tribunale sulla relazione dell'attestatore, individuando i requisiti formali e sostanziali ritenuti essenziali all'omologazione, offre una disamina preliminare circa la nozione di “stato di crisi” rispetto a quella di “insolvenza”. A quest'ultima, infatti, quale presupposto soggettivo per l'ammissibilità e, dunque, per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis l. fall., in analogia con la procedura concordataria di cui all'art. 160 l. fall., deve attribuirsi un'accezione diversa e più ampia rispetto a quella (più tradizionale) dell'insolvenza, costituita viceversa da impotenza economica funzionale e non reversibile per la quale l'imprenditore non è più in grado di far fronte regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla propria attività. Lo stato di crisi, quindi, secondo la giurisprudenza di merito ricorre in quelle situazioni integrate da un semplice disequilibrio finanziario, economico o produttivo che tuttavia rendono probabile l'approdo ad ipotesi di crisi irreversibile. Accezione recepita anche dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza, il quale all'art. 2, definisce la “crisi” come lo “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”, distinguendola in tal modo dall'insolvenza. La precisazione, anche alla luce della evoluzione normativa, è molto importante ancor più se si considera che la definizione di stato di crisi risultava fondamentale al fine di individuare il presupposto oggettivo del concordato preventivo, degli accordi stragiudiziali, dei piani di risanamento e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, dato il labile confine che si era creato con l'inserimento, a partire dalla riforma del 2006, del terzo comma all'art. 160 l. fall. secondo cui: «ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche quello di insolvenza». Tale definizione risultava ancor più necessaria in vista dell'introduzione, su impulso della normativa europea e, in particolare, della Direttiva 2019/1023/UE, di misure di allerta volte alla rilevazione precoce di uno stato di crisi e alla prevenzione di uno stato di insolvenza conclamato. Con tali innovazioni è stata evidenziata la necessità di applicare il principio della “rescue culture”, ossia del salvataggio dell'impresa in crisi, attraverso strumenti in grado di prevenire lo stato di insolvenza, anticipando il momento di attivazione dell'imprenditore e, soprattutto, la consapevolezza dello stato di dissesto. A tal fine è risultato necessario dare una definizione del presupposto di probabilità di insolvenza come definita dalla Direttiva 2019/1023/ UE, che nel nostro ordinamento è stato recepito e definito quale stato di crisi, per distinguerlo definitivamente dallo stato di insolvenza e spingere in questo modo l'imprenditore a evitarlo ma, soprattutto, ad attivarsi tempestivamente e a non occultarlo al fine di salvare l'impresa prima di un dissesto irreversibile. La giurisprudenza ha individuato lo stato di insolvenza quale concetto dinamico il cui accertamento deve essere diagnosticato con una valutazione prospettica, dal momento che il verificarsi di uno o più inadempimenti non denota l'impossibilità irreversibile di far fronte con regolarità ai pagamenti in caso di sussistenza di una crisi transitoria di liquidità: «Lo stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d'impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine sull'imputabilità o meno all'imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all'impresa, così come sull'effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti» (Cass. civ., sez. I, 20 novembre 2018, n. 29913). Lo stato di crisi, invece, comunemente definito quale perturbazione o improvvisa modificazione di un'attività economica organizzata, può essere prodotto da molteplici cause, interne o esterne, in grado di minare l'esistenza dell'impresa o, comunque, della continuità aziendale. Secondo la scienza aziendalistica, un'impresa è in stato di crisi quando mostra la stabile presenza di meccanismi capaci, se non contrastati, di condurre in tempi più o meno brevi a crescenti tensioni finanziarie e quindi fino all'insolvenza, rimanendo comunque uno stato differente dall'insolvenza irreversibile. Proprio in tal senso, lo stato di crisi e quello di insolvenza si identificherebbero come stadi successivi di un identico fenomeno patologico degenerativo, tuttavia configurandosi solo il primo quale presupposto oggettivo per accedere alle procedure volte alla conservazione dell'impresa e in grado di dimostrare la presenza di meccanismi capaci di condurre a tensioni finanziarie crescenti fino all'insolvenza. Nel nuovo Codice, la definizione positiva di crisi sancisce due regole: • una con finalità descrittivo-ontologiche in cui lo stato di crisi si configura come probabilità dell'insolvenza conseguente ad uno stato di difficoltà economico-finanziaria; • la seconda identifica lo stato di crisi quale funzione fenomenologica, che prevede le modalità con cui la crisi si manifesta all'esterno, ossia con i flussi di cassa prospettici. La nozione di crisi, come delineata dal Codice, presenta caratteri propri e più ampi rispetto all'insolvenza e, pur non costituendone necessariamente l'antecedente temporale, essa rappresenta un indice, generato da fattori interni all'impresa, che non esteriorizzati e non conosciuti dai terzi, precede il più grave fenomeno dell'insolvenza. Il legislatore, invero, si pone l'obiettivo di rendere manifesta la crisi, con la previsione di un intervento interno ed esterno all'impresa, nella prospettiva di un suo possibile superamento. Ed è anche per questo che la nuova nozione di crisi, nell'ottica della predittività e dell'anticipazione dell'insolvenza, rappresenta una delle più rilevanti novità del Codice della Crisi e dell'Insolvenza.
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