Se non si detengono partecipazioni, non scatta la presunzione (relativa) di esterovestizione

Fabio Gallio
01 Giugno 2023

Con la risposa ad interpello del 26 gennaio 2023, n. 164, l'Agenzia delle Entrate si è occupata dell'applicazione della presunzione (relativa) contenuta nell'articolo 73, comma 5 bis, del TUIR, in capo ad una società partecipata e amministrata da un soggetto che ha intenzione di trasferire la residenza in Italia.
Premessa

La società, con sede all'estero, vende prodotti tramite internet e svolge la sua attività fuori dall'Italia. Inoltre, la stessa non svolge la fusione di holding, non detenendo partecipazioni in altre società. L'agenzia delle Entrate da risposta positiva alla richiesta di parere per i seguenti motivi.

La disposizione normativa sancisce che ''salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato''.

Infatti, si ricorda che il D.L. 223/2006 ha introdotto, ai commi 5-bis e 5-ter dell'art. 73 del TUIR una presunzione legale di residenza nel territorio dello Stato in capo alle società estere che detengano direttamente partecipazioni di controllo di diritto e di fatto in società di capitali ed enti commerciali italiani se, alternativamente:

  • sono controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  • sono amministrate da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Il fenomeno delle "esterovestizioni"

La norma in esame, volta a contrastare il fenomeno delle cosiddette "esterovestizioni", ha ad oggetto le società estere che detengono partecipazioni di controllo in società ed enti residenti in Italia, ossia partecipazioni nei soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 73 del TUIR.

Pertanto, nel caso, come quello in oggetto, dove la società estera non svolge anche la fusione di holding, tale disposizione non si applica, come, tra l'altro, già chiarito con la risposta a interpello Agenzia delle Entrate del 17 gennaio 2022 n. 27.

Anche se non è stato oggetto di un chiarimento con la risposta 164 in esame, l'Agenzia delle Entrate ricorda che, in ogni caso, si deve fare riferimento a quanto sancito dall'art. 73, comma 3, del TUIR, secondo il quale: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti (in Italia) le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato”.

I tre criteri per individuare la residenza fiscale

Per quanto riguarda le persone giuridiche sono previsti tre criteri per individuare la residenza fiscale:

  1. la sede legale, che si identifica con la sede sociale indicata nell'atto costitutivo o nello statuto;
  2. la sede dell'amministrazione, che coincide con il luogo in cui viene svolta concretamente l'attività di gestione quotidiana dell'impresa;
  3. l'oggetto esclusivo o principale dell'attività, che per le società e gli enti residenti è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, quando esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, o, in mancanza di tali forme, in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.

I criteri sopra individuati operano alternativamente e non è previsto alcun criterio di prevalenza, per cui può esservi la possibilità che un soggetto risulti residente in più Stati, venendosi a creare i c.d. “conflitti di residenza” tra diversi Stati, nel qual caso soccorrono le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, ed in particolare alle cosiddette “tie breaker rule” (art. 4, par. 2 e 3, del Modello OCSE), che per le società prevedono il criterio della sede effettiva.

Al verificarsi di uno solo di questi elementi, il soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia e, quindi, soggetto alla potestà impositiva dello Stato per tutti i redditi ovunque prodotti (Cfr. Cass., sez. III pen., 23 febbraio 2012, n. 7080, dove viene precisato che: “I criteri indicati nell'art. 73 sono collegati da una “o” disgiuntiva, di conseguenza la sussistenza di uno solo di essi può permettere di individuare la residenza fiscale della società in Italia”).

Tra i tre criteri sopra citati, quello più controverso, di cui si è occupata la giurisprudenza, è quello della sede dell'amministrazione.

Sede dell'amministrazione e sede legale

Con specifico riferimento a soggetti non residenti che operano nel territorio dello Stato, l'Amministrazione finanziaria ha specificato che gli elementi di collegamento al territorio dello Stato italiano della legal entity estera, “devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono - talora - complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell'ente con un determinato territorio.” (Cfr. circ. n. 28/E/2006).

Ecco che la sede dell'amministrazione è intesa come sede di direzione effettiva, ossia luogo in cui si svolge concretamente l'attività di amministrazione, gestione e coordinamento dei fattori produttivi aziendali. Infatti, l'Agenzia delle entrate, ribadendo quanto sostenuto in ambito internazionale nelle Osservazioni contenute nel Commentario all'articolo 4 del Modello OCSE, ha precisato che la sede di direzione effettiva di un ente “debba definirsi non soltanto come il luogo di svolgimento della sua prevalente attività direttiva e amministrativa, ma anche come il luogo ove è esercitata l'attività principale” (Cfr. circ. n. 28/E/2006).

La stessa Guardia di Finanza ha precisato che la sede dell'amministrazione, da contrapporsi alla nozione di sede legale della società, coincide con la nozione civilistica di sede effettiva, ossia deve essere intesa come il luogo in cui concretamente vengono svolte le attività di carattere amministrativo e di direzione dell'ente (Cfr. Guardia di Finanza – circolare n. 1/2018). A tal proposito, nel citato documento è stato precisato che “la determinazione del luogo della sede dell'attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, tra i quali la sede statutaria, il luogo dell'amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale della società; possono pure essere presi in considerazione altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e lo svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie”.

Quindi la sede legale costituita all'estero non assume rilevanza qualora, da un esame della situazione sostanziale ed effettiva dell'impresa sotto il profilo gestionale della stessa, emerga che gli impulsi decisionali, le strategie aziendali, la direzione e il coordinamento sono esercitati sul territorio italiano (Protocollo del Ministero dell'economia e delle finanze 12 aprile 2010, n. 3-3873).

In giurisprudenza si riscontra un sostanziale allineamento nell'individuare la sede effettiva dell'amministrazione delle persone giuridiche nel “luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e della propulsione dell'attività dell'ente.” (Cfr. Cass. 16 giugno 1984, n. 3604).

Ancora, secondo la Corte di Cassazione “la sede di direzione effettiva non coincide con il luogo in cui si trova un recapito della persona giuridica, ma si identifica con il luogo dove si svolge la preminente attività direttiva ed amministrativa dell'impresa.” (Cfr. Cass. n. 3910/1988).

Conseguentemente, la sede di direzione effettiva non può coincidere semplicemente con il luogo in cui si trovano i beni della società, i suoi stabilimenti e dove si svolge l'attività produttiva, ma deve essere individuata nel luogo “in cui abbiano effettivo svolgimento anche l'attività amministrativa e direzionale, ove cioè risieda il suo legale rappresentante, i suoi amministratori e dove sono convocate le assemblee societarie” (Cfr. Cass. n. 3028/1972). La posizione in questione è stata confermata da Cass., sez. III pen., 24 luglio 2013, n. 32091, in cui la Corte ha attribuito prevalenza, ai fini della verifica dell'esterovestizione della società, all'accertamento in Italia del luogo dove venivano prese le decisioni strategiche, industriali e finanziarie della società rispetto al luogo dove effettivamente era presente l'insediamento produttivo. Tale impostazione è poi stata ulteriormente assunta da Cass., sez. III pen., 30 settembre 2014, n. 40327.

La sede dell'amministrazione potrà, pertanto, essere concretamente individuata nell'effettivo luogo in cui il consiglio di amministrazione o l'organo gestorio si riunisce e delibera, oppure, nei casi di delega, nel luogo in cui la delega viene materialmente adempiuta, sempre che non si rilevi una mera ripetizione non autonoma delle decisioni già prese in sede di consiglio; in una visione sostanzialistica del criterio potrà essere valorizzato altresì il luogo in cui viene convocata l'assemblea dei soci, purché sia dimostrabile che questi detengono nel concreto l'effettivo potere gestorio, o, addirittura, nel luogo di residenza di un socio nell'ipotesi in cui il suo grado di ingerenza nell'amministrazione della società o dell'ente sia tale da ritenere che la società o l'ente stesso non costituiscano altro che una sua mera appendice (Cfr. circ. Fondazione Centro Studi Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti 20 maggio 2009, n. 7).

Con l'ordinanza del 9 marzo 2021, n. 6476, la Corte di Cassazione ha sancito che, al fine di stabilire se il reddito prodotto da una società possa essere sottoposto a tassazione in Italia, assume rilevanza decisiva il fatto che l'adozione delle decisioni riguardanti la direzione e la gestione dell'attività di impresa avviene nel territorio italiano, nonostante la società abbia localizzato la propria residenza fiscale all'estero.

Recentemente, con la sentenza del 16 febbraio 2023, n. 138, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana ha respinto l'appello di una società estera residente in Romania, alla quale era stato contestato di avere localizzato la sede dell'amministrazione in Italia.

In particolare, a seguito di una verifica della Guardia di Finanza presso una S.R.L. italiana partecipata dallo stesso socio di quella rumena di cui sopra e amministrata dallo stesso socio, erano stati rivenuti in Italia alcuni documenti amministrativi della società estera ed era stato accertato che veniva utilizzato da entrambi i soggetti societari lo stesso centralino.

Per questo motivo era stata contestata l'esterovestizione alla società estera ed i giudici tosacani hanno accolto le doglianze erariali, dando rilevanza al criterio di "sede dell'amministrazione".

La sentenza della Corte di Giustizia della Toscana in esame afferma che la nozione di "sede dell'amministrazione", in quanto contrapposta alla "sede legale", deve ritenersi coincidente con quella di "sede effettiva" (di matrice civilistica), intesa come il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell'ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l'accentramento - nei rapporti interni e con i terzi - degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell'impulso dell'attività dell'ente.

La Corte di Giustizia ha ritenuto esistente nel territorio italiano la sede dell'amministrazione della società estera per i seguenti motivi:

  • possesso dell'intero capitale da parte dello stesso soggetto socio della società italiana S.R.L. presso la quale, non solo venivano ricevuti e caricati gli ordini dei clienti dell'affiliata estera dall'impiegata di madre lingua, che rispondeva al telefono, sul sistema informatico centralizzato della S.R.L. residente in Italia, ma anche venivano imballati e fatturati i materiali ordinati dai clienti della stessa società rumena;
  • era di fatto amministrata in Italia presso la sede della S.R.L. italiana per opera del suo formale amministratore, che rivestiva un ruolo di importanza strategica e primaria nella conduzione e amministrazione societaria, essendo l'unico soggetto che, dalla sede italiana, impartiva le disposizioni generali e gli input operativi riguardanti l'amministrazione della società rumena;
  • la contabilità della società rumena era elaborata in Italia presso la sede della S.R.L. italiana;
  • la società S.R.L. italiana finanziava la società rumena.

In conclusione

Infine, la Corte di Giustizia della Toscana fa presente che i criteri di cui all'art. 73 del TUIR non sono finalizzati ad individuare fenomeni, di natura elusiva, solitamente definiti di "esterovestizione", caratterizzati in generale dall'artificiosa ed apparente distrazione del soggetto passivo dal territorio nazionale, e quindi dalla residenza in Italia e dalla potestà impositiva nazionale, per attrarlo nell'area impositiva più conveniente di altro Stato.

Tale tesi risulta in contrasto con quanto sancito recentemente dalla Corte di Cassazione, la quale, con pronuncia del 17 febbraio 2023, n. 5075, si è espressa in merito ad una contestazione di esterovestizione a carico di una società residente nella repubblica slovacca.

In particolare, ad una società di diritto estero era stato contestato che il luogo di svolgimento dell'oggetto principale e la sede amministrativa fossero in Italia, basando tale convincimento sulla artificiosità della relativa costituzione all'estero al solo scopo di trarre vantaggio fiscale dalla legislazione del paese in cui la sede era stata così fissata.

La Suprema Corte ha accolto la tesi erariale, sostenendo che era stato dimostrato che lo svolgimento dell'attività era in Italia e non all'estero e che la sede era stata localizzata nel Pease estero solo per ottenere benefici fiscali.

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