Condotte vessatorie di colleghi: anche se non si ravvisa il mobbing, vi è violazione dell'obbligo di tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore

07 Giugno 2023

Il Tribunale di Bari, con la sentenza n. 97/2023, accoglie la domanda risarcitoria avanzata in giudizio dal lavoratore per le vessazioni e prepotenze perpetrate in suo danno da alcuni colleghi e non rimediate dal datore di lavoro.Nel decidere la vertenza il Giudice del Lavoro, pur non ravvisando gli estremi del mobbing allegato dal prestatore, nondimeno sanziona la violazione dell'obbligo di protezione ex art. 2087 c.c. dalla quale è derivato al dipendente un danno alla salute.
Il caso di specie

Un lavoratore agiva in giudizio nei confronti del datore di lavoro (nel caso di specie una ASL) lamentando di essere stato destinatario per lungo tempo (2010-2017) di svariati comportamenti illegittimi e vessatori perpetrati da altri dipendenti rispetto ai quali l'azienda, pur notiziata dalla vittima, avrebbe mantenuto un atteggiamento omissivo.

Il ricorrente qualificava espressamente i fatti allegati come integranti una ipotesi di “mobbing” e chiedeva il ristoro anche del danno non patrimoniale (biologico e morale/esistenziale).

Nel corso del giudizio veniva svolta CTU medico-legale che accertava il nesso di (con)causa tra le condotte subite dal lavoratore e una lesione della salute per «disturbo depressivo e disturbo d'ansia con somatizzazione, cronico, di intensità moderata in trattamento psicofarmacologico».

La sentenza di primo grado

Con la sentenza n. 97/2023 il giudice barese, rammenta innanzitutto quali siano gli elementi costitutivi del mobbing: la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio succedutisi nel tempo; l'imprescindibile “elemento soggettivo” ovverosia lo specifico intento vessatorio unificante le condotte secondo un disegno preordinato alla prevaricazione; la lesione della salute o della personalità del lavoratore; il nesso di causa tra condotte e pregiudizio.

Nel caso di specie, tuttavia, il Tribunale afferma che «non può ritenersi sussistente un'ipotesi di mobbing proprio perché non vi sono indici della sussistenza […] di un disegno preordinato alla prevaricazione del ricorrente».

Ciò nonostante, essendo state comunque dimostrate tutta una serie di condotte descritte come «attacchi personali, critiche e scherni», il Giudice del Lavoro afferma la responsabilità risarcitoria dell'azienda per violazione del precetto generale di cui all'art. 2087c.c. che impone al datore di lavoro «di salvaguardare l'integrità psico-fisica del lavoratore» anche rimuovendo le conseguenze negative delle azioni perpetrate da colleghi della vittima impedendone il ripetersi.

Al lavoratore viene quindi risarcito il danno biologico permanente nella misura del 10% stimato dal CTU.

Lo stress lavoro-correlato: una fattispecie normativa

Lo “stress lavorativo”, nonostante appaia a tutt'oggi rivestire un ruolo di secondo piano rispetto alle ben più note figure del mobbing e dello straining (cfr. AGOSTINO BIGHELLI, Stress lavoro-correlato, straining e mobbing: ovvero dell'esser vaso di coccio tra vasi di ferro, in Rivista Labor dell'8 aprile 2023), a differenza di queste ultime non ha né origine medico-legale né valenza essenzialmente sociologica (come da tempo affermato dalla giurisprudenza: cfr. ad esempio Cass., 10 dicembre 2019, n. 32257) essendo invece una vera e propria fattispecie normativa delineata dall'art. 2087 c.c. e dalle norme specifiche di cui all'art. 28 co. 1 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e all'AccordoQuadro Europeo dell'8 giugno 2004).

È vero che la normativa di dettaglio esclude dal proprio ambito di operatività le ipotesi di violenza e sopraffazione sul lavoro (cfr. art. 2 dell'Accordo Quadro), parendo quindi “mutilata” la fattispecie in commento di una delle più importanti cause di manifestazione, ovverosia la conflittualità interpersonale sul luogo di lavoro.

Purtuttavia è innegabile che si vada formando, in senso alla giurisprudenza (in particolare, per quel che concerne la Corte di Cassazione, si vedano le tre pronunce tutte del novembre 2022: la n. 33428 del 11 novembre, la n. 33639 del 15 novembre e la n. 35235 del 30 novembre), un orientamento per così dire “spontaneo” sempre più cospicuo - e convincente - che predica l'emancipazione delle situazioni aziendali nocive per il dipendente, potenzialmente fonti di danno alla salute, ivi incluse le carenze organizzative (anche omissive per inerzia del datore di lavoro che involgono i lavoratori e le loro interazioni personali, dai tradizionali paradigmi del mobbing e dello straining per ricomprenderle nella figura unitaria dello stress lavoro-correlato (cfr. al riguardo ANNALISA ROSIELLO-DOMENICO TAMBASCO, Il danno da stress lavorativo: una categoria “polifunzionale” all'orizzonte?, in IUS Lavoro, 8 novembre 2022; ANNALISA ROSIELLO-DOMENICO TAMBASCO, Condotte persecutorie (mobbing e straining) e stress lavoro-correlato: la nuova concezione sistemica della Cassazione, in IUS Lavoro, 14 dicembre 2022).

Le ricadute concrete di tale innovativo approccio sono evidenti ad esempio sul piano processuale: al lavoratore non sarà più richiesto di provare -in aggiunta alla nocività dell'ambiente lavorativo, al danno subito e al relativo nesso di causa- anche l'elemento soggettivo (necessario a configurare le ipotesi di mobbing e straining) essendo invece gravante in capo al datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver adottato e tenuto tutte le misure e cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno in quanto «necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

E ciò in un contesto normativo che definisce la “salute” non come semplice assenza di malattie bensì, più ampiamente, come «stato di totale benessere fisico, mentale e sociale» (in tali termini si esprimono sia la Costituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e sia l'art. 2 co. 1 lett. o) del D.lgs. n. 81/2008).

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Bari qui brevemente commentata appare interessante tanto per ciò che dice quanto per ciò che invece tace.

In essa si afferma chiaramente che, pur a fronte di una domanda giudiziale allegata e qualificata specificamente dal ricorrente come costituente mobbing, il giudice che non ne riconosca la sussistenza in particolare per carenza dell'elemento soggettivo può comunque autonomamente procedere con una valutazione di eventuale violazione del dovere generale di tutela ex art. 2087 c.c. e, laddove accertata, condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno alla salute patito dal dipendente (potere questo enunciato da ultimo anche da Cass., (ord.), 7 febbraio 2023, n.3692).

Diversamente, nel provvedimento non si parla mai espressamente di “stress lavoro-correlato”, ma ciò non significa che di una tale fattispecie non si possa comunque scorgere traccia; talvolta l'essenziale è invisibile agli occhi.

Analogamente ad altra recente decisione di merito nella quale lo stress lavorativo, sebbene non citato, pare aver orientato il giudice del lavoro (Trib. Padova, (ord.), 23 febbraio 2023, n. 912 in IUS Lavoro con commento di AGOSTINO BIGHELLI, Lo stress lavorativo: ovvero “l'insostenibile leggerezza dell'essere” di una categoria in via di formazione, 8 marzo 2023), anche nelle pieghe della sentenza barese si nascondono elementi riconducibili alle “discrepanze interpersonali” tipiche della fattispecie dello stress lavorativo.

Nel ricostruire le circostanze accadute, infatti, le condotte perpetrate in danno del lavoratore venivano definite come «consistenti in attacchi personali, critiche e scherni» che hanno determinato, come accertato in sede di CTU medico-legale, «l'insorgenza in capo al ricorrente di un disturbo depressivo e disturbo d'ansia con somatizzazione, cronico, di intensità moderata in trattamento psicofarmacologico».

Con un po' più di coraggio - o, forse, con un po' più di attenzione motivazionale - si sarebbe potuto seguire l'esempio del Tribunale del Lavoro di Torino che, con sentenza del 25 gennaio 2022 (commentata da ANNALISA ROSIELLO-DOMENICO TAMBASCO, La “lunga marcia” dello stress lavoro - correlato nella giurisprudenza, in Igiene&Sicurezza del Lavoro, n. 2/2023, pgg. 77-80), a fronte della domanda risarcitoria qualificata dal ricorrente come ipotesi di mobbing, ha riqualificato i fatti inquadrandoli specificamente nella fattispecie dello stress lavoro-correlato, dando rilievo tra l'altro alla personalità concreta del lavoratore chiamato ad operare in un contesto dai caratteri «seriamente stressogeni».

La fattispecie dello “stress lavoro-correlato” pare sempre più acquisire importanza nelle decisioni della giurisprudenza del lavoro che, seppure con occasioni mancate (vedasi ad esempio il caso deciso da Cass., 28 novembre 2022, n. 34968 commentata da DOMENICO TAMBASCO, Superlavoro e onere della prova del danno derivante dal mancato adempimento dell'obbligo di garanzia datoriale, in IUS Lavoro, 19 gennaio 2023 o ancora App. Venezia, 23 novembre 2022, n. 656 commentata da AGOSTINO BIGHELLI, Stress lavoro-correlato, straining e mobbing, op. cit.), non manca di valorizzarne, espressamente o anche solo implicitamente, l'essenza polivalente ed in quanto tale capace di dare risposta a situazioni lavorative all'apparenza non riconducibili ad unità.

Una delle ricadute più significative di tale cambio di prospettiva pare essere quello inerente al profilo soggettivo da prendere in considerazione: ed infatti laddove nelle ipotesi di mobbing e straining è l'intenzionalità del comportamento datoriale a dover essere indagata e provata dal lavoratore, nella fattispecie dello stress lavorativo ad assumere rilievo è invece la ricaduta sulla personalità concreta del prestatore che vengano ad avere le richieste del datore di lavoro (effetti che sono quindi soggetti a variare a seconda della risposta individuale alle medesime sollecitazioni stressogene), chiamato a dimostrare -secondo l'onere posto a suo carico dall'art. 2087 c.c. - di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi di situazioni pregiudizievoli della salute del lavoratore.

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