Per lo scioglimento del contratto nel concordato preventivo non compete la variazione in diminuzione IVA

Giulio Andreani
Angelo Tubelli
07 Giugno 2023

Con la risposta ad interpello n. 268/2023, l'Agenzia delle Entrate si è espressa sulla possibilità, per una società in concordato preventivo, di annullare, mediante lo strumento di cui all'art. 26, comma 2, D.P.R. 633/1972, le fatture già emesse a fronte dell'incasso anticipato dei corrispettivi ricevuti per il compimento di prestazioni non più eseguibili (a causa dello stato di crisi), sulla base dell'esercizio dell'opzione per lo scioglimento dei contratti pendenti concessa dall'art. 169-bis l. fall. Viene esaminata, altresì, la risposta ad interpello n. 324/2023.

In un precedente intervento (cfr. G. Andreani, A. Tubelli, “La rilevanza ai fini IVA della risoluzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti fra vecchie e nuove criticità”, in www.ilfallimentarista, 27 febbraio 2023) si è avuto modo di illustrare la disciplina delle variazioni in diminuzione nella crisi d'impresa disciplinata dall'art. 26, comma 2 e seguenti, del D.P.R. 633/1972, alla luce delle sue più recenti interpretazioni. L'Agenzia delle Entrate ha ora fornito nuovi chiarimenti con le risposte a interpello n. 268 del 29 marzo 2023 e n. 324 del 9 maggio 2023, che concernono rispettivamente (i) la (ir)rilevanza dello scioglimento dei contratti in essere richiesta dal debitore assoggettato alla procedura di concordato preventivo e (ii) la (ir)rilevanza della procedura di liquidazione del patrimonio nell'ambito della crisi del consumatore.



La risposta a interpello n. 268/2023

Com'è noto, il comma 2 dell'art. 26 attribuisce al creditore il diritto di rettificare in diminuzione un'operazione per la quale egli ha emesso fattura, se la medesima operazione successivamente è venuta meno in tutto o in parte, oppure se ne è ridotto l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

La risposta a interpello n. 268/2023 riguarda appunto il rapporto intercorrente tra tale previsione e quella contenuta nell'art. 169-bis l. fall. (l'introduzione di tale disposizione nella legge fallimentare si deve all'art. 33 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83) relativamente alla sorte nel concordato preventivo dei contratti pendenti (ovverosia in corso di esecuzione), trasfusa - con alcune modifiche (cfr. M. Conforto, “La sorte dei contratti pendenti nel concordato preventivo: riflessioni sulla disciplina prevista dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”, in Contratto e Impresa, n. 1/2022, pag. 147) - nell'art. 97 del D.Lgs. 114/2019 (Codice della crisi”).

Il quesito sottoposto all'Agenzia concerne una società in concordato preventivo che, tramite lo strumento delle variazioni in diminuzione, intendeva annullare le fatture emesse a fronte dell'incasso anticipato dei corrispettivi ricevuti per il compimento diuna serie di prestazioni non ancora eseguite e che, a causa dello stato di crisi, non era possibile eseguire nemmeno in futuro. In altri termini, non si trattava della classica situazione in cui la nota di variazione in diminuzione viene utilizzata dal fornitore per recuperare l'IVA che non può incassare a causa della crisi che ha colpito il cliente a favore del quale ha precedentemente reso le proprie prestazioni; si trattava invece del caso opposto, in cui è il fornitore a risultare inadempiente in quanto, pur avendo incassato in anticipo i corrispettivi pattuiti e la relativa imposta, non è più in grado di fornire le prestazioni che si era obbligato correlativamente a rendere. In particolare, secondo quanto si desume dalla descrizione della fattispecie riportata nella risposta a interpello, la domanda di concordato preventivo presentata dalla società contemplava l'opzione per lo scioglimento dei contratti in essere concessa dall'art. 169-bis l. fall., con restituzione ai clienti di un importo commisurato ai corrispettivi versati per le prestazioni non eseguite, accompagnata dall'emissione di corrispondenti note di variazione in diminuzione rilevanti ai fini dell'IVA ex art. 26, comma 2, del D.P.R. 633/1972.

Al riguardo occorre rammentare che, ai sensi dell'art. 169-bis l. fall., nell'ambito del concordato preventivo il debitore può chiedere, con autonoma istanza, l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione (“contratti pendenti”). L'autorizzazione da parte del tribunale (ovvero del giudice delegato, se già intervenuto il decreto di apertura), alla richiesta di sospensione o allo scioglimento del contratto in corso di esecuzione, fa sorgere in capo alla controparte il diritto a un equo indennizzo(come rimarcato da S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in AA.VV., Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da F. Vassalli - F.P. Luiso - E. Gabrielli, IV, 2014, pag. 288, il legislatore ha utilizzato il termine “indennizzo” in luogo di “risarcimento del danno”, perché l'importo dovuto al contraente in bonis, la cui quantificazione è parificata al risarcimento del danno per il riequilibrio economico fra le parti, deriva dal pregiudizio recatogli dal compimento di un atto lecito, in quanto appositamente autorizzato dall'autorità giudiziaria e non da un atto illecito; in tal senso si veda anche F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, III, in Il Civilista, Milano, 2019, pag. 46), da soddisfare però in moneta concordataria, come credito chirografario anteriore al concordato (nell'istanza il debitore deve perciò proporre una quantificazione dell'indennizzo dovuto alla controparte della quale si tiene conto nel piano per la determinazione del fabbisogno concordatario; in caso di contestazione, la determinazione dell'indennizzo è rimessa al giudice ordinariamente competente). L'insieme di queste disposizioni, dunque, risponde allo scopo di raggiungere un punto di equilibrio tra gli interessi, tra loro confliggenti, “del debitore (di realizzare il piano concordatario senza il vincolo dei contratti pendenti), dei creditori concorsuali (di non subire i costi di prosecuzione dei contratti) e del contraente in bonis (alla regolare esecuzione del contratto)” (cfr. A Patti, “Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento”, in il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 2/2013, 264), ma da esse traspare con evidenza la volontà del legislatore di favorire il debitore nella predisposizione di un piano concordatario fattibile, “sia attribuendogli la facoltà di scioglimento di contratti pendenti in deroga alla norma generale secondo cui nel concordato preventivo i contratti in corso di esecuzione proseguono (implicitamente, 169 bis l.fall.), avendo forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.), sia mediante la sostituzione del diritto del contraente in bonis ad ottenere la prestazione contrattualmente dovutagli con il credito, ben minore, ad un indennizzo di natura concorsuale soggetto quindi alla falcidia concordataria” (così A. Dimundo, “Struttura e funzione dei contratti pendenti nelle procedure concorsuali”, in il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 10/2018, 1093).

Ciò posto, l'Agenzia delle Entrate, nel valutare se lo scioglimento contrattuale di cui trattasi potesse rientrare o meno tra gli eventi che davano diritto a rettificare in diminuzione l'IVA precedentemente applicata, ha fatto proprio l'orientamento affermato dalla Corte di cassazione con le sentenzen. 8008 dell'11 marzo 2022 e n. 26568 del 23 novembre 2020, rilevando che lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione ai sensi dell'art. 169-bis della L. Fall. (e adesso dell'art. 97 CCII):

  • dipende dalla volontà del solo contraente soggetto alla procedura concorsuale (seppure avallata dal giudice competente), quale esercizio di una facoltà di natura potestativa messa a disposizione del debitore al fine di perseguire il migliore soddisfacimento del ceto creditorio;
  • prescinde da eventuali inadempimenti (omessi pagamenti o altro);
  • non ha effetto retroattivo tra le parti, né restitutorio delle prestazioni eseguite;
  • dà luogo ad un indennizzo in moneta “concorsuale” da soddisfare come credito anteriore al concordato, che resta escluso dal campo di applicazione dell'IVA poiché costituisce una penalità a cui il cedente/prestatore viene sottoposto per svincolarsi in via unilaterale dai contratti in essere.

Ad avviso dell'Agenzia, dunque, lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo non rientra in alcuna delle ipotesi contemplate dal comma 2 dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972 dapprima richiamate, che sono da considerarsi tassative. Né, rileva ancora l'Agenzia, nel caso di specie potrebbe ricorrere l'ipotesi del mancato pagamento del corrispettivo atto a giustificare l'emissione delle note di variazione in diminuzione delle fatture emesse in anticipo rispetto all'esecuzione delle relative prestazioni, atteso che la società in concordato ha pacificamente incassato tutti i corrispettivi dovuti per le prestazioni rimaste ineseguite, sicché la base imponibile delle operazioni originariamente fatturate è costituita da un corrispettivo interamente e realmente ricevuto, con perfetta salvaguardia del principio di neutralità dell'IVA. Infine, ai sensi dell'art. 169-bis l. fall. (così come ai sensi dell'art. 97, comma 9, del Codice della crisi) “ai contraenti ‘adempienti' compete uno specifico indennizzo svincolato dal corrispettivo precedentemente già fatturato” (al riguardo, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 26568 del 23 novembre 2020, ha affermato testualmente quanto segue: “In tema di concordato preventivo, l'accertamento con efficacia di giudicato circa l'esistenza, l'entità e il rango del credito relativo all'indennizzo cui ha diritto il terzo contraente che abbia subito lo scioglimento del contratto, a norma dell'art. 169- bis legge fall. R.D. 16/03/1942, n. 267, va effettuato, come per tutti i restanti crediti concorsuali, nelle forme della cognizione ordinaria, fermo restando in capo al giudice delegato e al tribunale, in sede di omologazione, il potere di ammettere in tutto o in parte i crediti contestati, ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, ai sensi dell'art. 176 legge fall.”). L'Agenzia delle Entrate ha perciò negato il diritto per la società in concordato preventivo di procedere all'emissione di note di variazione in diminuzione ai sensi dell'art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 in riferimento alle operazioni oggetto di originaria fatturazione e, per converso, ha riqualificato come equo indennizzo spettante in base all'art. 169-bis l. fall. (ovvero all'art. 97, comma 9, del Codice della crisi) le somme che in base alla domanda concordataria andavano restituite ai clienti adempienti. Infatti, in base al dettato normativo, il riversamento ai clienti dei corrispettivi da questi anticipati per prestazioni non ricevute non troverebbe titolo giuridico nella risoluzione dei contratti di gestione originariamente sottoscritti, ma troverebbe invece causa nel loro scioglimento unilateralmente deciso dall'impresa in concordato con conseguente riconoscimento di un equo indennizzo (che è per sua natura al di fuori del campo di applicazione dell'IVA) ai clienti rimasti insoddisfatti.

La conclusione cui è giunta l'Agenzia delle Entrate appare pienamente condivisibile.

Infatti, considerato l'integrale pagamento dei corrispettivi dovuti, la risposta al quesito si incentrava sulla possibilità di ricondurre o meno l'istituto dello scioglimento del contratto tra le ipotesi di “dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili”, indicate dal comma 2 dell'art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 con chiaro riferimento ai corrispondenti istituti disciplinati dal libro IV, Titolo II, del Codice civile.

Al riguardo è stato rilevato in dottrina che l'istituto dello scioglimento del contratto nel concordato preventivo, quale disciplinato dall'art. 169-bis della l. fall. e ora dall'art. 97 CCII, si sostanzia “nel riconoscimento della facoltà potestativa del solo imprenditore che accede alla procedura di chiedere al giudice l'autorizzazione a compiere un atto definitivo ed irreversibile dall'effetto caducatorio del sinallagma funzionale proprio di un contratto. Si deve tenere conto che lo ‘scioglimento' del contratto è un istituto sconosciuto al Codice civile ove sono previsti rimedi giuridici legati esclusivamente ad aspetti patologici del negozio quali: la nullità (per vizi strutturali-costitutivi), la rescissione (per vizi genetici), la risoluzione (per vizi funzionali) del contratto. Si tratta di istituti fra loro profondamente differenti che portano, sostanzialmente, in ogni caso, alla cessazione del vincolo contrattuale originario. Lo ‘scioglimento' del contratto (che non è connesso ad alcuna patologia negoziale e che anzi presuppone la sua piena validità) è invece un istituto che si rinviene nel diritto fallimentare e produce la liberazione degli obblighi scaturenti direttamente dal contratto o per volontà della legge, o per volontà del curatore (nel fallimento) o per esclusiva volontà dell'imprenditore- debitore (nel concordato)” (così testualmente U. De Crescienzo, “Precisazioni in tema di scioglimento del contratto nel concordato preventivo”, in Fallimento 2019, 1518 e 1519). Viceversa, anteriormente all'inserimento dell'art. 169-bisnella Legge fallimentare, l'eventuale dichiarazione di volersi sciogliere dal contratto, da parte del debitore assoggettato al concordato preventivo, equivaleva ad un recesso unilaterale, che dava luogo al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1373 del Codice civile, ragion per cui questi era costretto a concludere un accordo con il contraente in bonis per una risoluzione consensuale, oppure “pagava in prededuzione il credito per risarcimento del danno da scioglimento e, secondo le modalità del piano, i crediti per prestazioni scindibili inadempiute precedentemente alla domanda” (così G. Bozza, “I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo”, in Fallimento 3, 1123).

È dunque da considerare corretto il richiamo, da parte dell'Agenzia delle Entrate, alla precisazione operata dai giudici di legittimità con la citata sentenza n. 8008/2022, secondo cui l'art. 169-bis della L. Fall. non equivale a una sorta di risoluzione contrattuale disposta ex lege, ma “attribuisce espressamente all'imprenditore la facoltà di sciogliersi da tali contratti con espressa manifestazione di volontà in tal senso rivolta agli altri contraenti”, pur condizionando il verificarsi dello scioglimento, “tanto per l'imprenditore che per i contraenti, all'adozione di preventiva autorizzazione giudiziale (del tribunale ovvero del giudice delegato alla procedura a seconda del momento in cui la decisione è assunta) all'esercizio di tale volontà. L'autorizzazione giudiziale prevista dalla disposizione in esame costituisce dunque solo atto integrativo della volontà dell'imprenditore che, sola, determina l'effetto dissolutivo del vincolo contrattuale”. Talché al giudice compete solo un potere di controllo sulle scelte del debitore da esercitare mediante la concessione o il diniego della relativa autorizzazione, incentrato sulla congruità e sulla coerenza dello scioglimento con il piano (cfr. B. Inzitari, “I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l'art. 169-bis l.fall.”, in www.ilfallimentarista, 3 agosto 2012).

Ad ogni modo appare opportuno rammentare che, anteriormente all'entrata in vigore del Codice della crisi, si contrapponevano due tesi circa l'applicabilità dell'art. 169-bisl. fall., in quanto per una parte della dottrina e della giurisprudenza sarebbero stati da considerare “contratti pendenti” sia i contratti bilaterali ineseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti, sia quelli unilaterali con obbligazioni (pecuniarie o non) da una sola delle parti, mentre un'altra corrente di pensiero riconduceva in tale nozione solo la prima categoria (cfr. A. Dimundo, cit., 1088 e 1089). Con l'entrata in vigore del Codice della crisi la questione è stata risolta a favore di questa seconda tesi, come si rileva dal testo dell'art. 97, comma 1, in forza del quale nell'ambito del concordato preventivo “Il debitore può chiedere, con autonoma istanza, l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento” dei contratti pendenti, ovverosia dei “contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo”.Di conseguenza, con l'entrata in vigore del Codice della crisi, nella nozione di “contratti pendenti” “non possono rientrare i rapporti (sinallagmatici) già interamente eseguiti da una delle due parti prima della presentazione della domanda di concordato, dando luogo, nel caso di adempimento da parte del contraente in bonis, ad un credito concorsuale per la controprestazione dovutagli (quale che essa sia: pecuniaria o non pecuniaria), sottoposto alle relative regole; e all'opposto, nel caso di adempimento da parte del contraente concordatario, ad un credito di quest'ultimo, da soddisfarsi per l'intero” (così testualmente P.F. Censoni, “Gli effetti del concordato preventivo sui contratti pendenti nel passaggio dalla legge fallimentare al ccii”, in Fallimento 2019, 865).



La risposta a interpello n. 324/2023

La risposta a interpello n. 324/2023, invece, si riferisce alla possibilità di ricomprendere le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento nel campo oggettivo di applicazione del comma 3-bis dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972, a norma del quale il creditore, per recuperare l'imposta applicata al debitore in stato di crisi e da quest'ultimo non corrisposta, non è tenuto ad attendere la conclusione infruttuosa della procedura di regolazione della crisi d'impresa (come previsto dalla regola generale contenuta nel comma 2 del medesimo art. 26), ma ha diritto di emettere la nota di variazione in diminuzione IVA entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa:

  • all'anno di emissione della sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale;
  • all'anno di emissione del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  • all'anno di emissione del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
  • all'anno di emissione del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
  • all'anno in cui viene disposta l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero viene pubblicato nel registro delle imprese il piano attestato di risanamento.

Il comma 5-bis dell'art. 26 stabilisce che, qualora successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis il corrispettivo sia pagato in tutto o in parte, il creditore è obbligato a emettere una variazione in aumento IVA al fine di rettificare in maniera corrispondente la variazione in diminuzione IVA precedentemente emessa. Come chiarito attraverso il principio di diritto n. 1 pubblicato il 10 gennaio 2023, l'eventuale risoluzione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti soggetto a omologazione resta un evento del tutto irrilevante a tale fine, atteso che, a fronte dell'acclarato omesso pagamento da parte del cessionario/committente, l'obbligazione iniziale rimane inadempiuta e l'eventuale risoluzione dell'accordo raggiunto in base al piano non muta tale aspetto, restando anzi possibile “procedere ad una nuova variazione in diminuzione.

All'istanza di interpello presentata in proposito da una società creditrice di un proprio cliente nei confronti del quale era stata dichiarata aperta la procedura di liquidazione del patrimonio prevista dall'art. 14-ter della L. 3/2012, l'Agenzia delle Entrate ha risposto in maniera negativa, rilevando come, nonostante i ripetuti interventi normativi da parte del legislatore negli ultimi anni, nell'art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 non si faccia alcuna menzione alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e tanto meno a quella della liquidazione del patrimonio del debitore.

In particolare, nella risposta a interpello si rappresenta come, dall'esegesi normativa, si possa desumere che la voluntas legis sia stata quella di consentire la rettifica in diminuzione già all'apertura della procedura solo con riguardo alle procedure indicate nei commi 3-bis e 10-bis dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972, così come era stato inizialmente stabilito con la disposizione contenuta nell'art. 1, comma 126, della L. 208/2015, mai entrata in vigore a causa delle modifiche apportate dall'art. 1, comma 567, della L. 232/2016.

L'Agenzia ha perciò concluso che, “in assenza di una espressa previsione normativa, è impraticabile l'applicazione in via interpretativa della disposizione in esame alla procedura di Liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 14-ter della legge n. 3 del 2012”, fermo restando però il diritto di emettere la nota di variazione in diminuzione al momento della conclusione infruttuosa della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento in base alla regola generale sancita dal comma 2 del medesimo art. 26. Con la risposta a interpello n. 485 del 3 ottobre 2022, l'Agenzia delle Entrate ha infatti riconosciuto che il creditore può comunque contare sul diverso e autonomo presupposto sancito dal comma 2 dell'art. 26 per operare la variazione in diminuzione, aspettando la data della definitiva conclusione della procedura.

La stessa questione si pone, evidentemente, anche con riguardo agli altri istituti disciplinati dal Codice della crisi non espressamente menzionati nei citati commi 3-bis e 10-bis dell'art. 26, quali per esempio i piani di ristrutturazione soggetti a omologazione di cui all'art. 64-bis del Codice della crisi.

La risposta a interpello n. 324/2023, pertanto, conferma ancora una volta quanto sia opportuna la modifica all'art. 26 contemplata nel disegno di legge contenente la delega al Governo per la riforma fiscale, con la quale si prevede di estendere a tutti gli istituti disciplinati dal Codice della crisi (e quindi anche alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento) “l'applicazione delle disposizioni degli articoli 88, comma 4ter, e 101, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché dell'articolo 26, commi 3bis, 5, 5bis e 10bis, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e l'esclusione dalle responsabilità previste dall'articolo 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e dall'articolo 2560 del codice civile”.



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