Rinuncia al concordato e consecutio

08 Giugno 2023

Il Tribunale di Bergamo disapplica la tesi maggioritaria in tema di consecuzione delle procedure, dichiarando inammissibile, nel caso in esame, una proposta concordataria depositata successivamente alla rinuncia espressa, da parte del debitore, ad una precedente domanda di concordato. La pronuncia rappresenta l'occasione per svolgere una ricostruzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul tema della consecutio procedurarum.
Il caso e la soluzione del Tribunale

In data 23 dicembre 2020 la società ricorrente depositava domanda di concordato preventivo ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. Successivamente, in data 1° luglio 2021, la stessa, scaduto il termine per la presentazione del piano e della proposta concordataria, depositava espressa rinuncia alla domanda di concordato, cui faceva seguito il decreto del Tribunale orobico che dichiarava la estinzione della procedura concordataria. In data 29 luglio 2021 la ricorrente depositava, quindi, il ricorso per l'ammissione ad una nuova procedura di concordato preventivo ai sensi dell'art. 161, commi 2 e 3, l. fall., completo pertanto della proposta e del piano concordatario. Con decreto del 14 settembre 2021 il Tribunale assegnava alla società debitrice un termine pari a 15 giorni per produrre documentazione integrativa e apportare modifiche al piano, ritenuto non corretto in ragione della errata appostazione nell'attivo concordatario di un immobile, che risultava essere stato indicato a valore di mercato pieno anziché ad un valore “abbattuto” per la contemplata previsione di vendita competitiva (che avrebbe comportato l'insindacabile deprezzamento del valore). Contestualmente il Tribunale fissava l'udienza del 13 ottobre 2021 per i provvedimenti di cui all'art. 162 l. fall. In data 30 settembre 2021 la società debitrice depositava memoria difensiva nella quale ribadiva la correttezza delle valutazioni operate con riferimento all'appostazione del valore dell'immobile e, contestualmente, chiedeva l'ammissione alla procedura concordataria invocando, oltretutto, la sussistenza della consecuzione con la procedura preconcordataria che era stata oggetto di rinuncia.

Tutto ciò premesso, il Tribunale di Bergamo respingeva le richieste della società ricorrente e dichiarava inammissibile la domanda di concordato preventivo ai sensi dell'art. 162, comma 2, l. fall., conseguentemente ritenendo insussistente la consecuzione tra la procedura concordataria in esame e quella originaria di cui all'art. 161, comma 6, l. fall., rinunciata espressamente in data 1° luglio 2021 e dichiarata estinta con decreto in data 8 luglio 2021. In particolare, con riferimento a quest'ultimo punto, il Tribunale sottolineava il fatto che, ammettendo la sussistenza della consecutio, il debitore verrebbe legittimato ad estendere il principio della consecuzione all'infinito, con conseguente integrazione di un abuso del diritto.



La questione giuridica e alcune considerazioni sul tema della Consecutio procedurarum

La sentenza in esame offre lo spunto per una ricostruzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito ai principi giuridici posti dalla Corte bergamasca alla base della propria decisione.

Dal concordato preventivo al fallimento con e senza soluzione di continuità

Per poter ripercorrere la genesi, l'evoluzione ed il successivo consolidamento della consecutio procedurarum, non si può prescindere dall'analisi dei principi ispiratori dettati dal Legislatore del '42. Il fenomeno della consecutio delle procedure (o conversione) è stato invocato in tutte quelle ipotesi in cui il tentativo di accedere ad una procedura minore – amministrazione controllata o concordato preventivo - sfociava, senza soluzione di continuità, nel fallimento. Il riconoscimento della consecuzione tra procedure avrebbe infatti consentito al debitore di continuare a godere dei benefici, nell'ambito della procedura fallimentare, sorti nella o nelle procedure minori precedenti.

Il principio della consecuzione è stato sin dall'origine definito come “quel fenomeno in cui diverse procedure concorsuali, relative allo stesso imprenditore ed alla medesima situazione di crisi, si succedono nel tempo in modo da potersi considerare, sotto determinati profili giuridici, come fasi successive di uno stesso procedimento” (A. CECCHERINI, Effetti nel fallimento consecutivo, in Il Fall., 1992, 313). In presenza di tale fattispecie, la tutela della par condicio creditorum veniva garantita dalla giurisprudenza antecedentemente rispetto al momento della declaratoria fallimentare in quanto il c.d. “periodo sospetto” per l'esercizio dell'azione revocatoria era stato spostato a ritroso, contrariamente quindi al principio dettato dall'art. 42 l.fall. secondo cui gli effetti del fallimento si producono alla data di dichiarazione dello stesso.

Ma se tutto ciò sembrava essere di facile applicazione nelle fattispecie di immediato passaggio da una procedura all'altra senza soluzione di continuità ed in ipotesi di medesimezza dello stato d'insolvenza, più complicato risultava affermare la sussistenza della consecutio nelle fattispecie in cui il passaggio dalla procedura minore al fallimento era caratterizzato da uno iato temporale rilevante. Tuttavia, come già espresso da diversi orientamenti giurisprudenziali (cfr. Cass., 2 giugno 1988, n. 3741 e Cass., 26 giugno 1992, n. 8013), per aversi consecutio non è necessaria l'immediatezza della conversione, in quanto “la consecuzione dei procedimenti non è esclusa dal mero frapporsi di un intervallo di tempo tra due procedure prese in considerazione, purché la seconda sia espressione della medesima crisi economica della prima procedura che aveva avviato la sequenza” (Cass., 26 giugno 1992, n. 8013), rilevando quindi solo l'esistenza di un nesso di continuità tra le procedure non tanto di natura temporale, ma piuttosto di natura causale, conseguendone, pertanto, che laddove il fallimento fosse stato dichiarato sulla base di presupposti che nulla avessero a che vedere con le cause che avevano condotto all'apertura della prima procedura concordataria, indipendentemente dalla presenza di un intervallo temporale più o meno ampio, la sussistenza della consecuzione sarebbe stata ovviamente meno pacifica. Di diverso avviso prima la Corte di cassazione (Cass., 19 aprile 2010, n. 9289) e poi il Tribunale di Forlì (Trib. Forlì, 3 novembre 2015, n. 13692) che hanno negato la sussistenza del principio della consecuzione in presenza di una soluzione di continuità tra le due procedure rispettivamente di otto e dodici mesi.

Dall'amministrazione controllata al fallimento

Più problematica è stata, sia in dottrina che in giurisprudenza, l'automatica applicazione del principio della consecutio nei casi di amministrazione controllata seguita dal fallimento. E ciò sulla base del diverso presupposto oggettivo che caratterizzava l'amministrazione controllata rispetto al concordato preventivo e al fallimento (cfr. App. Genova, 17 aprile 1957 e Trib. Roma, 11 ottobre 1961 in Il Fallimento 1978, 65): la temporanea difficoltà dell'impresa ad assolvere le proprie obbligazioni e una comprovata possibilità di risanamento. Il consolidamento, in giurisprudenza, dell'opinione contraria, e cioè favorevole all'identificazione della temporanea difficoltà ad assolvere le obbligazioni con lo stato d'insolvenza, si è verificato nella giurisprudenza di merito a partire dai primi anni '60, mediante l'accettazione del principio secondo cui i termini per l'esercizio dell'azione revocatoria devono decorrere dalla data di ammissione alla procedura di amministrazione controllata (cfr. App. Lecce, 27 dicembre 1963, App. Lecce, 4 giugno 1964, App. Lecce, 13 marzo 1965, Trib. Roma, 26 luglio 1967, in Il Fallimento, 1978, 65). Pertanto, “all'obiezione secondo cui la legge, nel fissare i termini per le azioni revocatorie, si riferisce alla dichiarazione di fallimento, la giurisprudenza replica che la legge si riferisce al provvedimento che normalmente accerta lo stato d'insolvenza e quando l'accertamento, nella consecutività nelle procedure, risalga al decreto di ammissione al concordato preventivo o al decreto di amministrazione controllata, la decorrenza dei termini deve anticiparsi alla data dell'accertamento equivalente” (G.G. RUISI, A. IORIO, A. MAFFEI ALBERTI, G.U. TEDESCHI, Il Fallimento – Vol. II, Torino, 1978, 66). Nei decenni successivi vennero tuttavia sollevati dubbi di legittimità costituzionale della consecutio da parte dei giudici di merito del Tribunale di Milano (cfr. ordinanza n. 603 del 21 aprile 1994; ordinanza n. 667 del 19 maggio 1994 in A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2000, 768) con riferimento all'art. 67 della legge fallimentare in ordine ai principi dettati dagli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, in quanto, nel disporre la retrodatazione del periodo sospetto per l'esercizio dell'azione revocatoria a ritroso dalla data di ammissione dell'amministrazione controllata anziché da quella di declaratoria fallimentare, la disposizione normativa in parola avrebbe trattato “in modo uguale situazioni diseguali”. A dirimere la controversia intervenne la Corte Costituzionale, la quale affermò, invece, che l'art. 67 della legge fallimentare dovesse essere interpretato in modo estensivo e che l'ontologica diversità del presupposto delle due procedure si risolveva nella dicotomia “insolvenza sanabile/insanabile” e ciò che variava era la prognosi, non l'identica patologia comune all'impresa che ne era alla base (Corte Cost., 6 aprile 1995, n. 110).

Consecutio tra plurime procedure minori ed il fallimento

Se, come visto, sussistevano minori problematiche in merito all'applicazione del principio di consecuzione nell'ipotesi di passaggio dalla procedura concordataria al fallimento e da quella di amministrazione controllata al fallimento, restava invece maggiormente controversa la possibilità di applicare tale principio in ipotesi di successione di plurime procedure concorsuali minori ed il successivo fallimento. Tenuto conto, come già detto in precedenza, della diversità dei presupposti alla base delle procedure di concordato preventivo e amministrazione controllata, tale ultimo istituto concorsuale rappresentava l'unico ad avere quale fine ultimo quello della conservazione dell'impresa, stante la natura meramente liquidatoria del concordato preventivo. Era previsto che il debitore, sia durante l'amministrazione controllata sia allo spirare del termine, potesse comunque presentare istanza per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, con conseguente ed automatica rinunzia alla procedura originaria (l'amministrazione controllata) anche se il termine della procedura non si era esaurito. Nel caso di consecuzione del concordato preventivo all'amministrazione controllata, il concordato era obbligatorio per tutti i creditori anteriori all'amministrazione controllata ed il divieto di compensazione tra crediti verso il debitore ante amministrazione controllata con i debiti verso il medesimo contratti operava anche nella procedura concordataria. Vigeva altresì, in ossequio al principio della consecutio procedurarum, il postulato secondo cui i debiti derivanti dalla continuazione dell'esercizio dell'impresa durante l'amministrazione controllata dovevano essere soddisfatti in prededuzione nel successivo concordato preventivo. Oltre alla giurisprudenza di merito, anche quella di legittimità ha, nel corso degli anni, consolidato i propri orientamenti con riferimento alla consecuzione tra più procedure minori e fallimento (Cass. nn.21900/2013, 13445/2011, 2167/2010, 28445/2008, 2437/2006, 17884/2002, 10792/1999, 12536/1998). In particolare, è stato affermato il principio secondo cui “nella consecuzione delle procedure concorsuali, delle quali la prima sia un'amministrazione controllata e l'ultima della serie una procedura il cui presupposto oggettivo sia costituito dallo stato d'insolvenza, il computo a ritroso del periodo sospetto di cui all'art. 67, primo comma, l. fall., deve avere inizio dalla data del decreto di ammissione all'amministrazione controllata (così a far tempo da Cass. 7 dicembre 1966, n. 2871 e, ultimamente, Cass. 14 dicembre 1998, n. 12536; Cass. 1° ottobre 1997, n. 9581)” (Cass., 29 settembre 1999, n. 10792).

Le prime riforme del diritto fallimentare

Con la riforma del diritto fallimentare realizzata mediante l'introduzione dapprima del D.L. 35/2005 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”) e successivamente del D. Lgs. 5/2006 (“Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 marzo 2005, n. 80) e del D. Lgs. n. 169/2007, si è assistito contemporaneamente all'abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata e ad un profondo rinnovamento dell'istituto del concordato preventivo, il cui presupposto è stato individuato non più nello stato d'insolvenza, bensì nello stato di crisi, comprensivo anche dello stato d'insolvenza stesso. Cosicché, mentre era stato agevole, sino a quel momento, affermare che la prosecuzione degli effetti, in caso di successione di procedure, fosse giustificabile in forza dello stesso presupposto che caratterizzava concordato preventivo e fallimento, con i nuovi postulati introdotti dalla riforma tutto ciò non sarebbe risultato più sostenibile perché, in presenza di uno stato di crisi, avrebbe potuto considerarsi incongrua un'assimilazione della fase concordataria a quella fallimentare. Con tali innovazioni legislative si voleva consentire all'imprenditore di anticipare le azioni volte a porre rimedio alla sua situazione di difficoltà poiché il concetto di crisi non era assimilabile a quello di insolvenza ma era individuabile, semmai, in una prodromica situazione di insolvenza prospettica (l'impresa non è allo stato insolvente ma si presume che lo diverrà a breve in mancanza di una operazione di riorganizzazione).

L'affermazione post-riforma del principio della consecuzione delle procedure non è stata però scevra da dubbi interpretativi anche e soprattutto da una parte minoritaria della dottrina (in tal senso, tra gli altri, A. Nigro e D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese: le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 376-377), la cui posizione ostile al principio della consecuzione è stata superata da alcuni postulati normativi introdotti dalle riforme di questi anni ed in particolare: a) la consecutività tra la revoca/inammissibilità del concordato e la successiva declaratoria fallimentare non è stata esclusa con l'abrogazione del fallimento dichiarato d'ufficio, ma soltanto subordinata all'istanza dei creditori o del pubblico ministero; b) la previsione della prededuzione dei crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali è stata introdotta dall'art. 111 della legge fallimentare; c) la consecuzione dei procedimenti non è esclusa dal “mero frapporsi di un intervallo di tempo tra due procedure prese in considerazione, purché la seconda sia espressione della medesima crisi economica della prima procedura che aveva avviato la sequenza” (Cass., 26 giugno 1992, n. 8013).

La riforma del diritto fallimentare del 2012

Ciò che ha consacrato, a livello normativo, l'affermazione del principio di consecuzione tra concordato preventivo e fallimento è stata l'introduzione, con laL. 134/2012 che ha convertito con modificazioni il D.L. 83/2012, del disposto normativo dettato dall'art. 69-bis, comma 2, l. fall., il quale ha previsto che “nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”. La ratio dell'introduzione di tale norma è di evitare che la presentazione di istanze di concordato siano volte a sottrarre agli strali della revocatoria fallimentare atti compiuti da imprenditori che si trovino già in stato di insolvenza. La norma è applicabile in tutti i casi in cui il fallimento si apra successivamente all'esito infausto della procedura concordataria, a prescindere dalle motivazioni che hanno portato alla dichiarazione di fallimento ed indipendentemente dal lasso di tempo intercorso tra il deposito della domanda di concordato e la dichiarazione di fallimento. Con il passaggio alle nuove norme, quindi, “resta intatta la logica dell'unitarietà delle procedure che non recede ove sussista uno iato temporale nella successione dei procedimenti, essendo infine manifestazione di un'unica crisi d'impresa” (Cass., 29 marzo 2016, n. 6045).

Tra le altre novità introdotte con l'entrata in vigore della L. 134/2012, vi è anche quella relativa alla possibilità, nel concordato preventivo, di presentare la domanda (c.d. concordato in bianco o preconcordato o concordato con riserva) riservandosi di depositare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 l. fall. entro un termine fissato dal giudice stabilito in massimo centoventi giorni, prorogabili di ulteriori sessanta in presenza di comprovati e giustificati motivi. Si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi (c.d. automatic stay) del proprio patrimonio, impedendo che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la sua situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza irreversibile. Allo spirare del termine fissato dal giudice, tuttavia, non è detto che la procedura concordataria vera e propria venga aperta, e ciò potrebbe accadere per i più svariati motivi: o perché il debitore non venga ammesso, o perché lo stesso rinunci alla domanda di concordato o ancora perché alla scadenza dei termini il debitore non depositi la documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 l. fall. o addirittura li depositi in ritardo dopo un determinato intervallo di tempo rispetto alla scadenza naturale del termine. Per poter stabilire se all'esito infausto di una domanda di concordato in bianco possa applicarsi il principio della consecuzione delle procedure in caso di successivo fallimento o di successivo deposito di altra domanda concordataria “piena”, a parere di chi scrive occorre prioritariamente effettuare una disamina su quale sia l'esatto momento in cui può considerarsi aperta la procedura di concordato preventivo, se già dal deposito della domanda di preconcordato (indipendentemente dal se la stessa non sia successivamente seguita dal deposito del piano e della proposta) oppure soltanto successivamente al deposito del piano e della proposta con conseguente provvedimento di ammissione alla procedura.

Diversi sono stati gli orientamenti e le interpretazioni offerte dalla giurisprudenza.

Secondo una prima impostazione, “la domanda di concordato produce effetti anche prima dell'eventuale provvedimento di ammissione” (Cass., 16 aprile 2018, n. 9290). Ed inoltre, il fenomeno della consecuzione si configura anche nel caso in cui alla presentazione della domanda di concordato non abbia fatto poi seguito il decreto di ammissione alla relativa procedura (cfr. Cass., 16 aprile 2018, n. 9290 e Cass., 6 agosto 2010, n. 18437).

Oggi, si è giunti ad un orientamento dettato dalle Sezioni Unite consolidato e nettamente opposto, secondo cui la consecutività dei procedimenti può aversi solo se il procedimento originario, per quanto ad esito infausto, sia progredito oltre il mero accesso, raggiungendo gli obiettivi minimali che lo caratterizzano tipologicamente, cioè possa dirsi procedura concorsuale pervenuta alla fase di possibile coinvolgimento dei creditori; in tal senso, la consecutività esige che tra i procedimenti non vi sia discontinuità organizzativa e/o soluzione di continuità, sussistente invece quando la prima procedura concordataria non sia avanzata oltre la domanda del debitore e nemmeno sia stata aperta (Cass., SS.UU., 31 dicembre 2021, n. 621).

Quanto all'ipotesi della rinuncia, e fermo restando il pieno riconoscimento del diritto dell'imprenditore a rinunciare alla domanda di concordato, sia essa presentata ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall., o invece corredata dalla proposta e dal piano concordatario, ci si chiede se il principio della consecutio sia applicabile in ipotesi di conseguente fallimento o di deposito di una nuova domanda concordataria. Vi è da premettere, tuttavia, che già la disposizione normativa dettata dall'art. 161, comma 9, l. fall. preclude al debitore di presentare una seconda domanda di concordato in bianco ai sensi dell'art. 161, sesto comma, l. fall. Dalla lettura del disposto normativo in parola non risulta quindi preclusa all'imprenditore la possibilità di depositare una domanda di concordato corredata dalla documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 l.fall. successivamente al deposito di una domanda concordataria con riserva a cui non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura di concordato o l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, ancorché entro i due anni dal primo deposito. Sostanzialmente, si deve ritenere ammissibile il deposito della seconda domanda concordataria successivamente al ritiro del ricorso originario (ancorché presentato “in bianco”), in ossequio al principio della consecutio, sempreché la nuova domanda non si sostanzi in un abuso del diritto. Il profilo dell'abuso dello strumento concordatario ha trovato riscontro in numerose pronunce della Corte di cassazione, tra cui la qui citata sentenza del 2015 delle Sezioni Unite, la quale ha stabilito che la domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6, l.fall., presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti (Cass., SS.UU., 15 maggio 2015, n. 9935).

In ipotesi, invece, di scadenza del termine fissato dal giudice e mancata presentazione della documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 l. fall., è stata negata la sussistenza del principio della consecutio tra una domanda di concordato “in bianco” già dichiarata inammissibile per mancato deposito nel termine della proposta definitiva, ed una successiva domanda di concordato “pieno” (Trib. Asti, 30 ottobre 2014, in www.ilfallimentarista.it ). E altresì è stata dichiarata l'insussistenza della consecutio a seguito di deposito tardivo (nel caso qui citato dieci giorni) della documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 l. fall. a causa di una mancata rinuncia espressa del debitore alla domanda concordataria originaria ex art. 161, sesto comma, l. fall. (Cass., 19 novembre 2018, n. 29740).

Consecutio e prededucibilità dei crediti

L'art. 111, comma 2, l. fall. stabilisce che “sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge […]”. Premesso ciò, diviene anzitutto di fondamentale importanza distinguere le fattispecie in cui il credito prededucibile trovi fondamento nel presupposto dell'occasionalità oppure in quello della funzionalità della procedura concordataria. Il criterio che fa riferimento all'elemento cronologico (“in occasione”) deve essere integrato, per avere un senso compiuto, con un implicito elemento soggettivo, e cioè quello della riferibilità del credito alla attività degli organi della procedura; in difetto di una tale integrazione il criterio in questione sarebbe palesemente irragionevole, in quanto porterebbe a considerare come prededucibili, per il solo fatto di essere sorti in occasione della procedura, i crediti conseguenti ad attività del debitore non funzionali ad esigenze della stessa (Cass., 24 gennaio 2014, n. 1513).

Più difficoltoso risulta considerare automaticamente prededucibili i crediti sorti “in funzione” della procedura. Questi ultimi, difatti, presuppongono che il negozio da cui traggono origine sia finalizzato all'ammissione al concordato preventivo ovvero al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano, sicché vanno inclusi in tale categoria sia quelli sorti prima dell'apertura della procedura (ad es., il credito del professionista che abbia predisposto la domanda di concordato preventivo o redatto la relazione prevista dall'art. 161 l.fall.) sia quelli venuti ad esistenza nel periodo intercorrente tra la proposta e l'omologazione come, ad esempio, il credito conseguente al finanziamento necessario per costituire il deposito per le spese di procedura ovvero i debiti contratti per la continuazione dell'esercizio dell'impresa che sia preveduta dal piano quale condizione per il suo risanamento.

In conclusione, con riferimento al primo criterio l'attività degli organi della procedura dà luogo a crediti prededucibili indipendentemente dalla verifica in concreto della funzionalità rispetto alle esigenze della procedura mentre, in virtù del secondo, l'attività del debitore, ammesso alla procedura di concordato preventivo, dà luogo alla prededuzione quando sia funzionale alle predette esigenze (Cass., 24 gennaio 2014, n. 1513 e così ribadito da Cass., 7 ottobre 2016, n. 20113). Non vi sarebbe ragione, infatti, in presenza di procedure del tutto autonome l'una dall'altra, per riconoscere la prededuzione a quei crediti sorti in funzione della prima procedura, in quanto completamente diverse.

Sul tema, la giurisprudenza di merito offre la possibilità di analizzare l'orientamento del Tribunale di Rimini con riferimento al caso Aeradria S.p.A. (società di gestione e di handler dell'aeroporto di Rimini). In data 25 ottobre 2012 la società Aeradria S.p.A. depositava una domanda di concordato con riserva, chiedendo il termine di 120 giorni per presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 161 l.fall.. Dopo la richiesta di un'ulteriore proroga di trenta giorni del termine di cui all'art. 161, sesto comma, l.fall., la società depositava una proposta di concordato preventivo con continuità aziendale fondata sulla suddivisione dei creditori chirografari in classi, con trattamento differenziato per i c.d. creditori strategici e conseguente appostazione di un fondo rischi a tutela dell'eventuale riconoscimento della prededuzione di tali crediti. Interveniva nella procedura il pubblico ministero concludendo per l'inammissibilità della procedura di concordato preventivo, in ragione di una serie di censure. Con provvedimento del 13 maggio 2013, depositato in data 17 maggio 2013, il Tribunale dichiarava l'inammissibilità della proposta evidenziando profili specifici di mancanza di fattibilità. Con ricorso depositato il data 24 maggio 2013 il pubblico ministero avanzava quindi per la prima volta istanza di fallimento. Veniva fissata l'udienza prefallimentare in data 20 giugno 2013, data nella quale veniva contestualmente depositata una nuova domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, corredata da un nuovo piano industriale. Con decreto del 23 luglio 2013 la società Aeradria S.p.A. veniva ammessa alla procedura di concordato preventivo. In data 11 ottobre 2013 il commissario giudiziale depositava la relazione ex art. 173 e 186-bis l.fall., nella quale muoveva rilievi in ordine, tra l'altro, “all'effetto ‹‹potenzialmente dirompente›› della prededuzione dei crediti sorti in costanza del c.d. ‹‹primo concordato con riserva››”. I rilievi sollevati dal commissario giudiziale venivano ritenuti fondati e la società, previa revoca del concordato, veniva dichiarata fallita. Nella sentenza in parola il Tribunale di Rimini ha ritenuto di riconoscere la prededuzione ex lege – nella seconda procedura concordataria ammessa – ai crediti sorti nel corso della vigenza della prima domanda concordataria, anche se quest'ultima aveva avuto esito infausto. Ciò in quanto – si legge tra le righe della sentenza – “non si può negare che […] la società Aeradria sia stata assoggettata ad una procedura concorsuale, come attestato nel Registro delle imprese, cui è seguita un'altra procedura e ciò in quanto ne sussistevano ab origine i presupposti: presupposti soggettivi (la fallibilità ex art. 1 l.fall.) e oggettivi (l'insolvenza ex art. 15 l.fall., per espressa ammissione) […]”. Palese è pertanto l'orientamento del Tribunale di Rimini secondo cui è riconosciuta la prededucibilità dei crediti sorti sia in occasione che in funzione del deposito della prima domanda concordataria per il sol fatto che già il deposito della domanda ex art. 161, sesto comma, l. fall., costituisca di per sé la procedura di concordato, a prescindere dal se quest'ultima sia poi successivamente aperta o meno. Ciò in ossequio alla ratio della norma insita nel rafforzamento della tutela degli interessi dei terzi (per lo più fornitori, da cui maturano crediti prededucibili in funzione della procedura concordataria) che intendono dare fiducia al debitore.

Applicabilità del principio della consecutio alla sentenza in commento

Nel caso oggetto di commento, la procedura concordataria neppure è stata aperta, essendo spirato inesorabilmente il termine fissato dal Tribunale per il deposito della proposta e della documentazione ex art. 161, commi 2 e 3, l. fall. ed essendo per di più intervenuta una rinuncia espressa da parte del debitore stesso alla domanda concordataria a cui è seguito il decreto del Tribunale che dichiarava estinta la procedura. In tale fattispecie, a parere di chi scrive, il principio della consecutio difficilmente può essere invocato e condiviso, costituendo il deposito della domanda concordataria completa anche della prescritta documentazione una nuova ed autonoma procedura.

A sostegno di tale orientamento si sono espresse anche le Sezioni Unite della Suprema Corte, secondo cui la consecutività dei procedimenti può aversi solo se il procedimento originario, per quanto ad esito infausto, sia progredito oltre il mero accesso, raggiungendo gli obiettivi minimali che lo caratterizzano tipologicamente, cioè possa dirsi procedura concorsuale pervenuta alla fase di possibile coinvolgimento dei creditori; in tal senso, la consecutività esige che tra i procedimenti non vi sia discontinuità organizzativa e/o soluzione di continuità, sussistente invece quando la prima procedura concordataria non sia avanzata oltre la domanda del debitore e nemmeno sia stata aperta (Cass., SS.UU., 31 dicembre 2021, n. 621). Sempre dalla lettura della sentenza delle Sezioni Unite, emerge che “il mancato corredo da parte del debitore di proposta, piano e documentazione entro il termine concessogli ex art. 161, sesto comma, l. fall., e la richiesta di non emanazione di una pronuncia di merito, con la rinuncia alla domanda stessa, non comporta il riconoscimento della prededucibilità del credito del professionista in quanto non strumentale al concordato preventivo, mai ammesso e pertanto estraneo agli scopi per cui la relativa prestazione professionale era stata acquisita”.

La pronunzia in parola offre un ulteriore spunto utile ad approfondire in primis sino a quale momento della procedura concordataria il ricorrente possa rinunciare al ricorso e (in secundis) se effettivamente possa non essere considerata applicabile la consecutio sussistendo, a parere del Tribunale orobico, profili di abuso del diritto da parte del debitore. Orbene, con riferimento al momento entro cui è possibile rinunciare alla procedura concordataria, vi è da premettere che il concordato preventivo non è un istituto del diritto privato (ergo non è un contratto che di per sé vincola solo le parti contraenti) bensì è un istituto pubblicistico la cui omologazione vincola tutti i creditori, ancorché silenti e dissenzienti. Di conseguenza, la sola approvazione della proposta concordataria da parte della maggioranza dei creditori è inidonea a produrre gli effetti del concordato. Questi, infatti, si producono solo all'esito dell'avvenuta omologazione da parte del Tribunale, previa verifica formale della domanda concordataria ed in assenza di opposizioni da parte dei creditori. Fatta tale premessa, a fornire un coordinamento interessante è stata la Corte di cassazione, la quale ha ritenuto “rinunciabile la domanda di concordato preventivo da parte del debitore proponente con atto unilaterale sino alla omologazione del concordato, e dunque anche dopo la deliberazione da parte del ceto creditorio […], e ciò in ragione della considerazione che la proposta concordataria, stante la sua eminente natura negoziale, rimane nella disponibilità del proponente anche dopo l'eventuale approvazione dei creditori” (Cass., 10 ottobre 2019, n. 25479).

Quanto al secondo punto, e cioè se possano esserci profili di abuso del diritto che conseguentemente rendano non applicabile la consecutio, il Tribunale orobico ha considerato la sussistenza di abuso del diritto nella fattispecie in esame in quanto il debitore, nel caso in cui avesse continuato a proporre e successivamente rinunciare più procedure concordatarie, avrebbe goduto del potere di estendere il principio della consecuzione all'infinito, differendo per un tempo indeterminato la dichiarazione di fallimento senza integrare, tra l'altro, la domanda concordataria precedentemente proposta entro il termine perentorio statuito dal Tribunale. Nello scenario descritto, pertanto, la rinuncia alla domanda di concordato (peraltro dichiarata estinta con apposito decreto del Tribunale) e la presentazione di una nuova ed ulteriore domanda concordataria ex art. 161, commi primo, secondo e terzo, l.fall., rappresentano una cesura a livello procedimentale, con inevitabili conseguenze sulla prededucibilità dei debiti sorti in funzione della originaria domanda concordataria nonché sull'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni antecedenti la pubblicazione nel registro delle imprese della prima domanda concordataria.

A parere di chi scrive, può esserci consecuzione tra due domande di concordato preventivo solo nelle ipotesi in cui alla rinuncia espressa da parte del debitore segua il decreto del Tribunale di estinzione della procedura concordataria con contestuale ammissione della nuova domanda concordataria. In tal modo, gli effetti della nuova domanda concordataria retroagirebbero alla data del primo ricorso e di conseguenza, in ipotesi di eventuale e successivo fallimento, il dies a quo per le azioni revocatorie sarebbe individuato alla data di presentazione dell'originaria domanda concordataria. Laddove, invece, la domanda originaria non sia progredita oltre il mero accesso ed il decreto di estinzione del primo ricorso e l'apertura della nuova domanda concordataria non intervengano contestualmente ma siano dilatati da uno iato temporale sufficientemente ampio (nel caso in esame ventotto giorni), ecco che non vi sarebbero margini per poter invocare la sussistenza della consecuzione tra le due procedure.

Consecutio in ipotesi di fallimento conseguente all'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall.

Il D. Lgs. 5/2006 ha introdotto un ulteriore istituto parallelo al concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Tale strumento è stato successivamente oggetto di alcune modifiche normative apportate dal D.L. n. 78/2010 e dal D.L. n. 83/2012 e ha destato, nel corso degli anni, non pochi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza con riferimento alla sua natura o meno di procedura concorsuale.

Un rilevante contributo volto a dirimere la questione è stato fornito infine dalla Corte di cassazione, la quale ha sancito che “la sfera della concorsualità può essere ipostaticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell'autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all'orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio, quali la liquidazione degli imprenditori non fallibili, le amministrazioni straordinarie, le liquidazioni coatte amministrative, il concordato fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento degli imprenditori non fallibili, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria […]” (Cass. 12 aprile 2018, n. 9087).

Or dunque, se già la Corte di Cassazione ha riconosciuto la possibilità di consecuzione fra procedure, non solo rispetto a procedure minori a cui abbia fatto seguito il fallimento, ma anche rispetto alla successione tra amministrazione controllata e concordato preventivo (cfr. Cass., 18 febbraio 2013, n. 8534) (consecutio tra sole procedure minori), allora può riconoscersi la consecuzione di procedure anche nei casi in cui ad un accordo di ristrutturazione dei debiti segua un concordato preventivo (Cass., 10 aprile 2019, n. 10106) ed, eventualmente, un successivo ed ulteriore fallimento.

Uno sguardo alle previsioni contenute nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza

Secondo l'art. 170, comma 2, CCII, “quando alla domanda di accesso a una procedura concorsuale segue l'apertura della liquidazione giudiziale, i termini di cui agli articoli 163, 164, 166, commi 1 e 2, e 169, decorrono dalla data di pubblicazione della predetta domanda di accesso. Tale previsione normativa non era stata originariamente prevista. Tuttavia, la L. 20/2019 ha consentito di emanare disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 14/2019. In particolare, l'art. 7, comma 4, lettera b), della legge-delega 155/2017, nel prevedere che il periodo sospetto ai fini dell'esercizio delle azioni di inefficacia e revocatorie (diverse dalla revocatoria ordinaria) decorre dalla data della domanda a cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, come ora espressamente prevedono gli articoli 163, 164, 166 e 169, in cui è implicito il riconoscimento normativo del principio di derivazione giurisprudenziale della consecuzione delle procedure concorsuali, imponeva di tener comunque fermo il disposto dell'art. 69-bis, secondo comma, della legge fallimentare. Il legislatore delegato, nel mutuare nell'articolo 170 il contenuto dell'art. 69-bis, ha invece omesso di riprodurre il secondo comma della norma citata. La modifica introdotta è dunque volta a rimediare a tale omissione, ovviamente apportando alla disposizione i necessari adattamenti lessicali.

In sostanza, il nuovo Codice nulla di più introduce e disciplina specificatamente rispetto alla previgente legge fallimentare in tema di consecuzione di procedure.

Vi è, peraltro, un profondo rinnovamento lessicale, strutturale e quantitativo degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza il cui novero comprende, oltre alla liquidazione giudiziale (equivalente al fallimento precedente), al concordato preventivo, ai piani attestati di risanamento, agli accordi di ristrutturazione dei debiti e agli accordi di moratoria, anche il nuovo Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e la procedura di Composizione negoziata della crisi d'impresa. Contrariamente, quindi, alle intenzioni originarie del Legislatore, tra cui quella di snellire e ridurre il numero di strumenti a disposizione per regolare le diverse sfaccettature della crisi d'impresa, si è assistito ad un ampliamento del numero delle misure volte al risanamento dell'attività imprenditoriale.

Deve notarsi, inoltre, la sostituzione del concetto di “procedure concorsuali” con quello di “strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza”, tuttavia rimanendo incardinato nel disposto normativo dettato dal secondo comma dell'art. 6 CCII.

Ma allora, come troverà applicazione il principio della consecuzione tra procedure concorsuali se di procedure concorsuali il nuovo codice normativo non tratta? Or dunque, se per concorsualità deve intendersi qualsiasi fattispecie in cui vi è una regola legale (e non convenzionale) di distribuzione del valore (M. Fabiani, “La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione”, in Fallimento, 2018, 293) e, di conseguenza, tutti gli strumenti di regolazione della crisi disciplinati dal nuovo CCIIereditati” dalla vecchia legge fallimentare (ad eccezione del piano attestato di risanamento) possono comunque essere classificati quali strumenti concorsuali in quanto tali; conseguentemente per analogia il principio della consecutio dovrebbe trovare applicazione così come avvenuto nella previgente legge fallimentare. Dubbi e conclusioni diverse potrebbero trarsi invece con riferimento ai due nuovi strumenti del Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, che si caratterizza per l'assenza di una regola distributiva e per la non obbligatorietà di soddisfo totale dei creditori estranei agli accordi, e della Composizione negoziata della crisi d'impresa, che non è certamente una procedura concorsuale, e, mediante l'ausilio di un esperto, si pone quale obiettivo solo quello di avviare un percorso di negoziazione tra imprenditore in bonis e creditori volto ad agevolare le trattative tra le parti al fine di ripristinare l'equilibrio patrimoniale, economico e finanziario. In tema di consecutio, dunque, vi sarà in futuro da prestare molta attenzione e specifici approfondimenti con riferimento a tali ultimi procedimenti.



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