Azione di responsabilità medico-sanitaria: note questioni e difficoltà applicative

Antonino Barletta
12 Giugno 2023

Il presente contributo analizza le principali questioni e criticità in merito all'azione di responsabilità medico-sanitaria, con una particolare attenzione alle novità introdotte dalla c.d. riforma Cartabia.
Introduzione

Dopo l'entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia (d.lgs. n. 149 del 2022) l'art. 8, comma 3, della c.d. legge Gelli-Bianco (l. n. 24 del 2017) dispone quanto segue: “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'articolo 281-undecies del codice di procedura civile. In tal caso, il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti e procede con le forme del rito semplificato di cognizione a norma degli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile”.

Si tratta – come noto – di una formulazione non particolarmente felice e non stupiscono, quindi, le incertezze legate alle già note questioni interpretative (cfr., s.v. il nostro commento sull'art. 8 l. n. 24 del 2017, in Ridare.it, 7.04.2017; nonché, successivamente, Consolo, Bertolini, Buonafede, Il “tentativo obbligatorio di conciliazione” nelle forme di cui all'art. 696 bis c.p.c. e il successivo favor per il rito semplificato, in Corr. giur., 2017, 763 ss.; Crea, I profili processuali della nuova legge sulla responsabilità medica: note a prima lettura, in Judicium.it, 30.06.2017, § 2; Zumpano, Profili processuali della nuova legge sul rischio clinico, in Nuove leggi civ. comm, 2017, 483 ss.;Pagni, La riforma della responsabilità medica. I profili processuali, Quest. Giust., 2018, 180 ss., 182 ss.;Id., Processo e composizione negoziale delle liti in materia di responsabilità sanitaria II, in Giust. proc. civ., 2020, 975 ss.; Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica e sanitaria, in Riv. dir. proc., 2019, 1486 ss.) e i più recenti dubbi, sorti in occasione della cit. riforma Cartabia, nella parte in cui ha sostituito il riferimento al procedimento sommario di cognizione con il rito semplificato di cui agli artt. 281-decies ss. c.p.c., soprattutto in conseguenza di una previsione non del tutto lineare riguardo alla sua entrata in vigore.

In relazione tanto alle une, quanto alle altre questioni, ci proponiamo di tratteggiare qui alcune riflessioni aggiornate anche ai più recenti interventi giurisprudenziali.

Mediazione obbligatoria e tentativo di conciliazione

Il legislatore del 2017 – nell'intento di rafforzare l'apporto delle Adr nelle controversie in materia di responsabilità medica e sanitaria – ha introdotto all'art. 8 l. n. 24 del 2017 un'alternativa alla mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, tramite l'esperimento (sempre obbligatorio) del tentativo di conciliazione nell'ambito dell'accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. La previsione è ispirata (sia pure con non poche differenze) alla disciplina dell'art. 445-bis c.p.c., per le controversie in tema d'invalidità civile.

Nondimeno, la disciplina applicabile in caso d'insuccesso del suddetto tentativo (obbligatorio) tradisce una notevole complessità, che rischia di aggravare non poco l'affermato danneggiato, rischiando addirittura di diminuire le chance di ottenere una “vera e propria” pronuncia di merito sulla domanda di risarcimento per responsabilità sanitaria e medica. Difatti, la disciplina in discorso prevede ben due termini, tra loro collegati: uno “perentorio” di sei mesi dal deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c., per la “conclusione” del procedimento ante causam, ed uno consecutivo di 90 giorni “dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio”, per l'instaurazione del giudizio di merito, da effettuarsi in base alla riforma Cartabia (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2022) nelle forme del rito semplificato (e non più in quelle dell'abrogato procedimento sommario).

I due termini regolano la cadenza temporale del procedimento di consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione (contrassegnandone la durata “massima”), ma anche i rapporti con il giudizio di merito.

In particolare, viene stabilito quando possa dirsi soddisfatta la condizione di procedibilità ai fini dell'instaurazione del processo di merito a causa della (prolungata) durata del procedimento, in luogo del vero e proprio esperimento (inefficace) del tentativo di conciliazione da parte del consulente tecnico, ossia appunto “ove […] il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso”. Il secondo termine di 90 giorni rileva per determinare quando “gli effetti della domanda sono salvi”, anche qui facendo riferimento alle due diverse ipotesi appena innanzi rammentate: per cui esso viene riferito – in alternativa – “al deposito della relazione [del consulente tecnico] o alla scadenza del termine perentorio [semestrale]”.

Contribuiscono ad aggravare la suddetta complessità l'utilizzo di una terminologia anfibologica e il ricorso a locuzioni ellittiche e imprecise.

In particolare, il medesimo termine “domanda” viene riferito a due nozioni diverse: (i) la prima volta, alla richiesta di tutela nel merito (allorché viene prescritta la sua “procedibilità” per esperimento senza successo del tentativo di conciliazione o per sopravvenuti limiti di tempo nella ricerca di un accordo conciliativo); (ii) la seconda volta, al permanere degli effetti che la legge riconduce già al deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. Dunque, abbiamo due diverse domande introduttive di due altrettanto autonomi procedimenti; ove la seconda è quella più importante, perché è diretta all'instaurazione del processo dichiarativo, rispetto alla quale il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. è finalizzato soprattutto a determinare la procedibilità. Ma la lettera della legge rischia di trarre in inganno l'interprete, perché sembra suggerire che la domanda giudiziale abbia quasi la funzione principale di determinare la “salvezza” degli effetti della prima, già proposta ante causam. Si noti, infatti, che l'espressione sopra richiamata (“gli effetti della domanda sono salvi se…”) è tradizionalmente riservata alla riassunzione del procedimento attraverso il compimento di un mero atto di impulso da parte di chi ha interesse a tale prosecuzione (ad es., a norma dell'art. 50 c.p.c. e ora anche ai sensi dell'art. 816-bis.1 c.p.c.).

Pur non potendosi discorrere di un procedimento unitario, la dottrina in prevalenza ritiene che la proposizione tempestiva della domanda di merito consenta di mantenere gli effetti sostanziali e processuali del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., che comunque si ritengono estesi ai principali effetti della domanda giudiziale: litispendenza, continenza, perpetuatio iurisdictionis et competentiae ecc. (sul punto Pagni, Processo e composizione negoziale delle liti in materia di responsabilità sanitaria II, cit., 976.; nonché, in generale, sugli effetti del ricorso di cui all'art. 696-bis c.p.c. cfr. Pezzani, Gli effetti processuali e sostanziali della domanda di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Riv. dir. proc., 2013, 44 ss.).

Invero, alla luce della finalità della previsione in discorso si potrebbe argomentare come (come nella disciplina dei rapporti tra giurisdizioni a norma dell'art. 59 l. n. 69 del 2009) il legislatore stabilisca che gli effetti della domanda giudiziale si producono retroattivamente (i.e., in un dato momento anteriore alla sua proposizione), al fine di applicare in modo rafforzato il principio chiovendiano secondo cui il tempo necessario per lo svolgimento del processo non deve andare a detrimento della parte che ha ragione, esteso qui anche allo svolgimento dell'attività resa obbligatoria dalla legge, quale condizione per l'accesso alla tutela giurisdizionale dichiarativa.

Per altro verso, il legislatore del 2017 non sembra contemplare neppure l'eventualità che il ricorrente intenda proseguire l'obiettivo dell'esperimento del tentativo di conciliazione nel procedimento di consulenza tecnica preventiva, pur dopo il decorso del termine di sei mesi; e cosa succeda se – fedele a tale proposito – il danneggiato si proponga di attendere comunque la conclusione del procedimento con il deposito della relazione del consulente tecnico, quand'anche ciò possa avvenire dopo il decorso dei complessivi 270 giorni circa (sei mesi e 90 giorni) dal deposito del ricorsoex art. 696-bis c.p.c. di cui all'art. 8 l. n. 24 del 2017.

Gli interpreti hanno subito negato che il decorso termine semestrale escluda – pur essendo esso definito quale “perentorio” – l'ulteriore prosecuzione del procedimento e la sua conclusione. Al contempo, l'orientamento maggioritario è nel senso che l'instaurazione del giudizio meritale nel termine di 90 giorni sia comunque richiesto per la “salvezza” degli effetti già prodotti con il ricorsoex art. 696-bis c.p.c. finalizzato alla conciliazione, nonostante la persistente pendenza del procedimento ante causam (cfr. spec. Consolo, Bertolini, Buonafede, Il “tentativo obbligatorio di conciliazione” nelle forme di cui all'art. 696 bis c.p.c. e il successivo favor per il rito semplificato, cit., 764).

Il riferimento al deposito della relazione del c.t.u., quale dies a quo per il decorso del termine di 90 giorni, viene posto in alternativa alla scadenza del periodo semestrale. Apparirebbe, dunque, invitabile che il danneggiato, dopo aver vanamente atteso la conclusione del procedimento di accertamento tecnico preventivo e l'esperimento del tentativo “obbligatorio” della conciliazione, si attivi proponendo la domanda di merito, se del caso facendo presente al giudice del merito il proprio interesse ad attendere l'effettivo svolgimento dell'attività ante causam e l'esperimento del tentativo di conciliazione, sollecitando quindi il giudice a fissare la prima udienza solo successivamente a tale momento.

Riguardo all'interpretazione dell'art. 8, comma 3, l. n. 24 del 2017, meritano di essere menzionati tre provvedimenti (Tribunale di Torino, 4.12.2021; Tribunale di Verona, 11.01.2022, con nota di Alessioli e Lorusso, Effetti sostanziali della domanda di merito tardiva dopo l'ATP per responsabilità medica, in IUS RESPONSABILITA' CIVILE (ex Ridare, Ius.giuffrefl.it) 1° febbraio 2023, e Tribunale di Cremona, 19 gennaio 2023, con nota di Rosada, Procedimento sommario di cognizione iniziato oltre i 90 giorni dal termine dell'azione ex art. 696-bis c.p.c., ovvero oltre i sei mesi dall'inizio della stessa: quali conseguenze?, in IUS RESPONSABILITA' CIVILE (ex Ridare, Ius.giuffrefl.it), 3 aprile 2023). Secondo tali precedenti un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in esame indurrebbe a ricondurre al rispetto del termine di 90 giorni un rilievo esclusivamente riguardo alla conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con il ricorso ex art. 696-bis c.p.c., non includendo tra questi anche la procedibilità della domanda di merito, avendo l'attore già soddisfatto una volta per tutte la relativa condizione. Dunque, si osserva come l'istaurazione del giudizio di merito dopo il decorso dei 90 giorni previsti dall'art. 8,comma 3, l. 24 del 2017 non richieda un nuovo esperimento del tentativo di conciliazione, per quanto la domanda giudiziale “tardiva” possa produrre solo ex novo i suoi effetti sostanziali e processuali.

Il Tribunale di Cremona ha, poi, avuto modo di applicare tale principio in relazione ad una fattispecie in cui il periodo prescrizionale stabilito dalla legge riguardo al diritto al risarcimento era trascorso durante la pendenza del procedimento di accertamento tecnico preventivo finalizzato alla conciliazione. Ebbene, l'instaurazione del processo dichiarativo dopo il decorso del termine di 90 giorni (successivo al maturare del primo termine di sei mesi) ha fatto sì che il diritto al risarcimento del danno per responsabilità sanitaria venisse dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Sul punto il Giudice cremonese ha osservato: “il ricorso introduttivo […] è stato depositato oltre il termine di 90 giorni dalla scadenza dei sei mesi dal deposito del ricorso introduttivo, ai sensi dell'art. 8 comma 3 della L. 24/2017, per cui non possono esserne fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali”, ritenendo ivi incluso l'effetto interruttivo della prescrizione.

La pronuncia del Tribunale di Cremona: aspetti critici

Contrariamente, a quanto è stato osservato dalla dottrina (cfr. s.v. il nostro commento all'art. 8 l. n. 24 del 2014, cit., § 4; ma anche, spec., Consolo, Bertolini, Buonafede, Il “tentativo obbligatorio di conciliazione” nelle forme di cui all'art. 696 bis c.p.c. e il successivo favor per il rito semplificato, 764, nota 9; Pagni, La riforma della responsabilità medica. I profili processuali, cit., 183, testo e nota 36) il Tribunale di Cremona disconosce la possibilità di intravvedere nel ricorso ex art. 696-bis c.p.c., pur condotto obbligatoriamente, la produzione di un autonomo effetto interruttivo della prescrizione, al di fuori dell'applicazione della norma sulla salvezza degli effetti della domanda.

L'assunto del Tribunale cremonese non appare condivisibile. Ed anzi è contrario alla ratio a cui s'ispira la lettura “costituzionalmente orientata” della disposizione in discorso propugnata dallo stesso Tribunale, nella parte in cui si esclude la necessità di reiterare il tentativo di conciliazione dopo la scadenza del termine di 90 giorni. Lastatuizione del Tribunale di Cremona non poi è allineata alla giurisprudenza di legittimità, che dà una lettura assai favorevole al creditore della norma di cui all'art. 2943, comma 4, c.c. sulla messa in mora come atto interruttivo della prescrizione, ammettendo che tale effetto possa essere riconosciuto finanche in relazione a generiche sollecitazioni di adempimento accompagnate dall'individuazione del debitore (Cass. 10.03.2022, n. 7835; Cass., 14.06.2018, n. 15714; Cass., 12.07.2006, n. 15766, in Foro it., 2007, I, 2204), essendo sufficiente a questo proposito che la comunicazione del creditore contempli una menzione del fatto costitutivo della pretesa, senza necessità che vengano utilizzate formule sacramentali, purché siano sufficienti a portare a conoscenza del debitore la volontà di far valere il diritto dell'intimante (Cass., 25.11.2015, n. 24054).

Ciò posto, non si può dubitare che un valido ricorso di cui all'art. 696-bis c.p.c. – tanto più quando venga proposto al fine di soddisfare la condizione di procedibilità dell'art. 8 l. n. 24 del 2017 – abbia in sé il “contenuto sostanziale” della messa mora e che la sua successiva notifica (in uno con il decreto di fissazione d'udienza) possa dar luogo ad un atto interruttivo della prescrizione ai fini della pronuncia sul merito, anche al di fuori del meccanismo volto a mantenere gli effetti sostanziali e processuali già prodotti in sede d'instaurazione del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. (o meglio a determinare la produzione retroattiva degli effetti della domanda giudiziale al deposito del ricorso ante causam).

Si consideri, inoltre, che l'analogo meccanismo ex art. 445-bis c.p.c. prevede espressamente – al suo terzo comma – che “la richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico preventivo interrompe la prescrizione”. Si deve ritenere, infatti, che tale disposizione non abbia natura eccezionale, bensì solo un carattere interpretativo della più generale disposizione contenuta nell'art. 2943, comma 4, c.c.

Per altro verso, occorre valorizzare l'intento del legislatore di favorire il ricorso alle Adr da parte del danneggiato in materia di responsabilità medico-sanitaria, riconoscendone appieno la centralità in sede d'interpretazione dell'art. 8 della c.d. legge Gelli-Bianco. Difatti, movendo dal rilievo secondo cui la disciplina in esame è strumentale a promuovere con efficacia il preventivo ricorso agli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi al processo, risulta paradossale che – ove il danneggiato intenda esplorare fino in fondo tale opportunità, attendendo il deposito della relazione oltre il termine semestrale – egli venga infine “sanzionato” con l'impossibilità di avvalersi della “salvezza” degli effetti sostanziali e processuali già prodotti (o meglio del meccanismo di retrodatazione degli effetti della domanda giudiziale), tenendo in non cale il periodo di tempo anteriore al deposito della relazione del consulente tecnico.

Invero, com'è giustamente sottolineato dai due precedenti dei Tribunali di Torino e di Cremona, il termine semestrale è previsto al solo fine di non limitare in modo sproporzionato l'accesso alla tutela giurisdizionale da parte del danneggiato, ove questi desideri procedere subito per l'accertamento della responsabilità medico-sanitaria e la condanna al risarcimento del danno. Coerentemente, chi scrive ritiene che la scadenza del termine semestrale sia “perentoria” a sola tutela del ricorrente; di modo che di tale scadenza si possa avvalere il solo danneggiato, là dove egli si proponga di non indugiare oltre nel procedimento ante causam. Dunque, della scadenza di tale termine non può trarre vantaggio il danneggiante, che magari provochi ad arte il prolungamento del procedimento ante causam finalizzato alla conciliazione, per poi farla fallire.

Pertanto, sembra più coerente con il sistema complessivo disciplinato dall'art. 8 l. n. 24 del 2017 che il decorso del termine acceleratorio di 90 giorni possa essere impedito su iniziativa del ricorrente, anche oltre il termine semestrale. Se ciò è vero, in particolare, il termine di 90 giorni potrebbe essere bloccato dal deposito di una istanza del danneggiato nel corso del procedimento di accertamento tecnico ante causam di tipo conciliativo, con la quale quest'ultimo manifesti il proprio interesse all'effettiva conclusione del procedimento, nonostante la scadenza del “termine perentorio” di sei mesi.

In tal caso, il suddetto termine di 90 giorni per l'istaurazione del giudizio di merito non dovrebbe decorrere fino al deposito della relazione del consulente tecnico.

Conclusione. La Riforma Cartabia pone ulteriori criticità?

L'entrata in vigore della riforma Cartabia pone alcuni ulteriori problemi interpretativi, riguardo alla relativa disciplina transitoria.

A norma dell'art. 35 d.lgs. n. 149 del 2022 (come novellato dall'art. 1, comma 380, l. n. 197 del 2022) le disposizioni della riforma del processo civile, in mancanza di diverse previsioni, “si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti”.

Si pone, dunque, il problema di stabilire se i procedimenti di consulenza tecnica preventiva pendenti al 28 febbraio 2023 debbano essere seguiti dall'istaurazione del giudizio di merito nelle forme del procedimento semplificato (secondo la disciplina dell'art. 8 l. n. 24 del 2017, come riformata dal d.lgs. n. 149 del 2022), oppure se in queste ipotesi risulti applicabile ratione temporis la precedente formulazione e, quindi, le forme del procedimento sommario, com'è previsto nella configurazione originaria della norma in discorso.

In proposito, sembra preferibile la prima alternativa interpretativa.

Non può ritenersi, per un verso, che il momento in cui si è dato avvio all'instaurazione del procedimento ante causam possa costituire il discrimine per determinare le forme applicabili al successivo ed autonomo processo di cognizione. Per altro verso, come si è già sottolineato, il meccanismo volto a stabilire la “salvezza” degli effetti sostanziali e processuali di cui all'art. 8 l. n. 24 del 2017 non dà luogo ad un unico procedimento a carattere bifasico, trattandosi bensì solo di una previsione volta ad escludere che il tempo necessario per realizzare l'avveramento della condizione di accesso alla tutela giurisdizionale dichiarativa vada a detrimento della parte onerata.

Le disposizioni dell'art. 8, comma 3, l. n. 24 del 2017 trovano applicazione in momenti e contesti processuali diversi. Per tale ragione, le novelle legislative “operate” medio tempore tra l'instaurazione del procedimento di accertamento preventivo-conciliativo e l'inizio del giudizio di merito non possono non rilevare. Dunque, per determinare le norme applicabili al processo di cognizione di primo grado si dovrà far esclusivo riferimento – anche in questa ipotesi – al momento in cui sia proposta la relativa domanda.

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