Nessun raddoppio di pena per il reato di abusivismo bancario

Ciro Santoriello
13 Giugno 2023

Le Sezioni Unite della Cassazione Penale sono chiamate a pronunciarsi sul trattamento sanzionatorio del reato di abusiva attività finanziaria di cui all'art. 132 TUB, in particolare alla luce della riformulazione della norma avvenuta nel 2010.
Massima

La riformulazione dell'art. 132 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 ha comportato l'abrogazione tacita dell'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, nella parte in cui stabiliva il raddoppio delle pene comminate per il reato di cui all'art. 132 citato.

Il caso

In un procedimento per il reato dell'abusiva attività finanziaria ex art. 132, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nella fase di applicazione di una misura cautelare a carico dell'indagato il Tribunale quale giudice dell'appello cautelare determinava la durata della misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria sostenendo che la pena massima per il reato contestato era di quattro anni di reclusione, posto che, a seguito della riformulazione dell'art. 132 TUB operata dall'art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, non trova più applicazione l'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262.

Avverso l'indicata ordinanza del Tribunale proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica sostenendo, conformemente ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità, che non vi sarebbe stata alcuna modifica della sanzione penale, come confermato dal rilievo che l'art. 39 della legge n. 262 del 2005 non è stato inciso dalla novella, sicché, operando un rinvio mobile al contenuto delle disposizioni del TUB, la modifica intervenuta su queste ultime comporta che il rinvio si intenda riferito alla norma così come interpolata. Inoltre, la ratio della circostanza aggravante di cui all'art. 39 della legge n. 262 del 2005 sarebbe quella di apprestare una rigorosa tutela degli interessi protetti dalla norma incriminatrice, il che avrebbe orientato il legislatore nel senso di operare sull'art. 39 cit. con il meccanismo del rinvio mobile. Infine, si sottolineava nel ricorso come non sussistesse alcuna incompatibilità tra la circostanza aggravante di cui all'art. 39 cit. e la nuova disciplina di cui all'art. 132 TUB, così come modificato dalla riforma del 2010, il che escluderebbe l'abrogazione tacita dello stesso art. 39 della legge n. 262 del 2005: infatti, l'art. 8 del d.lgs. n. 141 del 2010 non ha regolato l'intera materia, determinando appunto il citato fenomeno abrogativo, mentre, a voler ipotizzare che il legislatore avesse inteso modificare la pena base dell'abusivismo finanziario, tale modificazione non si estenderebbe automaticamente all'inasprimento sanzionatorio previsto dall'aggravante di cui all'art. 39 citato.

La questione e le soluzioni giuridiche

Nella giurisprudenza di legittimità si registra un contrasto in ordine alle conseguenze della riformulazione dell'art. 132 TUB ad opera dell'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 141 del 2010. Si discute, infatti, se tale riforma ha comportato un fenomeno di successione di leggi penali, in relazione al trattamento sanzionatorio determinato per effetto del raddoppio dell'entità delle pene previsto dall'art. 39 della legge n. 262 del 2005, ovvero se l'art. 39 citato, nel prevedere il raddoppio delle pene di cui, tra l'altro, al TUB, detti una regola destinata a rimanere insensibile ai mutamenti normativi concernenti queste ultime pen.

L'incriminazione dell'abusivismo finanziario (RUGA RIVA, L'abusivismo finanziario: questioni giurisprudenziali e profili di illegittimità costituzionale, in Riv. Trim. dir. Pen. Ec., 2001, 531; COLLESI, L'evoluzione legislativa in materia di abusivismo bancario e finanziario: difficoltà interpretative e orientamenti giurisprudenziali, in Cass. Pen., 2000, 2398; CRISCUOLO, L'esercizio abusivo di attività finanziaria: profili giuridici e strumenti di contrasto, ivi, 1996, 1334) è stata introdotta nel nostro ordinamento con la legge 5 luglio 1991, n. 197 ed è poi stata trasfusa nell'art. 132 TUB. Successivamente, con l'art. 39, comma 1 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 si stabilì il raddoppio delle sanzioni per tale delitto. La medesima fattispecie incriminatrice è stata quindi rimodellata in modo molto significativo dall'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 141 del 2010, sostituendo in toto l'art. 132 TUB, che, nella nuova formulazione, così recita: «Chiunque svolge, nei confronti del pubblico una o più attività finanziarie previste dall'art. 106, comma 1, in assenza dell'autorizzazione di cui 13 all'art. 107 o dell'iscrizione di cui all'articolo 111 ovvero dell'art. 112, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 2.065 ad euro 10.329». All'unificazione, già segnalata, degli albi di cui ai previgenti artt. 106 e 107 TUB (con la previsione di un unico albo al quale dovranno iscriversi tutti i soggetti che vogliano esercitare l'attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico) corrisponde la modifica dell'art. 132 TUB, che ora richiama la seconda disposizione per definire il precetto sanzionato.

Secondo un primo e più risalente orientamento (Cass., sez. V, 27 febbraio 2013, n. 18544), la disposizione di cui all'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato l'aumento di sanzione previsto dall'art. 39 della legge n. 262 del 28 dicembre 2005, posto che in nessun punto degli artt. 2 e 33 della legge n. 88 del 2009, che fissano principi e criteri direttivi della delega legislativa, si fa riferimento a una modifica delle sanzioni penali previste dal TUB, sicché un eventuale dimezzamento dei livelli edittali si risolverebbe in un eccesso di delega legislativa, con conseguente illegittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141. Inoltre, la norma delegata va interpretata nel significato compatibile con detti principi e criteri direttivi; pertanto, deve ritenersi che il legislatore delegato non abbia voluto modificare la sanzione penale prevista dall'art. 132 TUB, ma si sia limitato a operare «una mera risistemazione delle figure sanzionatorie, al fine di adattarle alla nuova disciplina in materia di intermediari finanziari contenute nel Titolo V del testo unico bancario, senza incidere sulle scelte di politica criminale».

Secondo un altro, maggioritario e più recente orientamento (Cass., sez. V, 16 novembre 2018, n. 12777; Cass., sez. II, 23 settembre 2021, n. 43670), la citata disposizione dell'art. 8, comma 2, sostituendo integralmente il testo originario dell'art. 132 TUB, riformulandone sia la parte precettiva sia quella sanzionatoria, ha tacitamente abrogato, con riferimento a detta fattispecie, la previsione dell'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che stabiliva il raddoppio delle pene comminate, tra l'altro, dallo stesso TUB. In proposito, si osserva come l'abrogazione operi sulle norme e non sulle relative fonti di produzione e che la questione in esame non riguarda l'interpretazione della norma, quanto il diverso fenomeno della successione tra le leggi: alla luce di ciò deve ritenersi come il reato di cui all'art. 132 TUB sia disciplinato da una fonte di produzione, ossia l'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 141 del 2010, diversa e successiva da quella in relazione alla quale l'art. 39 della legge n. 264 del 2005 aveva disposto il raddoppio delle pene ed in difetto di coordinamento e di espressa previsione legislativa, l'art. 39 citato non può essere applicato anche alla nuova norma incriminatrice, che, nel 2010, ha "sostituito" la precedente, pur nell'ambito di una continuità del tipo di illecito.

Inoltre, si sottolinea come, in presenza di un fenomeno di successione di leggi nel tempo, avendo la nuova disposizione normativa ridisegnato integralmente la cornice edittale quanto al reato di intermediazione finanziaria abusiva, non vi sono margini per ritenere operante il raddoppio dei termini previsti dalla precedente disposizione in forza dell'art. 39 citata (si vedano anche Cass., sez. V, 17 giugno 2022, n. 28700).

In dottrina, BASILE, Chiaroscuri della Cassazione in tema di abusivismo bancario e finanziario, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 15.5.2017.

Osservazioni

La Cassazione ha aderito al secondo degli orientamenti menzionati concludendo per l'abrogazione tacita dell'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, nella parte in cui stabiliva il raddoppio delle pene comminate per il reato di cui all'art. 132 citato.

Per giungere a tale conclusione, la Cassazione esclude che i rapporti tra art. 39 della legge n. 262 del 2005 e art. 132 TUB vadano ricostruiti in termini di rinvio fra le due disposizioni, dovendosi rinvenire nel caso di specie una mera integrazione, in combinato disposto, tra i contenuti normativi, che ha dato luogo ad una ipotesi di abrogazione tacita dell'art. 39 menzionato posto che “la nuova norma disciplina ex novo una determinata materia, sicché si sostituisce alla precedente norma anche nel caso in cui questa non sia del tutto incompatibile con la nuova (cd. abrogazione per rinnovazione della materia)».

A questa conclusione, le Sezioni Unite giungono sulla base di “una valutazione logico-giuridica incentrata …sul rapporto tra la precedente norma (l'art. 132 TUB ante novella del 2010) e quella nuova (la medesima disposizione modificata dal legislatore delegato del 2010)”, dovendo il raffronto investire innanzi tutto la disposizione novellata e, in uno con essa, il contesto normativo in cui si colloca ovvero il Titolo V del TUB (dedicato ai «soggetti operanti nel settore finanziario»). In quest'ottica, si sostiene che con le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 141 del 2010 si è inteso pervenire ad un significativo ridimensionamento del complessivo disvalore dell'abusivismo finanziario, almeno in alcune delle fattispecie ricomprese nella norma incriminatrice, con la conseguenza che ritenere tuttora vigente il raddoppio della comminatoria edittale sancito dall'art. 39 della legge n. 262 del 2005 rappresenterebbe una conclusione di discutibile ragionevolezza e razionalità. Quanto detto consente di ritenere, quindi, che la riformulazione della disposizione di cui all'art. 132 TUB operata dall'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 141 del 2010, rappresenta, pur in presenza di plurimi e significativi profili di continuità normativa nel nucleo, per così dire, "storico" della fattispecie incriminatrice, una nuova regolamentazione della disciplina del reato di abusiva attività finanziaria, con conseguente - parziale - abrogazione per rinnovazione della materia dell'art. 39 della legge n. 262 del 2005 nella parte in cui il raddoppio delle comminatorie edittali era riferibile anche al reato di cui all'art. 132 TUB.

Quanto alle possibili critiche che possono essere formulate a fronte di questa conclusione, la decisione ne prende in esame due.

In primo luogo, la Cassazione riconosce che oggi il sistema sanzionatorio penale in tema di tutela di mercato finanziario, a fronte della perdurante vigenza dell'art. 39 della legge n. 262 del 2005, successivi interventi novellatori sulle fattispecie incriminatrici caratterizzate (almeno in origine) dal raddoppio della comminatoria edittale sancito dalla disposizione citata possono determinate asimmetrie sanzionatorie nell'assetto complessivo delle varie materie. Tuttavia, la Cassazione evidenzia come da un lato non tali incongruenze non sono risolvibili in sede giurisprudenziale, richiedendo una complessiva ridefinizione delle cornici sanzionatorie dei reati previsti dai plessi normativi interessati al "raddoppio" delle pene stabilito dall'art. 39 citato e dall'altro la presenza delle predette incongruenze non può certo esimere la Suprema Corte dal dovere di ricostruire in maniera corretta le singole vicende normative portate al suo esame.

In secondo luogo, a fronte della tesi, avanzata dal ricorrente, secondo cui l'art. 132 TUB, come modificato dall'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 141 del 2010, ove interpretato nel senso fatto proprio dalle Sezioni Unite sarebbe viziato da illegittimità costituzionale per eccesso di delega, la Cassazione respinge in quanto manifestatamente infondata questa censura.

In proposito, innanzitutto le Sezioni Unite ricordano come nella legge delega sia previsto, almeno tendenzialmente, l'assoggettamento alla medesima comminatoria edittale di tutte le figure di abusiva attività finanziaria, scelta questa che trova giustificazione nella fisionomia della norma incriminatrice, costruita intorno a un elemento costitutivo negativo, ossia allo svolgimento dell'attività finanziaria in difetto dell'autorizzazione di cui all'art. 107 TUB o dell'iscrizione di cui agli artt. 111 e 112 TUB ed in virtù di questo elemento costitutivo negativo, la sussistenza del reato è integrata dall'esercizio dell'attività finanziaria in assenza di uno qualsiasi dei titoli abilitativi o ammissivi stabiliti dalla legge in relazione a ciascuna tipologia di attività finanziaria. In tal modo, oltre a ridurre l'impatto delle specifiche problematiche relative alla qualificazione delle varie fattispecie sussumibili nell'art. 132 TUB, il ridimensionamento della comminatoria edittale garantisce un quadro sanzionatorio senz'altro più consono a una norma incriminatrice caratterizzata dall'inclusione di fatti caratterizzati da un basso rischio sistemico. Alla luce di questa considerazione, la Cassazione non ritiene rilevante, al fine del rispetto della delega del Parlamento, il "silenzio" in tema di sanzioni segnalato a proposito dell'art. 33 della delega posto che comunque il Governo con il d.lgs. n. 141 del 2010 ha portato a termine proprio quella rimodulazione, in senso meno severo, del trattamento sanzionatorio originariamente previsto dallo stesso d.lgs. n. 385, anche considerato il sensibile ridimensionamento del disvalore complessivo dell'art. 132 TUB correlato alle rilevanti innovazioni operate dal d.lgs. n. 141 del 2010 e la conseguente minore offensività, propria, dopo la novella del 2010, del reato di abusiva attività finanziaria.

Conclusioni

La conclusione assunta dalla Cassazione pare apprezzabile posto che la ritenuta tacita abrogazione parziale dell'art. 39 più volte citato è del tutto in linea con i canoni dell'interpretazione costituzionalmente orientata, in quanto all'allargamento dell'area applicativa del reato di abusiva attività finanziaria a fatti di scarsa rilevanza sistemica fa corrispondere il venir meno del meccanismo del raddoppio delle comminatorie introdotto dalla legge del 2005 – peraltro assai criticata in dottrina proprio in ragione della sua eccessiva severità (ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia, Milano, 2008, 363; ALESSANDRI (a cura di), Reati in materia economica, Torino, 2012, 221). Il sensibile, rilevante ridimensionamento del disvalore del fatto di cui alla fattispecie ex art. 132 TUB discende, dunque, da una nuova disciplina della materia, che - fermi i profili di continuità normativa già segnalati - ha determinato la tacita abrogazione della norma che, sancendo il raddoppio della comminatoria edittale del (parzialmente nuovo) reato, non può, sul piano logico-giuridico, rientrare nella nuova regolamentazione della materia.

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