Travisamento dei fatti o delle prove: alle sezioni unite l'ammissibilita' del ricorso per cassazione

Francesco Bartolini
12 Giugno 2023

La Sezioni Unite si è pronunciata sulla valutazione dell'art. 116 c.p.c. per aver i giudici di merito travisato il contenuto e la valenza probatoria delle ricevute di avvenuta notifica prodotte dalle parti, nonché sulla violazione del medesimo articolo per non avere i giudici considerato che l'unica visura acquisita agli atti attestava erroneamente l'ubicazione della sede della società.
Massima

"Nel processo civile l'errore di percezione esclude in radice che su un determinato fatto, ritenuto erroneamente esistente o ritenuto erroneamente inesistente, si sia reso un effettivo giudizio. [In particolare] l'errore di giudizio, commesso nell'attribuire un significato piuttosto che un altro ad una data fonte di prova, ovvero nell'attribuirle valore ai fini del demostrandum, può costituire oggetto di impugnazione solo in quanto la legge processuale ammette la censura nei residui limiti di cui all'art. 360, primo comma, n. 5".

Il caso

Convenuta in giudizio per il pagamento di importi tributari e di contributi previdenziali scaduti, la società poi divenuta ricorrente aveva asserito che i crediti vantati da controparte si erano prescritti prima dell'esercizio dell'azione. Nel giudizio di appello che ne aveva disatteso le istanze, la stessa debitrice aveva sostenuto che gli atti asseritamente interruttivi della prescrizione, prodotti da controparte, erano stati in primo grado travisati nel loro contenuto e nel loro significato probatorio. Le ricevute che avrebbero dovuto dimostrare l'avvenuta notifica tempestiva delle intimazioni di pagamento in realtà non risultavano avere un accertato collegamento con le intimazioni; le presunte notifiche di queste intimazioni erano state eseguite in un luogo che erroneamente era stato ritenuto quale sede societaria della debitrice, contro le diverse risultanze delle uniche visure camerali attendibili, prodotte dalla esponente; erroneamente erano state considerate rituali le presunte notifiche per il solo fatto di esserne stata fatta consegna a persona reperita in loco della quale, però, non era stata specificata la relazione con la destinataria degli atti. I giudici di secondo grado avevano disatteso queste difese sull'assunto dell'idoneità delle produzioni attrici a costituire validi atti di notifica, con conseguente effetto interruttivo della prescrizione del diritto degli enti creditori. La soccombente ha proposto ricorso per cassazione.

La questione

Alcuni dei motivi di ricorso (qui non ricordati) sono stati dichiarati assorbiti ed altri sono stati ritenuti inammissibili per il principio legato alla così detta “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c.). L'attenzione della Corte si è rivolta particolarmente a due, residue, ragioni di gravame: la ricorrente aveva denunciato la violazione e la falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. per avere i giudici di merito travisato il contenuto e la valenza delle ricevute prodotte dalle controparti, nelle quali erroneamente erano stati ravvisati i documenti probatori di avvenuta notifica delle intimazioni di pagamento, senza che della riferibilità di quelle ricevute agli atti di intimazione esistesse prova o argomentazione alcuna; la medesima ricorrente aveva altresì denunciato la violazione dell'art. 116 c.p.c. per avere i giudici territoriali travisato il contenuto delle visure camerali prodotte ex adverso senza aver considerato che l'unica visura realmente acquisita agli atti, prodotta dalla deducente, attestava che la sede societaria era ubicata in luogo diverso da quello ritenuto nelle decisioni precedenti; ed altrettanto erroneamente si era considerata in base a presunzioni legittimata la persona presente sul luogo a ricevere atti di notifica.

Il contrasto giurisprudenziale

La Corte ha riassunto con copiosi richiami a precedenti di legittimità l'orientamento formatosi a proposito dell'ammissibilità, nel giudizio di cassazione, della censura di travisamento dei fatti e delle prove. Una siffatta censura, si è per decenni affermato, è inammissibile nel detto giudizio, salvo abbia dato luogo all'omessa motivazione su un punto decisivo della causa, ossia su un elemento della fattispecie che, se esaminato, avrebbe potuto determinare una diversa soluzione della controversia. L'errore, nelle medesime sedi di giudizio, può rilevare unicamente in quanto errore di giudizio, diversamente soccorrendo, per l'errore percettivo, il rimedio della revocazione.Costituisce, infatti, errore rilevante per la revocazione la falsa percezione della realtà nel senso che il giudice, per una svista, abbia ritenuto inesistente un fatto o un documento la cui esistenza risulta incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa (e viceversa). Di contro, l'errore di giudizio sussiste quando il giudice di merito ha formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo o lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico. In questo contesto, il travisamento della prova va considerato sotto un duplice profilo: se presuppone la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito, esso è denunciabile unicamente per revocazione; se invece è frutto di un errore di giudizio, non è più deducibile come vizio di legittimità a seguito della modifica normativa apportata all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Il travisamento della prova, inoltre, non è deducibile nemmeno quale inosservanza dell'art. 115 c.p.c. in quanto il principio per cui il giudice deve decidere iuxta alligata et probata non può dirsi violato quando le prove sono state valutate in un modo diverso da quello voluto dalla parte: tale principio infatti può aversi per inosservato quando il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali oppure abbia valutato secondo il suo apprezzamento prove legali o, al contrario, abbia considerato come facenti prova legale prove soggette invece a valutazione.

In disaccordo dai principi così ripetutamente affermati, si sono pronunciate alcune decisioni di legittimità che la Corte ha menzionato quali fonti del contrasto interpretativo proposto all'esame delle Sezioni Unite.Le pronunce ricordate in motivazione hanno sostenuto che il senso tradizionalmente attribuito al travisamento delle prove quale motivo di ricorso per cassazione contraddice al principio in diritto di cui all'art. 115 dal momento che la decisione di merito fondata sui fatti travisati e sui quali le parti hanno avuto modo di discutere sfuggirebbe tanto allo spazio applicativo del rimedio della revocazione (trattandosi di fatti percepiti sui quali il giudice si è espressamente pronunciato) quanto all'ambito di applicabilità dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (trattandosi di fatti il cui esame non fu omesso). Con la conseguenza possibile, si è sostenuto, della sostanziale illegittimità della decisione. Si dovrebbe, allora, distinguere il caso in cui il giudice ha selezionato una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo di prova acquisito agli atti; e il caso in cui, invece, la decisione si basa su una informazione che è impossibile ricondurre al mezzo di prova da cui il giudice pretende di averla derivata. Nel primo caso si ricadrebbe nell'errore valutativo dei mezzi di prova, non più censurabile come vizio di motivazione. Ma nel secondo caso potrebbe essere denunciato il vizio di nullità della sentenza o del procedimento, ex art. 360, comma 1, n. 4, in conseguenza della violazione dell'art. 115, purché il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l'assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto ad una decisione diversa non già in termini di mera probabilità bensì di assoluta certezza.

Le soluzioni giuridiche

A fronte del contrasto così constatato la Corte ha rimesso il giudizio alle Sezioni Unite, non senza dichiarare la propria adesione all'orientamento tradizionalmente seguito. Su un piano logico e concettuale, si legge in motivazione, non sembra potersi dare alcuna terza possibilità tra l'errore di percezione circa il contenuto oggettivo della prova e l'errore nella valutazione della prova stessa, atteso che o l'errore nasce in conseguenza di una svista, che porta il giudice a dare per acquisito un contenuto informativo la cui verità è incontrastabilmente esclusa dagli atti del processo (o a darlo per inesistente quando invece è incontrastabilmente affermato), oppure nasce in virtù di un giudizio che può concernere sia il contenuto oggettivo della prova (ossia il demostratum) e sia la sua idoneità o meno a provare il fatto controverso (il demonstrandum). L'eventualità, ipotizzata dalle pronunce controcorrente, che la decisione di merito sia fondata su fonti che appartengono al processo ma che sono state elaborate attribuendo ad esse contenuti informativi che in nessun modo si lasciano ricondurre a dette fonti è pur sempre da ascrivere alla dicotomia: errore di percezione del giudice – errore di giudizio. Nel processo civile l'errore di percezione esclude in radice che su un determinato fatto, ritenuto erroneamente esistente o ritenuto erroneamente inesistente, si sia reso un effettivo giudizio (tanto che per i magistrati autori della pronuncia impugnata non sussiste alcuna incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione). A sua volta, l'errore di giudizio, commesso nell'attribuire un significato piuttosto che un altro ad una data fonte di prova, ovvero nell'attribuirle valore ai fini del demostrandum, può costituire oggetto di impugnazione solo in quanto la legge processuale ammette la censura nei residui limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5. Tramite l'interpretazione dell'art. 115 sostenuta dalle pronunce discostatesi dall'orientamento prevalente si perverrebbe ad ammettere dinanzi alle sezioni civili della Corte un controllo sul giudizio di fatto e sulle prove più ampio di quanto ammesso nel processo penale; con il rischio di scivolare in progressione di tempo verso una inconsapevole trasformazione della Corte in un tribunale di terza istanza.

Osservazioni

L'interprete, nell'attesa dell'autorevole responso delle Sezioni Unite, ricorda (a se stesso) che con riguardo alla vicenda di specie non avrebbe potuto costituire errore revocatorio l'aver i giudici di merito ravvisato nelle ricevute prodotte ad asserita prova di avvenute notifiche la dimostrazione dell'esser state tali notifiche realmente eseguite; e neppure l'aver ritenuto che le notifiche erano state eseguite ritualmente in quanto avvenute nella sede risultante da visure camerali e per consegna a mani di persona presente, da presumersi, appunto per la sua presenza in loco, quale legittimata a ricevere gli atti in comunicazione. Per quanto decisiva potesse rappresentarsi l'esatta valutazione delle produzioni in questione ai fini del decidere, per l'utilizzazione del gravame di revocazione sarebbe mancato il requisito negativo per cui l'ipotizzabile errore in fatto non doveva aver costituito punto controverso oggetto di pronuncia.

Dunque, nell'alternativa tradizionale, i presunti errori in cui sarebbero incorsi i giudici di merito non avrebbero potuto che costituire errori di giudizio. Errori, più precisamente e secondo l'assunto difensivo, per aver ravvisato nelle produzioni un contenuto diverso da quello apparente, per un vizio logico di interpretazione di tale contenuto o per aver assegnato ad esso un risultato probatorio distante da quello ad esse proprio. Ne costituisce l'esempio ipotizzabile, per restare alla vicenda di specie, il fatto che le ricevute di ricezione di documenti prodotte in atti sono state considerate quali atti di notifica a tutti gli effetti nonostante l'insufficienza del loro contenuto esplicativo. Ed un altro esempio è ravvisabile nel fatto che la mera presenza, non altrimenti qualificata, di un soggetto nel luogo di destinazione delle notifiche è stata ritenuta sufficiente, per presunzione semplice, a considerare ritualmente compiute le notifiche senza necessità di ulteriori risultanze o di successivi adempimenti.

Anche ammessa la sussistenza degli errori denunciati con il ricorso, si sarebbe, tuttavia, rimasti nell'ambito dell'errore di giudizio, se è vero che il giudice è libero nel suo apprezzamento dei fatti. Il limite stabilito per l'esercizio di questa libertà è costituito dalla prudenza: valutazione secondo prudente apprezzamento. La valutazione ragionevole cui il giudice è tenuto comporta l'osservanza dei criteri della logica, di quanto normalmente avviene, di ciò che si dà per ordinaria verificazione e della conferenza rispetto ai fatti. L'apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità anche sotto il profilo del vizio di motivazione, dopo le restrizioni apportate al testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Lo spazio limitato concesso da queste restrizioni all'impugnazione per vizio di legittimità è stato avvertito come penalizzante per la sua esiguità e difficilmente accettabile per la constatata conseguenza di consentire pronunce avvertite come oggettivamente “ingiuste”. L'esclusione del sindacato sulla motivazione insufficiente o contraddittoria inibisce critiche e revisioni che in precedenza facevano parte della tutela ordinariamente assicurata in tema di decisioni giudiziarie non accettate.

Verosimilmente è anche per questi fattori che alcune decisioni della Suprema Corte hanno proposto interpretazioni che aprono la strada al gravame sotto un'ottica diversa. In certe ipotesi, si afferma, può dedursi la violazione dell'art. 115 c.p.c. e ciò è consentito se il giudice ha tratto dalle prove dedotte dalle parti una informazione che è impossibile ricondurre a quel mezzo di prova. Per tal modo il giudice non porrebbe a base della sua decisione una “prova dedotta dalla parte” ma una prova che la parte non ha mai indicato con quel particolare contenuto che si è preteso di assegnarle. La tesi suppone che il giudicante debba sempre decidere conformemente ad una prova apprezzata nel suo reale valore di prova “giusta” secondo logica e correttezza, senza attribuzione al fatto che ne è oggetto di significati astrusi, inconferenti, strampalati o inammissibili. In proposito, però, la giurisprudenza aveva affermato che la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cass. III, 11 ottobre 2016, n. 20382). Altrimenti si resta nell'ambito dell'errore di giudizio.

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