L’indebitamento “promiscuo” dà accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore?

Chiara Ravina
13 Giugno 2023

Il Tribunale di Napoli, uniformandosi ad una pronuncia di legittimità del 2016, si esprime sulla possibilità, per la persona fisica gravata sia da debiti di natura personale e familiare, sia da debiti derivanti dalla cessata attività imprenditoriale e professionale, di ricorrere al piano del consumatore. L'articolo contiene altresì una panoramica delle posizioni assunte, sul punto, dalla giurisprudenza di merito.
Massime

Ai sensi della L. 3/2012, la qualità di consumatore di colui che propone il piano di ristrutturazione del consumatore deve essere riconosciuto, non in relazione all'attività svolta, ma in ragione del titolo delle obbligazioni inadempiute che hanno determinato lo squilibrio finanziario, patrimoniale ed economico del soggetto.

Alla stregua di numerose disposizioni della L. 3/2012 (artt. 7 commi 1 e 2, 8 comma 3, 9, 14-quinquies comma 2 lett. c) e 16 comma 1 lett. b)), deve evincersi una seconda concezione di consumatore e, precisamente, quella del soggetto che regoli con il piano debiti inerenti la propria attività di impresa ed i propri bisogni di natura personale e familiare, nel caso in cui lo squilibrio patrimoniale–economico sia derivato esclusivamente, in ottica eziologica, da obbligazioni assunte per realizzare interessi di natura personale o familiare determinando in questo modo un'insolvenza qualificata.

La ratio delle norme che prevedono per il professionista/imprenditore la procedura di ristrutturazione tramite il consenso dei creditori risiede nella circostanza che il creditore può essere sottoposto ad un sacrificio, come “prezzo” da pagare per mantenere sul mercato un soggetto che, di norma, è “produttivo”. Tale è la ratio della norma e prescrive implicitamente la necessaria attualità della qualità di professionista/imprenditore, con la conseguenza che deve riconoscersi, di contro, la qualità di consumatore a colui che non abbia più la qualità di professionista/imprenditore e che ristrutturi con il piano debiti inerenti sia la sua precedente attività imprenditoriale/professionale sia i suoi interessi personali.

L'unica interpretazione sistematica del concetto di consumatore è quella del soggetto: (i) che abbia assunto obbligazioni solo per interessi di natura personale; (ii) che regoli con il piano debiti inerenti la propria attività di impresa e i propri bisogni di natura personale e familiare, nel caso in cui lo squilibrio patrimoniale economico sia derivato esclusivamente, in ottica eziologica, da obbligazioni assunte per realizzare interessi di natura personale o famigliare, determinando, in questo modo un'insolvenza qualificata; (iii) che non abbia la qualità di imprenditore e, quindi, non svolga attività di impresa e con il piano regoli debiti aventi il proprio titolo sia in interessi di natura professionale sia personale.

Tali sono i criteri per qualificare il consumatore anche sulla base della normativa dettata dal CCII. E' infatti evidente dalla lettura dell'art. 2, comma 1, lett. d) CCII sulla base della relazione illustrativa, che il legislatore riconosce la qualifica di consumatore in ragione della estraneità al mercato quale imprenditore del soggetto ricorrente.



Il caso

Il decreto del Tribunale di Napoli oggetto di commento affronta il tema della qualifica di consumatore – e quindi dell'ammissibilità del piano del consumatore – di un soggetto che con tale piano intende ristrutturare non soltanto debiti di natura personale e familiare, ma altresì debiti riferibili ad attività imprenditoriale e professionale svolta in precedenza e cessata.

Il decreto, riferito ad una fattispecie regolata dalla L. 3/2012, declina una nozione di “consumatore” valida anche alla luce della normativa dettata dal CCII ed aderisce all'orientamento giurisprudenziale che, prendendo le mosse dal noto arresto della Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869, ritiene che il consumatore con indebitamento promiscuo (consumeristico e non) possa accedere al piano del consumatore, purché lo stesso non rivesta più la qualità di imprenditore, ovvero la quota di indebitamento “non-consumeristico” non sia più attuale.



Questioni giuridiche

Preliminarmente si evidenzia come la questione sottesa alla pronuncia in esame – ovverosia la qualifica di “consumatore” con particolare riguardo all'ipotesi di indebitamento “promiscuo” – è di particolare rilievo alla stregua delle previsioni del Codice della crisi di Impresa e dell'insolvenza (CCII) in forza del quale colui che rientra nella nozione di consumatore a mente dell'art. 2, comma 1, lett. e) CCII non può accedere al concordato minore, bensì esclusivamente al piano di ristrutturazione dei debiti (art. 67 CCII) ovvero alla liquidazione controllata (art. 268 CCII).

Alla stregua di ciò, è evidente come l'individuazione dell'esatto ambito di applicazione della nozione di “consumatore” diventi cruciale, con particolare riferimento a quei soggetti consumatori che sono stati in passato anche imprenditori o professionisti e che intendono ristrutturare, nell'ambito del piano, debiti pregressi di natura non consumeristica.

Ed infatti, se si dovesse ritenere che il soggetto con indebitamento “promiscuo” non può presentare il piano del consumatore, ciò limiterebbe per costui la possibilità di gestire il proprio indebitamento solo alla liquidazione controllata (ovvero ad una procedura a carattere liquidatorio), essendo inibito, nel ccii, l'accesso del consumatore al c.d. “concordato minore”. Tale eventualità, tuttavia, non pare accettabile, sia alla luce della definizione di “sovraindebitamento” di cui all'art. 2, co. 1, lett. c) CCII, avente un ambito di operatività residuale (“e di ogni altro debitore…”); sia alla stregua della recente giurisprudenza di merito in tema di definizione di “consumatore” nel contesto del CCII (cfr. Trib. Trento, 4 Novembre 2022,: “Alla stregua del sistema implicato dal CCII, un soggetto può alternativamente rientrare nella figura di consumatore o di non consumatore (dunque di imprenditore o di professionista), senza terze possibilità che comportino l'effetto di precludere al medesimo l'accesso a strumenti di regolazione del proprio stato di insolvenza o di sovraindebitamento diversi dalla liquidazione (giudiziale o controllata), che rappresenta, nello stesso sistema del CCII, la soluzione ultima”).

Prima di dare atto del quadro giurisprudenziale che si è venuto a creare su questa particolare questione, è utile rammentare come la definizione di consumatore attualmente prevista dall'art. 2, comma 1, lett. e) del CCII - la «persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali» - ricalchi la definizione già prevista dall'art.6, comma 2, lett. b) L 3/2012, come modificato dal D.L. 137/2020, convertito dalla L. 176/2020. Tale norma, nella versione in vigore sino al 2020, offriva una definizione, apparentemente più “restrittiva” del consumatore, come la «persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta».

Nel predetto contesto normativo, la Corte di cassazione, con la pronuncia Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869, aveva interpretato tale definizione in senso più ampio, includendo, nella definizione di “consumatore” legittimato a proporre il piano del consumatore ex l. 3/2012, anche colui che era stato imprenditore o professionista, a condizione che, alternativamente, la qualità di imprenditore/professionista non fosse attuale al momento della presentazione del piano, ovvero lo fosse, ma i debiti derivanti dall'attività imprenditoriale/professionale non fossero più attuali. Sicché l'accesso al piano del consumatore era ammissibile se, al momento della presentazione del piano, risultavano solo debiti al consumo, e non anche debiti di impresa o professionali (cfr. Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869: «Ai sensi della L. 27 gennaio 2012 n. 3, la nozione di consumatore che può accedere al piano, come modalità di ristrutturazione del passivo e per le altre prerogative ivi previste, non concerne in sé e per sé una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d'impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purchè non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l'attività di professionista o imprenditore. L'art. 6, comma 2, lett. b), concerne una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni — non soddisfatte al momento della proposta di piano — per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un'attività d'impresa o professionale propri»).

Il suddetto arresto di legittimità ha dato luogo a diverse letture interpretative nell'ambito della giurisprudenza di merito sviluppatasi successivamente, ciò anche alla stregua di un obiter dictum nel quale la corte di legittimità afferma, in sostanza, l'ammissibilità del piano del consumatore, anche se, al momento del deposito della domanda di omologazione, sussistono debiti riferibili all'attività imprenditoriale o professionale del soggetto, purché gli stessi restino al di fuori del piano medesimo con risorse di terzi, ovvero con i proventi dell'attività imprenditoriale/professionale in prosecuzione (così, Trib. Grosseto, 22 giugno 2021; Trib. Bologna, 25 novembre 2022, in ilcaso.it; in dottrina, A. Crivelli, “Il piano e la proposta nelle procedure di componimento della crisi da sovraindebitamento nella L. 3/2012 e nel CCII” in Il Fallimento, giugno 2019). In particolare, il passaggio della pronuncia Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869 da cui prende le mosse tale orientamento è il seguente: «Lo scenario, va riconosciuto, poggia sulla persistenza dell'opzione, non solo ideologica, per cui la figura del consumatore, che nella legge in esame (a differenza per lo più che nelle situazioni di cui al Codice del consumo) in realtà non si attaglia al singolo rapporto di conflitto (per l'art. 3, comma 1, lett. a) Codice del consumo è consumatore o utente... la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta) bensì alla generalità delle relazioni di debito, debba coesistere anche in capo a chi sia imprenditore o professionista attuale, in una logica di generale favor verso la più adatta composizione della crisi da sovraindebitamento. Un effetto particolare è allora costituito dall'ipotesi di un piano del consumatore allestito da simile soggetto economico che però, lasciando sullo sfondo i rapporti d'impresa o pendenti con i terzi e quale professionista (che per definizione non dovrebbero essere sfociati, salva l'eccezione menzionata, in obbligazioni da adempiere), impieghi i suoi beni e i suoi redditi per ristrutturare il resto dei suoi debiti: l'obiezione per cui si determinerebbe così un mutamento sostanziale delle garanzie generiche offerte dal proprio patrimonio, in concreto utilizzato per la ridefinizione di una massa passiva che, assente da ogni ricognizione segregata o autonoma pregressa (perché in capo alla persona fisica nessuna distinzione in tal senso sarebbe configurabile, ogni bene apparendo destinato naturalmente a soddisfare debiti d'impresa o di professione alla pari dei debiti di consumo), verrebbe separata nella opportunità liquidatoria o comunque nella vocazione satisfattiva a vantaggio solo dei debiti c.d. comuni, può essere superata rinviando alle opportunità contestative, sul profilo della convenienza, rimesse a qualunque interessato (dunque anche ai creditori d'impresa o da professione, non coinvolti nel piano) e, prima ancora, ai controlli giudiziali sulle cause del sovraindebitamento e la serietà dei propositi compositivi ex art. 12-bis, rispettivamente commi 4 e 3).

Una ulteriore interpretazione del dictum della Cassazione, sviluppatasi nella giurisprudenza di merito successiva – tra cui la pronuncia oggetto di commento - è quella secondo cui il piano del consumatore può includere anche debiti derivanti dalla pregressa attività imprenditoriale o professionale, purché gli stessi non siano più “attuali” (così, Tribunale Spoleto 23 dicembre 2022 e Tribunale Caltanisetta, 1 giugno 2022, in ilcaso.it con nota di A. Mancini – A. Munarin, Ristrutturazione del consumatore e debiti di impresa: un tema ancora dibattuto; Tribunale Napoli Nord 16 marzo 2021 e 23 marzo 2021 in ilcaso.it).

In particolare, la carenza di “debiti attuali” deve intendersi nel senso che le obbligazioni derivanti da attività imprenditoriale o professionale devono essere “pregresse” e la suddetta attività essere cessata e non più proseguita. Ciò in quanto è proprio l'intervenuta cessazione dell'attività imprenditoriale a giustificare il mancato riconoscimento del diritto di voto ai creditori nell'ambito del piano del consumatore.

Ulteriori sfumature interpretative si rinvengono in altri arresti di merito, che hanno ritenuto ammissibile il piano del consumatore per la ristrutturazione di debiti non-consumeristici, là dove questi ultimi, ancorchè attuali, non siano prevalenti rispetto ai debiti consumeristici (così, Trib. Reggio Emilia, 20 ottobre 2022, in ilcaso.it).

Inoltre, con particolare riferimento alla fattispecie di imprenditore cancellato dal Registro delle Imprese, si registrano posizioni differenti in giurisprudenza, tra chi ha ritenuto inammissibile la ristrutturazione del consumatore ex art. 67 CCII in presenza di una debitoria quasi esclusivamente derivante “da una precedente attività imprenditoriale esaurita nel settembre 2018”, cui aveva fatto seguito la cancellazione dal Registro Imprese della ditta individuale del debitore (con conseguente preclusione di accesso al concordato minore ex art. 33 CCII) (così Trib. Genova, 16 novembre 2022, in ilcaso.it); e chi ha invece ritenuto che l'imprenditore cessato e cancellato dal Registro Imprese può proporre, comunque, il concordato minore liquidatorio, tenuto conto che, malgrado abbia dismesso la qualità di imprenditore, resta certamente “non assoggettabile alla liquidazione” (così, Trib. Napoli Nord, 3 gennaio 2023, in ilcaso.it; Tribunale Ancona 11 gennaio 2023, ivi).

Altra fattispecie rilevante ai fini della nozione di “consumatore” e dell'applicabilità del piano ex art. 67 CCII è quella del soggetto che, pur non avendo esercitato in proprio alcuna attività imprenditoriale, abbia prestato garanzia per le obbligazioni assunte da altro soggetto nell'ambito di un'attività imprenditoriale. Sul punto, la giurisprudenza più recente pare orientata nel senso di qualificare tale soggetto come “consumatore”, sul presupposto che, alla stregua della giurisprudenza comunitaria e di legittimità (CGUE C-74/15 Tarcau; Cass. civ., sez. VI, 24 gennaio 2020, n. 1666 e Cass. civ., sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 742), per la qualifica di “consumatore” assume rilevanza il rapporto tra il beneficiario ed il fideiussore, nel senso della mancata partecipazione del garante all'attività di impresa del beneficiario (es. in qualità di amministratore o socio della società garantita) (così, Trib. Taranto, 23 gennaio 2023; Trib. Trento, 4 novembre 2022, in ilcaso.it; in senso contrario, cfr. Trib. Treviso, 21 dicembre 2016; Trib. Ascoli Piceno, 18 maggio 2018).

Da ultimo, si segnala il recente arresto del Tribunale di Mantova, 27 febbraio 2023, in il caso.it, che ha ritenuto ammissibile il concordato minore per la ristrutturazione di debiti promiscui derivanti sia dal rilascio di fideiussioni a favore di una società di cui il proponente era socio, sia da esposizioni personali, in considerazione del fatto che queste ultime hanno un rilievo marginale. Nella motivazione si legge, infatti: “[…] ritenuta l'ammissibilità giuridica del concordato in quanto risultano soddisfatti i requisiti di cui agli artt. 74 e segg. CCII, posto che l'istante rientra nella categoria dei debitori di cui all'art. 2, comma 1, lett. c) CCII (e cioè in quella residuale costituita da «ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza») non potendo qualificarsi come consumatore atteso che la sua situazione debitoria deriva in gran parte (per il 97,22%) da debiti di garanzia prestati in favore della L… s.r.l. di cui essa deteneva il 55% delle quote, derivando quindi dal rilascio di atti (di garanzia) funzionali allo svolgimento dell'attività professionale svolta dalla predetta società (cfr. Cass. civ., sez. VI, 3 dicembre 2020, n. 27618; Cass. civ., sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 742; Cass. civ., sez. VI, 31 ottobre 2019, n. 28162; Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2019, n. 25914; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2018, n. 32225; Corte Giust. U.E. 19 novembre 2015 -causa c 74/15; Corte Giust. U.E. 14 settembre 2016 causa c 534/15 […]”. L'arresto in esame applica, quindi, la teoria della “prevalenza” utilizzata da parte della giurisprudenza anche nella fattispecie “opposta” in cui i debiti consumeristici prevalgano, per l'applicazione del piano ex art. 67 CCII (cfr. Trib. Reggio Emilia, 20 ottobre 2022, cit.).



La soluzione della Corte

La pronuncia in commento aderisce alla lettura interpretativa “estensiva” della pronuncia della Cassazione (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1869) e qualifica il “consumatore” come il soggetto che (alternativamente):

  • abbia assunto obbligazioni solo per interessi di natura personale;
  • regoli, nell'ambito del piano, obbligazioni promiscue (di natura imprenditoriale/professionale e personale/famigliare) purché lo squilibrio patrimoniale ed economico finanziario sia derivato esclusivamente da obbligazioni di natura personale;
  • regoli, nell'ambito del piano, obbligazioni promiscue (di natura imprenditoriale/professionale e personale/familiare) purché il proponente non rivesta la qualità di imprenditore.

Secondo il Tribunale partenopeo, i suddetti criteri sono validi anche sulla base della normativa dettata dal CCII.

A supporto di tale interpretazione, il Tribunale richiama sia la definizione di “consumatore” di cui all'art. 2, comma 1, lett. d) CCII - i.e. la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale – sia la relazione illustrativa al CCII secondo cui “Il piano di ristrutturazione dei debiti è la procedura di composizione della crisi riservata al consumatore come definito dall'art. 2, comma 1, lett. e) in assoluta coerenza con la definizione che ne ha dato il Codice del consumo e delle indicazioni contenute nella legge delega quanto alla necessità di ricomprendere in tale categoria le persone fisiche che siano soci delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV, V e VI del titolo V del codice civile, con esclusivo riguardo ai debiti diversi da quelli sociali […]. È una procedura di particolare favore in quanto consente al debitore di sottrarsi al giudizio ed all'approvazione dei creditori […]. Proprio perché si tratta di una procedura riservata e a misura della tipologia di creditore, è anche la sola alla quale il consumatore può accedere, oltre alla liquidazione controllata […]”.

In altri termini – sostiene il tribunale nell'arresto in commento – dalla lettura combinata dell'art. 2, comma 1, lett. e), e della relazione illustrativa al CCII, emergerebbe che la qualifica di “consumatore” vada riconosciuta “in ragione della estraneità al mercato, quale imprenditore, del soggetto ricorrente” e, correlativamente, della legittimità di una procedura di ristrutturazione che esclude il voto dei creditori, coinvolgendo un soggetto che, per l'appunto, non sta (o non sta più) sul mercato.

La suddetta “lettura” della nozione di “consumatore” consente, quindi, di ritenere ammissibile il piano ex art. 67 CCII, anche là dove con esso il ricorrente intenda ristrutturare debiti di carattere promiscuo, purché la qualità di imprenditore non sussista al momento della presentazione del piano, ovvero i debiti derivanti dall'attività imprenditoriale/professionale non abbiano determinato, dal punto di vista del nesso causale, la condizione di “insolvenza” che determina la necessità di presentare il piano.



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