Infortuni in itinere con monopattino e indennizzo INAIL

Guglielmo Corsalini
15 Giugno 2023

L'INAIL indennizza gli infortuni in itinere a prescindere normalmente dal mezzo di locomozione utilizzato dagli assicurati. Fa eccezione soltanto il mezzo privato il cui uso deve essere “necessitato”, a meno che non si tratti di velocipede il cui impiego, invece, viene sempre ritenuto meritevole di tutela. Si pone ora il problema dell'indennizzabilità dell'infortunio in monopattino, considerata anche la pericolosità del veicolo, rispetto al quale l'autore opta per la soluzione favorevole al lavoratore.
Premessa

Il monopattino è un mezzo di locomozione che trova un'ampia utilizzazione anche negli spostamenti sulle vie del lavoro, soprattutto da parte dei soggetti economicamente più deboli e di coloro che preferiscono muoversi con un veicolo agile, economico, efficiente e compatibile con l'ambiente.

Si tratta, come noto, di un mezzo pericoloso il cui uso, tuttavia, appare meritevole di tutela previdenziale alla stessa stregua del viaggio in bicicletta e, quindi, a prescindere dal fatto che esso sia “necessitato”.

Il difficile percorso per la tutela del viaggio lavorativo

Come noto, il presupposto fondamentale per la tutela dell'evento infortunistico è la sussistenza dell'occasione di lavoro (art. 2 del T.U. n. 1124/1965), per cui il lavoratore ha diritto alle prestazioni dell'INAIL quando subisce una lesione per causa violenta nell'esercizio delle incombenze cui viene adibito o, comunque, nello svolgimento delle proprie mansioni, salvo il caso in cui l'infortunio derivi da rischio elettivo o da autolesionismo.

In questo senso, anche l'attività di locomozione è sicuramente oggetto di tutela previdenziale quando costituisce essa stessa il contenuto dell'attività lavorativa, come avviene, ad esempio, per i lavoratori addetti al trasporto di persone o merci (in questi casi si può più propriamente parlare di “infortuni in itinere sul lavoro”).

Il viaggio di andata e ritorno dal luogo lavoro, invece, di per sé, sebbene sia stato spesso ricondotto dalla giurisprudenza e dalla dottrina al concetto più generale di occasione di lavoro, inteso quale presupposto per l'indennizzabilità dell'infortunio di cui all'art. 2 del T.U. nella sua versione originale, non sembra possa configurarsi come esercizio delle incombenze cui il lavoratore viene adibito (1). Specialmente se si rimane ancorati al concetto di “rischio professionale” come requisito per la tutela dell'evento, non appare dunque possibile connettere eziologicamente gli infortuni così detti “in itinere”con le prestazioni lavorative, rappresentando, tali eventi, conseguenze del rischio strada, ossia di un rischio generico e come tale assolutamente uguale a quello incombente su qualsiasi persona.

Quindi, per quanto il concetto di occasione di lavoro possa essere inteso in senso lato, per arrivare al riconoscimento dell'indennizzabilità dell'infortunio in itinere, era necessario effettuare un salto logico interpretativo rispetto al dettato dell'art. 2 del T.U., così come si presentava antecedentemente alla riforma del 2000: la norma, infatti, prevedeva la tutela dell'infortunio “sul” lavoro, mentre l'infortunio in itinere andrebbe più correttamente configurato come infortunio “per” il lavoro.

In ogni caso, la giurisprudenza, sebbene con grande disagio (2), ha da sempre tentato di riconoscere l'indennizzabilità dell'infortunio avvenuto sulle vie del lavoro, almeno come ampliamento dell'assicurazione obbligatoria (3), in quanto si è sempre avvertita come ingiusta l'esclusione della protezione di un evento comunque strettamente collegato alla prestazione lavorativa.

Inizialmente si riteneva tutelabile l'infortunio in itinere almeno nelle ipotesi in cui lo stesso fosse stato determinato da un aggravamento del rischio generico della strada dipendente dal lavoro, intrinsecamente diverso da quello che ricade sulla generalità delle persone che pure viaggiano e derivante, ad esempio, dalla necessità: a) di percorrere una strada determinata, che conduce esclusivamente al luogo di lavoro o, comunque, che presenti pericoli particolari per il lavoratore rispetto alle ordinarie vie di comunicazione; b) di servirsi di mezzi di trasporto forniti o prescelti o prescritti dal datore di lavoro, in relazione con le esigenze dell'attività lavorativa; c) di trasportare, a piedi o su un mezzo di locomozione personale, strumenti di lavoro che intralcino i normali movimenti.

Tra le ipotesi considerate come meritevoli di protezione anche dall'INAIL (4), quella che aveva contribuito ad ampliare di molto la tutela degli infortuni sulle vie del lavoro era soprattutto la fattispecie relativa all'uso del mezzo privato, purché necessitato dal fatto che il posto di lavoro fosse collocato in un luogo non facilmente raggiungibile a piedi o con i mezzi pubblici.

Restavano comunque esclusi tutti gli altri infortuni in itinere per i quali non fosse stato possibile rilevare un aggravamento del rischio strada, in qualche modo riferibile all'attività lavorativa.

Al superamento di questo indirizzo più restrittivo si è giunti solo quando autorevole dottrina (con esplicito richiamo al Presidente Aldo De Matteis) ha iniziato a sostenere che il quid pluris, che la giurisprudenza del tempo ricercava in qualche elemento che aggravasse il rischio generico della strada, era in realtà insito nella destinazione lavorativa in se stessa; secondo questa autorevole dottrina, infatti, è “la mancanza di libertà”, che deriva dall'obbligo di adempiere la prestazione lavorativa, a giustificare il carattere professionale dell'evento (5).

Proprio grazie a questo nuovo orientamento si è giunti finalmente alla tutela dell'evento fondata sul semplice fatto che il viaggio ha come obbiettivo il lavoro (6).

Di questo nuovo orientamento, secondo il quale la tutela sarebbe appunto semplicemente giustificata dalla finalità lavorativa del percorso, aveva preso atto anche l'INAIL, rilevando che “dall'analisi delle sentenze in cui si esprime l'orientamento più recente ed estensivo della Corte di Cassazione si desume che l'infortunio in itinere è indennizzabile (…) anche nei casi di percorsi a piedi o su mezzi pubblici o di percorsi misti, a condizione che siano accertate le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari” (7).

Il riconoscimento normativo degli infortuni in itinere

Tenendo conto anche di questo nuovo indirizzo giurisprudenziale, in attuazione dell'art. 55, lett. u, della legge delega n. 144/1999, vennero dunque finalmente disciplinati gli infortuni sulle vie del lavoro dall'art. 12 del d.lgs. n. 38/2000, dove si legge: “All'art. 2 e all'art. 210 del testo unico è aggiunto, in fine, il seguente comma: Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”.

Poiché, come si è visto, veniva ormai considerato elemento decisivo per la tutela del viaggio la finalità dello stesso, il riconoscimento normativo dell'infortunio in itinere si sarebbe dovuto forseconfigurare come più ampio possibile, con una previsione molto semplice e sintetica del tipo: “l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate (meglio ancora sarebbe “ad ogni lavoratore”) sulle vie del lavoro”. Il legislatore delegato ha, invece, optato per una disciplina più complessa e non priva di incertezze interpretative, che meriterebbe una più attenta riflessione (8); in questa sede, tuttavia, la questione rilevante appare essenzialmente quella relativa alla tutela del tragitto lavorativo con mezzo privato.

La tutela dell'iter su mezzo privato solo se “necessitato”

La norma in commento non condiziona la copertura assicurativa degli infortuni in itinere all'uso di particolari mezzi di locomozione, per cui tutte le modalità di spostamento (a piedi, su mezzi pubblici, su mezzo privato, su percorsi misti) sono ricomprese nella tutela quando il tragitto sia collegato ad esigenze e finalità lavorative (9).

Per quanto riguarda il mezzo privato, tuttavia, appare paradossale che quello che aveva rappresentato una sorta di escamotage per ampliare la tutela dell'infortunio sulle vie del lavoro (arrivando appunto a considerare il percorso come protetto quando il lavoratore fosse stato in qualche modo costretto all'utilizzo del proprio veicolo per mancanza di possibilità alternative di spostamento) sia ora divenuto un elemento finalizzato a contenerla: “L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato”.

Di fatto, allora, in forza di tale previsione, l'impiego del mezzo di trasporto privato non viene considerato ragionevole, e quindi, giustificato, nel caso in cui, per la brevità della distanza da coprire, si possa effettuare il percorso a piedi senza disagi o quando il tragitto sia adeguatamente coperto da servizio pubblico di trasporto (10).

In particolare, secondo la giurisprudenza, il tragitto può essere percorso a piedi quando la distanza non sia superiore ai mille-millecinquecento metri (11).

Per quanto riguarda la copertura adeguata del percorso da parte dei mezzi pubblici, il lavoratore deve dimostrare che il loro utilizzo lo sottoponga a un eccessivo disagio (12), per cui si deve verificare la corrispondenza tra orario di lavoro e orario del servizio di trasporto (13), tenendo conto anche della peculiarità dell'attività lavorativa (specie quando questa non consenta di fare una previsione sulla durata della giornata di lavoro) (14), della durata delle attese, della copertura parziale o integrale del tragitto; viene dunque considerato non giustificato l'uso del mezzo privato nei casi in cui tale uso non consenta un risparmio di tempo superiore a quaranta-quarantacinque minuti per il singolo tragitto di andata o ritorno dal luogo di lavoro (15).

Un tale limite imposto alla tutela del viaggio lavorativo si pone in evidente contrasto con gli orientamenti giurisprudenziali più estensivi che si erano andati affermando negli anni antecedenti all'emanazione della norma (orientamenti di cui il legislatore delegato avrebbe dovuto tenere conto, ai sensi dell'art. 55, lett. u, citato) e, più in generale, con il principio di ampia tutela del lavoratore di cui all'art. 38 Cost.

Per tale motivo la previsione, di per sé pregiudizievole per i lavoratori, dovrebbe almeno essere interpretata nel senso a loro più favorevole (in dubio pro misero).

A tal proposito, ad esempio, il termine “necessitato” non può significare “indispensabile” ma dovrebbe assumere un significato meno rigido e sostanzialmente analogo a quello che ha il termine “giustificato” in relazione al criterio della ragionevolezza; l'uso del mezzo privato sarà quindi “necessitato” in considerazione non solo delle esigenze organizzative dell'attività lavorativa ma anche delle esigenze di vita del lavoratore (umane, familiari ed economico sociali), per la cui individuazione la Suprema Corte ha fatto riferimento ai fondamentali principi costituzionali espressi, ad esempio, dagli artt. 16 (libertà di circolazione e di scelta della dimora e residenza), 31 (tutela della famiglia), 32 (tutela della salute), 35 (tutela del lavoro) e 36 (diritto ad un'esistenza libera e dignitosa e necessità che la durata giornaliera di lavoro non superi determinati limiti).

La tutela del viaggio con velocipide

In linea con la tendenza ad ampliare la tutela, anche in applicazione del criterio della ragionevolezza, si pone la previsione di cui all'art. 5 della l. n. 221/2015: “L'uso del velocipide, come definito ai sensi dell'art. 50 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato”(16). Con questa disposizione, che aveva lo scopo di far ritenere sempre indennizzabile soprattutto l'infortunio in itinere in bicicletta, si è voluto dar rilievo alla ragionevolezza dell'uso di un mezzo di locomozione economico, flessibile, efficiente e compatibile con l'ambiente.

In particolare, stando all'art. 50 del Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), richiamato dalla norma sopra citata, i velocipedi, che sono stati considerati come mezzi il cui uso è sempre ritenuto necessitato (e, quindi, meritevole di tutela INAIL), sono, innanzitutto, i veicoli con due ruote o più ruote funzionanti a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali o di analoghi dispositivi, azionati dalle persone che si trovano sul veicolo.

In seguito all'utilizzazione sempre più diffusa delle così dette e-bike il legislatore è poi intervenuto sulla norma per precisare che, a determinate condizioni, sono altresì considerati velocipedi le biciclette a pedalata assistita(17); ormai, quindi, appare pacifico che anche l'uso di queste bici per recarsi e tornare dal lavoro viene sempre considerato necessitato, ossia viene sempre protetto dal sistema di previdenza.

Dubbi sulla tutela INAIL degli infortuni in itinere con monopattino

Sempre più diffusa è oggi l'utilizzazione anche del monopattino come mezzo di locomozione per recarsi al lavoro, per cui si pone ora il problema dell'indennizzabilità degli infortuni in itinere avvenuti con tale mezzo e, in particolare, della possibilità di considerare questo veicolo alla stregua dei velocipedi.

Sulla disciplina del monopattino è intervenuto il legislatore con l'art. 1, comma 75 della l. n. 160/2019, come modificata dal d.l. n. 162/2019, convertito dalla l. n. 8/2020, dove si legge che: "Nelle more della sperimentazione di cui all'articolo 1, comma 102, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, e fino alla data di entrata in vigore delle nuove norme relative alla stessa sperimentazione, sono considerati velocipedi, ai sensi dell'articolo 50 del Codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, anche al di fuori degli ambiti territoriali della sperimentazione, i monopattini a propulsione prevalentemente elettrica non dotati di posti a sedere, aventi motore elettrico di potenza nominale continua non superiore a 0,50 kW, rispondenti agli altri requisiti tecnici e costruttivi indicati nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 4 giugno 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 162 del 12 luglio 2019, e caratterizzati dai componenti elencati nell'allegato 1 al medesimo decreto".

Considerato che il monopattino viene quindi ormai ritenuto un mezzo di locomozione consentito dal Codice della strada, possono considerarsi superate le iniziali perplessità sulla legittimità della sua utilizzazione e, dunque, relative anche alla meritevolezza della tutela previdenziale del viaggio lavorativo con tale mezzo (18).

Inoltre, tenuto conto del fatto che la norma configurava il monopattino come velocipede, richiamando espressamente l'art. 50 del Codice della Strada, norma cui rinviava l'art. 5 della l. n. 221/2015 relativo appunto all'infortunio in itinere con velocipide, sembrava del tutto pacifica la protezione del percorso lavorativo con tale mezzo da parte dell'INAIL, a prescindere dall'accertamento dell'uso necessitato dello stesso.

Proprio in relazione a questo secondo aspetto, relativo alla piena assimilazione del monopattino al velocipide anche dal punto di vista previdenziale, sono invece sorti dubbi in seguito alla modifica alla norma sopra richiamata per opera dell'art. 1 ter3 del d.l. n. 121/2021, così come modificato con la legge di conversione n. 156/2021 (19), che ha inserito l'art. 75-quinquies; in questo nuovo comma si legge “I monopattini a propulsione prevalentemente elettrica, per quanto non previsto dai commi da 75 a 75-vicies ter, sono equiparati ai velocipedi” e, quindi, si conferma l'equiparazione dei monopattini ai velocipedi ma non viene più espressamente richiamato l'art. 50 del d.lgs. n. 285/1992 (Codice della strada).

Chiaramente, allora, applicando il principio ermeneutico secondo il quale “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, la differenza, sopra evidenziata, tra la prima formulazione della norma, la quale richiamava esplicitamente l'art. 50 del Codice della strada, e la seconda, che non lo fa, potrebbe indurre a ritenere che il legislatore abbia voluto modificare la propria scelta e negare che i monopattini siano equiparabili in tutto e per tutto ai velocipedi, con la conseguenza di negare che la loro utilizzazione possa godere della stessa ampia tutela riservata a quest'ultimi (in rapporto ai quali, come sottolineato, l'uso è sempre considerato necessitato).

Segue. L'interpretazione favorevole al lavoratore

Una tale interpretazione, che finisce per escludere la tutela del viaggio su monopattino quando l'uso di questo mezzo privato non sia necessitato, nel senso sopra meglio chiarito, contrasta, tuttavia, con il principio secondo il quale ai fini della protezione del tragitto dovrebbe rilevare unicamente la finalità del viaggio e, ancor più, con il principio di ampia tutela del lavoratore ex art. 38 Cost. L'assunto è poi particolarmente grave se si considera che il monopattino viene utilizzato prevalentemente dai lavoratori economicamente più deboli (giovani, extracomunitari, precari), spesso sprovvisti di mezzi alternativi di locomozione e, quindi, della possibilità di utilizzare mezzi più costosi e di pagare il biglietto o l'abbonamento per usufruire di mezzi pubblici.

D'altra parte, tenendo conto anche dei positivi riflessi ambientali e sulla mobilità derivanti dall'uso di tale mezzo di trasporto, per la tutela previdenziale dello stesso non si dovrebbero applicare i rigidi requisiti imposti dalla giurisprudenza in caso di uso dell'auto o della moto: se prendere l'auto per percorrere cinquecento metri o in presenza di un mezzo pubblico può apparire un comportamento non giustificato, utilizzare il monopattino potrebbe invece risultare una scelta comprensibile e corrispondente agli standards comportamentali che la giurisprudenza considera parametro di valutazione della sua ragionevolezza (20).

Inoltre, ai fini della tutela non dovrebbe rilevare la maggiore o minore pericolosità del veicolo utilizzato che, tra l'altro, sembrerebbe meno pericoloso, ad esempio, della e-bike (21); né si può confondere il mezzo di locomozione elettivo con il rischio elettivo perché, appunto, ciò che conta dovrebbe essere solo la finalità del viaggio e non il mezzo utilizzato per compierlo.

Per tali ragioni, in definitiva, sembrerebbe conforme ai valori costituzionali l'utilizzazione del primo e più semplice dei criteri ermeneutici, ossia il criterio letterale. In altre parole, considerato che il legislatore con la nuova formulazione della norma ha espressamente chiarito che i monopattini a propulsione prevalentemente elettrica sono equiparati ai velocipedi, sembra del tutto sostenibile l'opzione per una equiparazione completa tra questi mezzi, per cui l'assimilazione dovrebbe trovare applicazione in relazione ad ogni aspetto, ad eccezione delle ipotesi specificatamente escluse (per quanto non previsto dai commi da 75 a 75-vicies ter) e, quindi, anche ai fini della tutela previdenziale.

Del resto, trattandosi di norma sopravvenuta rispetto all'art. 50 del Codice della strada, sebbene non lo richiami espressamente, va considerata senz'altro integrativa dello stesso, nel senso che va ad estendere il significato di velocipede anche i fini della previsione di cui all'art. 5 della l. n. 221/2015 che faceva appunto riferimento non solo alla art. 50 ma anche alle sue successive modificazioni.

Conclusioni

In conclusione, in attesa delle determinazioni in merito da parte dell'INAIL e di eventuali pronunciamenti della giurisprudenza, in adesione alle attese costituzionali di estensione della protezione del lavoratore, ritengo che l'uso del monopattino per coprire il percorso lavorativo possa considerarsi sempre meritevole di tutela previdenziale.

Note

(1) Cfr., proprio sul punto, Cass. 10 marzo 1992, n. 2883, in Riv. inf. mal. prof., 1992, II, 95 ss.

(2) Come ebbe modo di sottolineare la Corte Costituzionale nella sentenza 12 gennaio 1977 n. 8, in Mass. giur. lav., 1978, 291 ss.

(3) V. C. Cost. 3 ottobre 1990, n. 429, in Resp civ. prev., 1991, 262 ss.

(4) V. INAIL, Linee guida per la trattazione dei casi di infortunio in itinere, della Direzione Centrale Prestazioni INAIL, datate 4 maggio 1998, punti 3) e 4.1.1), in Riv. inf. mal. prof., 1998, I, 156 ss.

(5) V. A. DE MATTEIS, L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, Torino, 1996, 106.

(6) Cfr., tra le altre, Cass. 19 gennaio 1998, n. 455, in Riv. giur. lav., 1998, 641ss.; Cass. 24 ottobre 1998, n. 10582, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1999, 320 ss.; Cass. 5 maggio 1998, n. 4535, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1998, 768 ss.; Cass. 21 aprile 1999, n. 3970, in Resp. civ. prev., 1999, 1045 ss.

(7) V. INAIL, Criteri per la trattazione dei casi di infortuni sul lavoro con particolare riferimento alla nozione di rischio generico aggravato, in Riv. inf. mal. prof., 1999, I, 1232.

(8) Per una disamina più ampia delle problematiche connesse alla tutela degli infortuni in itinere sia consentito il rinvio a G. CORSALINI, La centralità del lavoratore nel sistema di tutela INAIL, Milano, 2020, cap. 3.

(9) V. INAIL, Istruzioni operative della Direzione Centrale Prestazioni del 15 marzo 2000, relative all'art. 12 del decreto n. 38/2000. Cfr. Cass. 17 febbraio 2017, n. 4277, cit. Cass., 14 dicembre 2017, n. 30085, in olympus.uniurb.it.

(10) V. INAIL, Linee guida per la trattazione dei casi di infortunio in itinere, cit., punto 4.1.1).

(11) Cfr. le sentenze con le quali è stato ritenuto non necessitato l'uso del mezzo privato: a) auto per coprire una distanza di 700 metri (Cass. 12 settembre 2017, n. 21122, in Riv. inf. mal. prof., 2017, II, 173 ss.) o un chilometro (Cass. 20 ottobre 2014, n. 22154, in Riv. inf. mal. prof., 2015, II, 48 ss.) b) moto per percorrere una distanza di due chilometri di mattina presto (Cass. 18 marzo 2013 n. 6725, in Guida dir., 2013, 21, 49); c) motorino, per un tragitto di circa millecinquecento metri, parzialmente coperto da mezzi pubblici e, comunque, data l'età del lavoratore (trentasei anni), percorribile a piedi in circa venti minuti (Cass. 7 agosto 2003, n. 11917, in Gius, 2004, 374) o per coprire una distanza di circa un chilometro tra abitazione e luogo di lavoro, da parte di una sessantenne, non affetta da disturbi nella deambulazione (Cass. 11 dicembre 2001, n. 15617, in Riv. giur. lav., 2002, 627 ss.; d) bicicletta, prima della riforma del 2015 (ormai sempre mezzo necessitato), per coprire una distanza di milleduecento metri (Cass. 7 settembre 2012, n. 15059, in Riv. inf. mal. prof., 2012, II, 70 ss.).

(12) Cfr. Cass. 25 settembre 2018, n. 22670, in Riv. inf. mal. prof., 2018, II, 14 ss.; Cass. 7 luglio 2017, n. 16835, in Dir. giust., 2017, 10 luglio.

(13) Cfr. Cass. 20 aprile 2016, n. 7831, in olympus.uniurb.it; Cass. 10 maggio 2004 n. 8889, in Giust. civ. mass., 2004, 1083.

(14) Cfr. Cass. 27 maggio 2009, n. 12326, in Foro it., 2010, 2, I, 524 s.; Cass. 23 maggio 2008, n. 13376, in Giust. civ. mass., 2008, f. 5.

(15) Cfr. Cass. 7 luglio 2016, n. 13950, in olympus.uniurb.it; Cass. 29 luglio 2010, n. 17752, in Riv. crit. dir. lav., 2010, 3, 872; Cass. 1° settembre 2004, n. 17544, in Riv. inf. mal. prof., 2004, II, 77 ss.

(16) Cfr. INAIL, Circolare 25 marzo 2016 n. 14, in www.inail.it.

(17) Articolo 50, comma 1, d.lgs. 285/1992 modificato dall'articolo 1, comma 698, della l. n. 178/2020 e, da ultimo, dall'articolo 7, comma 1, lettera c), numero 1), del d.l. n. 68/2022, convertito, con modificazioni dalla l. n. 108/2022,

(18) D'altra parte, l'uso del monopattino come mezzo di spostamento casa-lavoro viene preso ampiamente in considerazione anche da parte dell'INAIL nel “Piano degli spostamenti casa-lavoro” del dicembre 2021 (in www.inail.it).

(19) Norma che non ha subito sostanziali modifiche in relazione alla questione che ci occupa per opera dell'art. 10 del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con la l. 25 febbraio 2022, n. 15.

(20) Cfr., per tutte, Cass. 3 agosto 2001, n. 10750, in Foro it., 2003, I, 1845 ss.

(21) Nel 2021, in Italia, gli incidenti stradali con lesioni a persone che hanno coinvolto almeno un monopattino elettrico sono stati 2.101, con 9 vittime e 1.980 feriti Invece le biciclette elettriche o e-bike, sempre nel 2021 e sempre in Italia, sono state coinvolte in 691 sinistri, con 13 vittime e 641 feriti. Ne consegue che, in proporzione, i monopattini elettrici causano 1 vittima ogni 233 incidenti mentre le bici elettriche 1 ogni 53 incidenti, quindi molto più frequentemente (cfr. dati Istat in www.istat.it).

L'autore, legale dell'INAIL, nel presente lavoro esprime opinioni personali che, naturalmente, non impegnano in alcun modo l'Ente per il quale svolge la sua professione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario