Tentativo di interpretazione dell'art. 112, comma 2, CCII: un mistero avvolto in un enigma

15 Giugno 2023

L'Autore propone una soluzione interpretativa dell'art. 112, comma 2, CCII, norma che dispone il c.d. cross-class cram-down del concordato preventivo, e, in particolare, delle condizioni dettate dalle lettere b) e d) per l'operare di tale meccanismo.
Le criticità dell'art. 112 CCII

I pratici – categoria cui appartiene chi scrive questo contributo – nell'impostare i concordati preventivi da condurre sotto il fresco cielo del Codice della crisi, si trovano di fronte all'arduo esercizio di interpretare l'art. 112, comma 2, che stabilisce i criteri in base ai quali il Giudice può omologare un concordato in continuità aziendale che non abbia ottenuto il consenso di tutte le classi di creditori.

Si tratta di un tema urgente e decisivo, poiché sbagliare l'impostazione delle modalità di ripartizione dell'attivo può portare al naufragio della proposta di ristrutturazione, con effetti nefasti per il debitore e di tutti i nuclei di interesse (dipendenti, Erario, fornitori e creditori in genere) che ruotano attorno a lui, con gravi distruzioni di valore.

Ma andiamo per gradi.

Sappiamo che il Codice della crisi stabilisce, come regola primaria, che il concordato in continuità aziendale passa se votano a favore tutte le classi di creditori, con un criterio di formazione della maggioranza che è fissato dall'art. 109, comma 5, CCII: vale a dire quando in ogni classe la proposta è approvata dalla maggioranza dei crediti dei creditori ammessi al voto (regola della maggioranza assoluta), oppure, in mancanza, quando hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe (regola della maggioranza relativa rafforzata).

Si tratta di un risultato molto impegnativo, che può essere ben più difficile da raggiungere di quello previsto dalla disciplina previgente, che consisteva nel raggiungimento del voto favorevole della maggioranza delle classi e della maggioranza dei crediti.

È assai probabile, pertanto, che in molti concordati questo obiettivo non venga centrato e si acceda al sistema di recupero previsto dalla disciplina nell'art. 112, comma 2, CCII.

Questa norma riguarda la cosiddetta ristrutturazione trasversale dei debiti (le parole sono mutuate dal considerando 55 della Direttiva 2019/1023), ovvero quel meccanismo forzato che opera sotto il controllo del Giudice e su domanda del debitore quando le maggioranze di cui all'art. 109 CCII non sono, per l'appunto, raggiunte.

Le condizioni per le quali tale meccanismo si mette in moto sono che (cito dal secondo comma dell'art. 112):

a) il valore di liquidazione sia distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;

b) il valore eccedente quello di liquidazione sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, settimo comma;

c) nessun creditore riceva più dell'importo del proprio credito;

d) la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Le condizioni sub a) e c) non danno particolari problemi di interpretazione.

La difficoltà è intendere le condizioni di cui alle lettere b) e d).



L'art. 112, comma 2, lett. d) CCII, ovvero del voto a favore della maggioranza o di meno (?) delle classi

Cominciamo dalla lettera d), su cui ormai il dibattito è progredito e offre se non altro un quadro sistematico di riferimento.

È ormai assodato che se il concordato in continuità non è approvato ai termini dell'art. 109 CCII il Giudice può comunque omologare se, alternativamente:

  1. ha votato a favore la maggioranza delle classi, di cui una privilegiata, o
  2. ha votato almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

La situazione descritta sub 1) non desta particolari preoccupazioni ermeneutiche. Basta la maggioranza delle classi di cui una formata da creditori privilegiati perché si apra la strada all'omologazione e alla ristrutturazione trasversale.

Una questione interna a tale condizione è come si calcola la maggioranza delle classi. Deve questa maggioranza essere formata da classi favorevoli ai sensi della regola di maggioranza assoluta o basta la regola di maggioranza relativa rafforzata?

Direi, senza esitazione, che la risposta corretta sia la seconda. Il favor del Legislatore fa inclinare in questa direzione. Mi pare che la lettera dell'art. 109, comma 5, CCII non escluda il gioco combinato delle due regole di maggioranza all'interno delle classi.

Così il computo delle classi a favore del concordato, ad esempio tre su cinque, verrà condotto considerando sia le classi in cui hanno votato favorevolmente i creditori titolari del cinquanta per cento più uno dei crediti sia le classi in cui abbiano votato favorevolmente i creditori titolari di almeno i due terzi dei crediti purché abbiano votato i creditori titolari di almeno il 50% dei crediti della classe.

Va qui notato che nel nuovo concordato i creditori privilegiati votano per l'intero se non soddisfatti in denaro integralmente entro centottanta giorni dall'omologazione. Quindi la classe di creditori privilegiati il cui voto favorevole completa la condizione può essere anche fatta di creditori che vedono un pagamento integrale ma oltre termine.

Ben più complessa è l'analisi della condizione descritta sopra sub 2), condizione che si verifica “in mancanza” della prima, quando vi è il voto di almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

La giurisprudenza fin qui conosciuta (Trib. di Bergamo, n. 65/2023) ha fatto, direi, buon governo di questa norma, intendendo quell'”in mancanza” come indicatore di una condizione subordinata al mancato verificarsi della condizione maggiore, quella del voto favorevole della maggioranza delle classi.

Meno preciso è il governo del contenuto interno della condizione. Come deve essere composta questa classe il cui voto (e basta il suo!) apre alla ristrutturazione trasversale?

La sentenza citata così recita sul punto: La ratio della norma è quella di favorire al massimo la ristrutturazione trasversale dei debiti, in una logica di continuità aziendale, che consenta di riammettere nel mercato l'impresa in crisi e mantenere i posti di lavoro in essa impiegati. Tuttavia per ottenere l'omologazione con l'approvazione dell'autorità giudiziaria e quindi al di fuori di una logica di autonomia negoziale fra debitori e i suoi creditori, occorre, quale requisito minimo, quello della approvazione della proposta da parte di almeno una classe di creditori privilegiati, che sia per così dire “maltrattata” nella proposta concordataria e pur tuttavia sia fiduciosa della bontà della proposta di “rilancio” dell'impresa (art. 112, 2° comma, lett. D, del CCII)”.

Questa parte della motivazione coglie il senso generale della norma ma, a mio modesto avviso, non è sufficientemente analitica da costituire un criterio esaustivo di orientamento, limitando l'insieme rilevante a quello dei creditori privilegiati.

Come ha fatto il Giudice orobico, bisogna riandare alla fonte della nostra normativa, il calco europeo.

Dice l'art. 11 della Direttiva 1023 che il concordato deve essere stato approvato: “ii) da almeno una delle classi di voto di parti interessate o, se previsto dal diritto nazionale, di parti che subiscono un pregiudizio, diversa da una classe di detentori di strumenti di capitale o altra classe che, in base a una valutazione del debitore in regime di continuità aziendale, non riceverebbe alcun pagamento né manterrebbe alcun interesse o, se previsto dal diritto nazionale, si possa ragionevolmente presumere che non riceva alcun pagamento o né mantenga alcun interesse se fosse applicato il normale grado di priorità di liquidazione a norma del diritto nazionale”.

Mi pare che la norma comunitaria dia un senso compiuto alla norma nazionale.

La classe che vota a favore e apre all'omologazione deve esser fatta di creditori “interessati” o, se previsto dal diritto nazionale, e questo è il nostro caso, di parti che subiscono un “pregiudizio”. Sul concetto di interessato mi dilungherò dopo parlando della condizione di cui alla lettera b) dell'art. 112, comma 2, CCII. Qui non è luogo perché il Legislatore domestico scarta questa alternativa, ragione per la quale mi soffermo solo sul concetto di pregiudizio. Ma cos'è questo pregiudizio?

La Direttiva lo spiega nel considerando 54: “per pregiudizio del creditore si intende la riduzione del valore dei suoi crediti”.

Semplice e chiaro: non occorre altro che il sacrificio di una parte del credito che sarebbe esigibile dal creditore.

Quindi, fin qui, non serve il voto dei creditori privilegiati, come sembra pretendere il Giudice bergamasco. Basta un credito qualunque, anche chirografario, che sia pagato meno del dovuto e abbia quindi subito un pregiudizio.

Ma la Direttiva poi prosegue e precisa. Dal novero di questi crediti qualunque, “maltrattati”, secondo il bel linguaggio della sentenza citata, o pregiudicati, vanno espunte le posizioni dei detentori di strumenti di capitale (azionisti, quotisti, portatori di strumenti finanziari partecipativi al capitale di rischio – che d'altra parte non sono creditori) e di quei creditori che non riceverebbero alcun pagamento neppure in un regime di continuità aziendale se si rispettassero le regole distributive di cui all'art. 2741 c.c., cioè quelle della priorità assoluta. Quando si fa riferimento al regime di continuità aziendale si sommano i valori che risultano dalla liquidazione giudiziale e il surplus della continuità fatto sia dei flussi di piano che di eventuali apporti di terzi. Insomma, non vale il voto di quei creditori che non riceverebbero niente neanche se venisse messo a disposizione tutto il patrimonio dell'impresa, sia quello base che si liquida giudizialmente, sia quello che può venire dalla continuazione dell'attività secondo il piano, e lo si distribuisse secondo le cause legittime di prelazione.

La ratio è chiara: il voto rilevante è quello di creditori che avrebbero una qualche soddisfazione dal concordato in continuità applicando la regola della priorità assoluta e non di quelli che, in base a tale regola, non riceverebbero nulla. Il giudizio dei primi è considerato ponderato e segnaletico di una valutazione fatta a vantaggio di tutti. Quello dei secondi è invece un giudizio non poggiato su un sufficiente interesse. Beggars are not choosers, dicono gli inglesi. I mendicanti non hanno scelta. Qualsiasi offerta va bene, perché è meglio di niente.

In conclusione, la classe che immette il concordato al giudizio di omologazione è quella di creditori che subiscono un pregiudizio (cioè perdono una parte del loro credito, quale che sia) e che, mettendo insieme tutto il patrimonio del debitore, presente e futuro (fino alla fine del piano, ovviamente) potrebbero ricevere qualcosa se si applicasse la regola della priorità assoluta.

Questi creditori sono normalmente i privilegiati, come ha ben detto il Giudice di Bergamo; ma possono essere anche chirografari, in quei concordati che siano sufficientemente ricchi da assicurare un ritorno anche per loro applicando la regola della priorità assoluta. Ne segue però che i creditori privilegiati che non riceverebbero nulla in un concordato povero, non in grado di soddisfarli secondo il loro grado, non potrebbero costituire classe rilevante agli effetti dell'art. 112, comma 2, lett. d) CCII.



L'art. 112, comma 2, lett. b) CCII, ovvero della composizione delle classi dissenzienti

Passiamo adesso alla seconda condizione di difficile lettura, quella contenuta nella lettera b) dell'art. 112, secondo comma.

La cito ancora: “il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.

Qualcuno legge questa norma come se essa volesse intendere che qualunque classe dissenziente debba ricevere quello che ricevono le classi di pari grado, il che applicato ai creditori chirografari porta a concludere che non è possibile o è altamente rischioso differenziare le percentuali di soddisfo di tali classi, perché basta il voto contrario anche di una sola di esse, che sia trattata in modo deteriore rispetto alle altre di pari grado, per inibire la ristrutturazione trasversale.

Conclusione assurda, perché contraria all'art. 85, comma 1, CCII (“Il piano può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse”), e alla prassi pacifica.

Ma la lettera è chiara e spietata.

Per superare questo ostacolo, apparentemente insormontabile, bisogna riandare alla Direttiva.

Dice l'art. 11, comma 1, lett. c) della fonte europea che il piano: “assicura che le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori”.

Come si nota, la vera differenza tra la lettera della norma nazionale e quella europea sta nell'aggettivo “interessati”, che la norma italiana oblitera.

Ebbene la Direttivadefinisce all'art. 2 le parti interessate come “i creditori […] sui cui rispettivi crediti e interessi incide direttamente il piano di ristrutturazione”. Poiché il Legislatore europeo si esprime in modo preciso, i creditori in questione non possono essere tutti coloro che prendono meno del dovuto, cioè quelli che subiscono un pregiudizio, ma sono una parte di costoro, un sottoinsieme.

Il sottoinsieme dei creditori che sono “direttamente incisi” dal piano, cioè coloro che per effetto del piano prendono meno di quanto potrebbero prendere se si applicasse la regola della priorità assoluta e che mettono a disposizione una parte del loro credito, altrimenti soddisfacibile ai sensi dell'art. 2741 c.c., a favore di creditori che altrimenti prenderebbero meno. Sono, insomma, i creditori che pagano pegno alla regola della priorità relativa in modo complessivo: e dunque, nel sistema italiano, considerando sia quello che ricevono a valere sul valore di liquidazione che sul valore eccedente.

Che questa sia l'interpretazione corretta lo si inferisce dalla lettura delle versioni in lingue diverse della Direttiva. La versione inglese si esprime, riferendosi a queste classi, con un “are directly affected by a restructuring plan”, ove il termine “affected” significa subire un “effetto differenziale” (rispetto a un altro scenario). Nel testo francese si usa similmente l'espressione “directement affectés par un plan de restructuration”. In quello tedesco “von einem Restrukturierungsplan unmittelbar betroffen sind”, ove il termine “betroffen” si può tradurre con “colpito”.

In conclusione, non sono interessati perché non direttamente incisi o affected o affectés o betroffen dal piano i creditori che per effetto di esso, e della regola di priorità relativa, ricevono di più di quanto potrebbero ricevere applicando a tutto il patrimonio che si forma nella continuità aziendale la regola della priorità assoluta.

Dunque, la norma nazionale va letta come se essa sottintendesse il termine “interessate” a fianco della parola “classi” e prima della parola “dissenzienti”.

Le classi dissenzienti non interessate non hanno dunque il potere di bloccare il processo di omologazione anche se ricevono meno di quanto sia offerto ad altre classi del medesimo grado. Si tratta, in sostanza, di quelle classi cui comunque è riservato un trattamento migliore di quello che competerebbe loro applicando la regola della priorità assoluta: delle classi, appunto, non direttamente incise dal piano di ristrutturazione.

Nella gran parte dei casi, saranno le classi di creditori chirografari cui non spetterebbe niente o quasi applicando la regola della priorità assoluta e a cui invece è riservato un trattamento migliore nella proposta. Ma potranno essere anche classi privilegiate, cui non spetterebbe nulla per effetto della regola di priorità assoluta, e invece si vedono riservato un trattamento positivo.

Ecco che, con questa interpretazione, torna ad avere senso la previsione dell'art. 85, comma 1, CCII, che altrimenti verrebbe espunto da una lettura letterale della norma sopra commentata.

Mi rendo conto che quanto fin detto possa provocare reazioni da parte di quei commentatori, e forse di quella giurisprudenza, che si ribellano all'idea che basti una sola classe a favore, magari rappresentativa di una quota marginale del credito, e ritengono, e non senza apparenti ragioni, che un tale approdo snaturi del tutto la natura consensualistica della procedura, propugnando, ad esempio, una lettura più restrittiva della norma, e in particolare di quell' “in mancanza” di cui alla lett. d) del secondo comma dell'art. 112, riferendolo non alla maggioranza delle classi ma alla tipologia di classe che vota a favore in luogo di quella titolare di diritti di prelazione (Si veda D. Galletti, One class show? Fra illusioni di autonomia negoziale e poteri eteronomi del debitore, pubblicato in questo portale, 24 maggio 2023).

È dunque necessario fare uno sforzo interpretativo ulteriore che riconcili la lettera della norma, come letta in chiave eurounitaria, e il sistema di garanzie per i creditori apprestato dall'ordinamento nazionale.



Sul ruolo centrale nel sistema del valore di liquidazione

Il punto focale del mio ragionamento è costituito dal valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale, nel quadro del concordato in continuità.

Mi sembra che questo dato assuma un ruolo pivotale in tutto il sistema.

È noto, infatti, che si tratta di dato da indicare nel piano di concordato e da sottoporre a esame e verifica dall'attestatore che deve certificare che il piano sia atto a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe nell'alternativa liquidatoria (considerando non solo la vendita dei beni ma anche le azioni revocatorie e risarcitorie).

È un dato soggetto a controllo giudiziale su istanza di creditore dissenziente (art. 112, cc. 3 e 4, CCII). In tal caso il Tribunale deve controllare, con una nuova stima, che sia vero che il piano preveda una soddisfazione del creditore maggiore di quella riservabile dalla liquidazione.

A ciò si aggiunga la tutela penale rappresentata dall'art. 342 del CCII in punto di falso in attestazioni e relazioni, che punisce l'attestatore che “espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso collegati” e dall'art. 11, secondo comma, D.Lgs. 30 marzo 2000, n. 74 che punisce chi “al fine di ottenere per sé e per altri un pagamento parziale dei tributi e dei relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo”.

Insomma, il sistema circonda la determinazione del valore di liquidazione, che è dato decisivo in tutto il sistema di pianificazione e determinazione dei valori satisfattivi del concordato, di numerosi controlli e cautele, compresa la sanzione penalistica.

Riassumendo, detto valore è:

  1. indicato dal debitore nel piano (art. 87, lett. c), CCII),
  2. attestato da un professionista indipendente anche ai fini della proposta di trattamento fiscale e contributivo (art. 87, comma 3, e art. 88, comma 1, CCII),
  3. ricalcolato dal Tribunale in sede di omologazione, se interviene opposizione di un creditore dissenziente centrata sulla convenienza della proposta (art. 112, comma 4, CCII).

Il tutto sotto minaccia di sanzione penale in caso di falso e di omissione di informazione (reato descritto nell'art. 342 CCII) e di sottovalutazione nel caso specifico della transazione fiscale (art. 11, D.Lgs. 74/2000).

Mi sembra quindi che in questa prospettiva emerga la logica che il Legislatore sottende alla trama, non del tutto chiara, ahimè, delle norme: una volta che sia attuato il principio secondo cui il creditore nel concordato in continuità deve ricevere di più che nell'alternativa liquidatoria, e lo si è fatto con tutte le cautele del caso, il Giudice può, e quindi deve, esercitare il suo imperio nell'interesse della stessa massa, omologando procedure che non hanno ottenuto il consenso della maggioranza delle classi, perché tali procedure, da un lato, fanno il vero interesse dei creditori che, pur dissenzienti, non si sono opposti, e dall'altro, quello del sistema economico, dando a una impresa la possibilità di risanarsi.

Vale qui anche la considerazione della asimmetria informativa tra creditori e debitore. I primi non sanno quanto ricaverebbero dalla liquidazione, esercizio questo quanto mai complesso, ed è giusto che vengano ricondotti a razionalità da un meccanismo procedurale pensato per determinare questo valore sia con il contributo responsabile e professionale dell'attestatore che con il controllo del Giudice.

Viene qui in mente un altro principio dell'ordinamento: l'interesse ad agire. Il creditore che si oppone a un concordato che lo tratterebbe meglio della liquidazione non ne ha, e quindi non merita tutela.



Sul calcolo del valore di liquidazione

Semmai qui si pone un problema di prevedibilità dell'esito di una procedura. Poiché il Giudice dell'omologa, compulsato da un creditore che eccepisce la convenienza della proposta, deve fare stimare di nuovo il patrimonio aziendale, occorre che la prassi professionale quanto prima si attrezzi indicando metodi e percorsi valutativi che possano fare da faro in un processo tanto complesso.

Qui mi limito ad alcune impressionistiche notazioni, riservandomi di tornare più ponderatamente sull'argomento.

La valutazione in questione è di tipo probabilistico e controfattuale, perché fatta nella prospettiva di un evento, la liquidazione giudiziale, che non è destinato ad accadere, proprio grazie al concordato in continuità aziendale.

A differenza della valutazione fatta nei concordati liquidatori o nelle liquidazioni giudiziali, e con l'unica eccezione delle valutazioni relative a beni non strategici, oggetto di dismissione nel concordato contenutistico, questa valutazione non otterrà mai una controprova fattuale. I beni valutati infatti non saranno dismessi ma continueranno a operare nel patrimonio del debitore, auspicabilmente risanato.

Ne segue che questo genere di valutazioni andrà fatta ipotizzando la vendita dei beni, normalmente in chiave atomistica (salvo forse, ma cum juicio, il caso in cui vi sia affitto di azienda o in cui si possa immaginare l'esercizio provvisorio dell'impresa e la vendita dell'azienda non ancora dissolta nella sua unità funzionale). Il criterio dominante, dunque, sarà quello del valore di scambio – l'art. 88 parla espressamente di valore di mercato -, e non del valore di uso di beni che hanno perso la loro primigenia destinazione produttiva. Il valutatore deve calarsi nella posizione del curatore e chiedersi realisticamente come realizzare con celerità il valore dei beni.

Ne segue che complessi aziendali di grande costo - e anche di grande valore, ma se innestati in una impresa viva e vitale, - finiscano per avere valore molto svilito se pensati smembrati e venduti al migliore offerente.

Ad esempio, una pressa costata milioni, con diversi elementi specializzanti e saldamente ancorata al suolo, che condiziona la commerciabilità dell'immobile in cui è collocata, non solo varrà poco in una liquidazione, ma potrebbe financo avere valore negativo, per la necessità di rimuoverla e magari di smaltirne i pezzi.

Lo stesso vale per un immobile industriale che, perfettamente funzionale all'impresa in esercizio, se collocato sul mercato in chiave liquidatoria deve essere deprezzato per tenere conto della necessità di procedere a bonifiche, o all'adeguamento degli impianti, o ai necessari adattamenti per renderlo conforme al nuovo uso cui deve essere destinato.



Conclusioni

Mi auguro che questo contributo concorra al formarsi di una interpretazione dell'art. 112, comma 2, CCII che non ne forzi – ma solo ne integri - la lettera e sia coerente con lo spirito della riforma (molto favorevole alla continuità), e al dettato comunitario, nel quadro delle garanzie che il Codice ha voluto per il trattamento dei creditori rispetto all'alternativa liquidatoria.

Se non è raggiunto il voto favorevole della totalità delle classi, e neppure è raggiunta la maggioranza di esse con il voto di almeno una classe privilegiata, allora per accedere alla ristrutturazione trasversale dei crediti basterà il voto positivo di una sola classe di creditori che abbiano subito un pregiudizio, cioè una mera perdita del loro credito, e che siano però diversi dai portatori di strumenti di capitale – ça va sans dire, non essendo creditori – e da quei creditori che, pur subendo pregiudizio, dal medesimo concordato in continuità nulla riceverebbero se si applicasse la regola della priorità assoluta (normalmente dunque i chirografari, ma anche i privilegiati, nei concordati molto poveri).

Tuttavia, pur realizzandosi la suddetta condizione, il concordato non potrà essere omologato se tra le classi dissenzienti ve ne sia una che riceva meno di altre classi di pari grado o meno di altre classi di grado inferiore, a condizione che detta classe dissenziente sia costituita da creditori interessati – termine non espresso ma sottointeso dalla norma italiana – vale a dire creditori che ricevano dal piano di concordato meno di quanto potrebbero ricevere dal medesimo piano se la distribuzione avvenisse seguendo il criterio di priorità assoluta e non quello di priorità relativa.

Ne segue che se una classe dissenziente è fatta di creditori non interessati, nel senso suddetto, a nulla varrà il fatto che essa sia trattata diversamente da come è trattata una classe di pari grado, purché ovviamente essa sia trattata meglio delle classi inferiori.

Mi pare infine che i commentatori preoccupati della lesione al principio consensualistico che la nostra interpretazione comporterebbe, possano considerare, quale fattore di garanzia, il criterio della convenienza della proposta rispetto alla alternativa liquidatoria, e la nutrita serie di cautele poste a presidio del corretto calcolo di questa convenienza, centrato sulla determinazione del valore di liquidazione (giudiziale).

Tuttavia, questo dato del valore di liquidazione, che sostituisce il criterio generalizzante del patrimonio presente e futuro del debitore (art. 2740 c.c.) e condiziona l'applicazione del principio del concorso secondo le legittime cause di prelazione (art. 2741 c.c.), pone notevoli problemi di definizione secondo criteri condivisi e prevedibili, onde dare, fin dove è possibile, certezza circa l'esito delle procedure ed evitare che l'enorme lavoro che sta dietro un concordato giunto alla fase di omologazione sia frustrato dal gioco, spesso ineffabile, delle stime.

Dunque, abbiamo (forse) un quadro interpretativo coerente, ma, data la povertà, spiace proprio dirlo, del lavoro di legificazione, abbiamo anche questioni dibattutissime, sul corpo doloroso di tante imprese in difficoltà. Urge quindi, chiarezza, certezza del diritto. Che si ottiene o con un intervento del Legislatore (first best) o con qualche presa di posizione delle Corti – ora però, perché poi può esser tardi! – con indirizzi interpretativi di prassi o con sentenze di esemplare chiarezza ed estensione che facciano da leading case.

E urge poi che i corpi professionali elaborino indicazioni (le c.d. best practice) che guidino la comunità professionale nel difficile compito di garanzia che le è affidato dalla legge nella determinazione del valore di liquidazione (giudiziale), onde evitare una roulette delle stime.



Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario