Accordi di ristrutturazione a rischio di estinzione?

Diana Burroni
16 Giugno 2023

Gli Autori si interrogano sulla ammissibilità della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti anche nell'ipotesi in cui non siano ancora trascorsi i 90 giorni previsti dall'art. 63, comma 2, CCII per l'intervento dell'adesione da parte dell'Amministrazione fiscale alla proposta transattiva. Il focus analizza gli argomenti proposti a fondamento della soluzione negativa, per poi esporre la tesi della ammissibilità.
Premessa

Il Legislatore della riforma, nel solco delle novità già codificate con gli artt. 182-septies e 182-noviesl. fall. (accordi di ristrutturazione a efficacia estesa e accordi di ristrutturazione agevolati), ha notevolmente potenziato, quale strumento per la soluzione della crisi di impresa, gli accordi di ristrutturazione regolati agli artt. 57 ss. CCII.

Ciò perché, del tutto correttamente sul piano della politica legislativa e nella direzione degli obiettivi dichiarati della riforma, tali accordi sono stati riconosciuti come una soluzione particolarmente efficiente (in termini di tempi, di costi, di generale soddisfacimento dei creditori su base negoziale oltre che del Fisco) per il tessuto economico nazionale, soluzione che peraltro ha il pregio di comportare un carico di lavoro per i tribunali estremamente limitato, essendo l'autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi solo in sede di omologa.

A fronte di tale premessa, con un certo stupore si sono registrati in tempi recenti, in dottrina e giurisprudenza, orientamenti sulla interpretazione delle nuove norme che – nei fatti – rischiano di impedirne l'applicazione nella maggior parte dei casi e, dunque, di destinare a sicura marginalizzazione (in taluni casi vera e propria estinzione) proprio l'istituto che il legislatore parrebbe avere inteso maggiormente favorire.



Il quesito

La presente riflessione, per l'appunto sollecitata dalla recente pubblicazione di alcuni contributi dottrinali e precedenti giurisprudenziali, si incentra sul seguente quesito di carattere generale: è ammissibile la domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti qualora la proposta di transazione rivolta all'Amministrazione Fiscale ai sensi dell'art. 63 CCII sia stata solo formulata al detto creditore e non siano ancora trascorsi i novanta giorni (termine riconosciuto dalla legge, ex art. 63, comma 2, CCII) per consentire al creditore pubblico di decidere nel senso dell'adesione o meno relativamente alla proposta di transazione fiscale?

La risposta a tale quesito è sempre stata in giurisprudenza positiva: con approccio pratico, ma comunque rispettoso della lettera e della ratio della legge, nei casi in cui il termine di novanta giorni non fosse ancora decorso al momento del deposito della domanda di omologa, il tribunale si limitava a riservare la richiesta di omologa in decisione (previa fissazione di udienza in presenza di opposizioni) a data successiva rispetto alla detta scadenza, di modo che in quella sede si potesse tenere conto, insieme a tutte le opposizioni, della eventuale adesione dell'Ente sopravvenuta in termini ovvero del silenzio (o addirittura diniego, Trib. Palermo, 16 settembre 2021), con conseguente necessità di espressione del giudizio di cram down (Trib. Milano, 22 luglio 2021).

A valle della entrata in vigore del CCII sono stati registrati, come si accennava, alcuni orientamenti contrari a quello appena delineato, orientamenti dichiaratamente giustificati dalla interpretazione letterale delle nuove norme.

Si è ben consapevoli del fatto che cimentarsi con l'interpretazione di un nuovo corpo normativo genera sempre dubbi in ordine alla compatibilità o meno rispetto ad esso di prassi/orientamenti formatisi nel vigore della precedente disciplina.

Poiché tuttavia l'interpretazione di recente propugnata rischia di produrre come effetto una significativa limitazione dell'ambito di applicazione degli accordi di ristrutturazione (avuto riguardo sia alla tipologia di imprese che vi potrebbero far ricorso, sia alle dinamiche operative degli uffici che istruiscono le transazioni fiscali e ai relativi processi decisionali) appare necessario esaminarla, per verificare se essa sia davvero “necessitata” alla luce del dato testuale delle nuove norme o se, invece, nella sostanza possa concludersi che non molto è mutato rispetto al quadro normativo esistente prima del 15 luglio 2022.



Gli argomenti a fondamento della tesi della inammissibilità

Possibili criticità con riguardo al tema qui in esame sono state sollevate in dottrina (F. Lamanna, Il possibile conflitto negli accordi di ristrutturazione tra termine concesso a seguito di domanda con riserva e termine per aderire alla proposta di transazione fiscale, in questo portale, 14 febbraio 2023; in senso sostanzialmente conforme M. L. Manfredi, Sulla presunta antinomia dei termini per l'omologa di un accordo di ristrutturazione con proposta di transazione su crediti fiscali e contributivi”, in dirittodellacrisi.it, 17 aprile 2023) e in giurisprudenza (Trib. Catania, 19 gennaio 2023; Trib. Roma, 2 marzo 2023).

L'indagine ha preso generalmente le mosse dalla ritenuta incompatibilità tra i termini (da trenta a sessanta giorni non prorogabili) assegnabili a seguito di una domanda prenotativa in pendenza di domanda di liquidazione giudiziale e quelli (per legge più estesi) assegnati a Enti Fiscali e Previdenziali per riscontrare la proposta di transazione fiscale.

Essa rappresenta tuttavia una buona occasione per indagare il tema, più generale, della ammissibilità di una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione in assenza di preventivo perfezionamento di accordi con gli Enti cui essa è rivolta o quanto meno di consumazione del termine di novanta giorni assegnato dall'art. 63, 2° comma CCII per riscontrare la proposta.

Gli argomenti a favore della tesi della inammissibilità paiono muovere tutti da interpretazioni letterali delle norme contenute nel CCII:

  • l'art. 63, comma 1, CCII, in particolare, colloca formalmente la proposta di transazione fiscale nel quadro e nel periodo di tempo delle “trattative” che precedono la domanda di omologa degli accordi di ristrutturazione;
  • l'art. 57 CCII a sua volta lascia presupporre che già al momento in cui viene presentata la domanda di omologa degli accordi, questi ultimi si siano (tutti) già perfezionati, poiché la suddetta norma stabilisce che “sono soggetti ad omologazione” gli “accordi di ristrutturazione dei debiti… conclusi dall'imprenditore… con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti”;
  • data la possibilità di operatività del cram down, la definizione degli accordi “conclusi”, nel caso di transazione fiscale, dovrebbe “implicare verosimilmente l'inammissibilità di una domanda di omologa presentata prima ancora che il Fisco e/o gli Enti previdenziali abbiano potuto esprimersi sulla proposta transattiva” (Lamanna, op. cit.);
  • diversamente opinando, sarebbe compresso il diritto di Fisco ed Enti previdenziali di proporre opposizione nei trenta giorni dalla pubblicazione degli accordi e del Piano al Registro delle Imprese (così Trib. Catania 19 gennaio 2023).



Gli argomenti a favore della ammissibilità

Come accennato in premessa, l'orientamento restrittivo appena illustrato (che si candida a superare quello precedentemente maggioritario) sembra essersi generato in seguito all'entrata in vigore del Codice della Crisi dell'Impresa e dell'Insolvenza, per effetto di un'interpretazione letterale dell'articolo 57 CCII e delle altre norme richiamate.

In effetti, se si esaminano in chiave sinottica le norme che assumono rilevanza nel caso specifico, molto poco (anzi sostanzialmente nulla) appare cambiato con il CCII:

  • il riferimento alle “trattative” dell'art. 63, comma 1, CCII non è una novità, posto che l'art. 182-ter, comma 5, L. Fall. già prevedeva testualmente che “il debitore può effettuare la proposta di cui al comma 1 anche nell'ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182-bis”;
  • parimenti non è una novità il rifermento ad accordi “conclusi” contenuto all'art. 57 CCII, che nella sostanza equivale al concetto di “accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori” già contenuta all'art. 182-bis, comma1, L. Fall.

Anche se si esamina la meccanica procedimentale del giudizio di omologazione, poco sembrerebbe nella sostanza mutato se è vero come è vero che:

  • la domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione deve essere iscritta al Registro delle Imprese (così divenendo nota, insieme agli accordi e al piano con relativa attestazione, a tutti coloro che potrebbero avere interesse a proporre opposizione);
  • l'art. 48, comma 4, CCII prevede la possibilità di formulare opposizione all'omologa “entro trenta giorni dall'iscrizione della domanda nel registro delle imprese”, così come l'art. 182-bis, comma 4, L. Fall. prevedeva che “entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione”;
  • rispetto alla celebrazione del procedimento di omologa, l'art. 48, comma 4, CCII stabilisce come regola ciò che in precedenza era una mera eventualità (la fissazione dell'udienza), disponendo che “il tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale, se nominato, disponendo che il provvedimento sia comunicato, a cura del debitore, al commissario giudiziale, ai creditori e ai terzi che hanno proposto opposizione. Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio, e sentito il commissario giudiziale, omologa con sentenza gli accordi”;
  • oggi, come in passato, nessuna norma sul procedimento di omologa degli accordi di ristrutturazione impone tempistiche (formalmente o sostanzialmente) in contrasto con la prassi, invalsa presso numerosi tribunali nella vigenza della legge fallimentare, di attendere lo spirare del termine di novanta giorni assegnato dalla legge per l'accettazione della transazione fiscale/previdenziale, ai fini della operatività del cram down, prima di adottare il provvedimento sulla richiesta di omologa.

Alla luce di tali semplici rilievi non pare che vi sia un concreto argomento, munito di carattere di novità alla luce delle regole introdotte con il CCII, idoneo a giustificare un mutamento di orientamento giurisprudenziale rispetto a quello previgente.

Persino quello concernente la pretesa lesione del diritto di difesa degli Enti destinatari della proposta di transazione fiscale, in realtà, trova nell'art. 48, comma 4, CCII ancor più efficace confutazione, essendo pacifico che essi, ove non formalmente aderenti alla proposta loro diretta, sarebbero destinatari della notificazione del provvedimento di fissazione dell'udienza di omologa e potrebbero in quella sede svolgere ogni considerazione/difesa utile per indurre il tribunale a non operare il cram down.

Non vi è dunque nessuna novità normativa che induca ad adottare un orientamento tanto restrittivo in contrasto con quello precedentemente maggioritario (Trib. Milano23 gennaio 2007, in Fall., 2007, 701con nota di DUMUNDO; Trib. Milano, 3 febbraio 2022).

Per indagare quali siano le tempistiche e il segmento temporale entro cui gli Enti destinatari debbano manifestare la propria adesione (o non adesione) alla proposta di transazione fiscale, è necessario allora ricordare la struttura e la natura della procedura nel cui contesto si innesta la transazione fiscale.

Mancando uno schema legislativamente prefissato, gli accordi di ristrutturazione si delineano come contratti atipici (in questo senso INNOCENTI, D. Fall., 2007, 925; PROIETTI, D. Fall., 2008, II, 138); l'orientamento prevalente è quello che li considera quali unico atto a struttura plurilaterale con causa unitaria (si veda SCIUTO, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. Dir. Civ., 2009, I, 3), applicando per analogia la disciplina del contratto plurilaterale con comunione di scopo (sul punto cfr. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti e tutela dei creditori, in La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Scritti in onore di Lo Cascio, a cura di FABIANI e PATTI, Milano, 2006, Ipsoa, 293 ss; TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, Cedam, 576; BOGGIO, op. cit.,114; FRASCAROLI SANTI, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova, 2012, Cedam, cit. 559 ss. (ossia il superamento dello stato di crisi del debitore e il soddisfacimento dei creditori).

In quest'ambito si colloca la transazione fiscale che non funge da anticamera alla domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione, ma piuttosto ne è parte, qualificandosi in molti casi come l'accordo necessario (e decisivo) per il raggiungimento della percentuale minima del sessanta per cento prevista perché possa intervenire l'omologa.

Data la stretta connessione tra i due istituti, pare una forzatura il tentativo di porli esclusivamente in successione, necessaria, l'uno all'altro e non piuttosto di trattarli in modo organico e armonico all'interno del procedimento che porta all'omologa, quale momento cruciale e definitorio che, con forza di giudicato, cristallizza giudizialmente quanto pattuito tra debitore e creditori, Fisco compreso.

A sostegno di quanto espresso, occorre evidenziare che la percentuale del sessanta per cento di aderenti non costituisce un presupposto di ammissibilità della domanda ma piuttosto una condizione dell'omologazione: il che consente che questa possa formarsi e/o modificarsi anche nelle more della procedura, potendo intervenire ulteriori adesioni anche successivamente al deposito e alla pubblicazione e qualificandosi quindi come una fattispecie a formazione progressiva (Su tale posizione cfr. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2007, Giuffré, 897; DE CRESCIENZO-PANZANI, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, Ipsoa, 66), dove l'omologa rappresenterebbe l'ultimo elemento costitutivo (si veda Trib. Milano 23 gennaio 2007, in Fall., 2007, 701 con nota di DIMUNDO).

Ancor più significativi sono, ad avviso di chi scrive, i limiti di una interpretazione letterale restrittiva, quale quella che qui si contesta, se si procede secondo un approccio sistematico, che punta a valorizzare la ratio delle norme in esame e in generale della riforma.

Con l'introduzione del nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, il legislatore ha infatti chiaramente inteso privilegiare tutte le possibili forme di soluzione della crisi che consentissero di produrre un effetto deflattivo del carico dei tribunali.

Tra i vari istituti creati e/o potenziati, gli accordi di ristrutturazione dei debiti si candidano ad essere tra i più efficienti per un gran numero di crisi, proprio perché consentono di definirle con costi e tempi assai più contenuti e con un aggravio per il tribunale estremamente limitato, mediante accordi di stampo privatistico (che per definizione tengono in debita considerazione la volontà e gli interessi dei creditori, con minore assoggettamento a rigide regole di distribuzione del valore vigenti, ad esempio, nel concordato preventivo), anche ove si sia in presenza di un indebitamento fiscale/previdenziale da gestire in applicazione dell'art. 63 CCII, che consente di superare l'inerzia/lentezza degli Enti, quando la soluzione prospettata sia più conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale (e dunque in ultima analisi con effetto benefico sulle casse dello Stato).

Considerazioni conclusive

La Relazione Illustrativa dell'articolo 48 chiariva che la ratio della norma stessa era identificata nel “fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi”.

E in effetti un'ultima riflessione - che certamente conduce a concludere nel senso della ammissibilità della domanda di omologa di accordi di ristrutturazione anche quando non sia ancora decorso il termine di novanta giorni previsto dall'art. 63, comma 2, CCII - deve tenere ben presente la situazione concreta in cui si trovano ad operare tutte le parti interessate da un processo di risanamento.

Del tutto correttamente gli uffici preposti ad istruire le transazioni fiscali (cui va riconosciuto il merito di avere maturato negli ultimi tempi una nuova sensibilità, ciò che rende senz'altro anacronistico parlare di “ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate”) richiedono di avere il quadro assolutamente definito degli accordi complessivi, oltre che di ricevere il piano e l'attestazione finali, prima che formalmente decorra il termine di novanta giorni: il momento in cui tutti questi documenti hanno il livello di definizione richiesto è nei fatti di norma assai prossimo a quello del deposito della domanda di omologazione. Il che:

  • renderebbe, nella realtà concreta delle imprese in crisi (nella maggior parte dei casi), davvero difficile riuscire soddisfare il presupposto di ammissibilità creato dagli orientamenti giurisprudenziali che qui si contestano;
  • produrrebbe addirittura un effetto potenzialmente abrogante (come del resto le ripetute sentenze dimostrano) in tutti i casi in cui la domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione fosse preceduta da una domanda con riserva, in pendenza di istanza per la declaratoria di liquidazione giudiziale, proprio in ragione della non compatibilità tra i termini assegnabili dal tribunale e quelli riconosciuti ai destinatari della proposta di transazione fiscale per manifestare la loro volontà.

Poiché nessuna inammissibilità è sancita dalla legge nel Codice della Crisi, così come non lo era nella Legge Fallimentare, una interpretazione formalistica (tutt'altro che condivisibile) che affermi un principio contrario produrrebbe risultati diametralmente opposti agli obiettivi della riforma (con conseguenze assai gravi sia nel tessuto imprenditoriale, sia nella gestione della giustizia): si auspica pertanto il ritorno alla giurisprudenza già vigente in pendenza della Legge Fallimentare, che obiettivi e ratio delle norme in discussione aveva saputo valorizzare.

Il presente articolo è stato elaborato con il contributo di Virgilio Peduto e Francesca Redaelli che ringraziamo.

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