Consulenza preventiva con finalità conciliativa e responsabilità medica: analisi delle questioni processuali

16 Giugno 2023

Il contributo offre una panoramica sulle modalità e gli scopi della consulenza preventiva con finalità conciliativa in rapporto alla fondamentale questione del risarcimento danni per responsabilità medica. Vengono in luce anche il ruolo della compagnia di assicurazione, nonché la disciplina delle spese processuali.
Inquadramento generale

In virtù dell'istituto disciplinato dall'art. 696-bis c.p.c. è possibile richiedere al giudice che sia disposta una consulenza tecnica prima dell'inizio della causa di merito, anche in assenza dello stato di periculum in mora cui la legge condiziona la fruibilità dell'accertamento tecnico di cui al precedente art. 696 c.p.c.

Per l'ipotesi in cui il ricorso sia accolto e il giudice disponga la consulenza, è inoltre previsto che il consulente nominato tenti di conciliare le parti: in caso di esito positivo, il relativo accordo, racchiuso nel verbale conciliativo, costituisce titolo per ogni specie di esecuzione forzata. In caso di mancata conciliazione, all'opposto, è riconosciuta alle parti la facoltà di chiedere che la relazione del consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito, previa consueta valutazione giudiziale di ammissibilità e rilevanza.

L'istituto, come risulta dal testo della norma, è fruibile da chi si affermi portatore di un diritto di credito, sia questo derivante da obbligazione contrattuale o extracontrattuale.

In considerazione dell'espressa esclusione, sancita ex lege, della necessità di accertare la sussistenza del periculum in mora, si tende a escludere la natura cautelare dell'istituto, per annoverarlo, in una con la valorizzazione del suo scopo conciliativo, tra gli strumenti di alternative dispute resolution (M. Montanari, Brevi note sulla consulenza tecnica preventiva in funzione di composizione della lite (art. 696 bis c.p.c.) e sulle relative conseguenze d'ordine applicativo, in Giusto proc. civ., 2012, 701ss.; A.A. Romano, Il nuovo art. 696 bis c.p.c. tra mediation e anticipazione della prova, in Corr. giur., 2006, 405 ss.; A. Tedoldi, La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 2010, 805 ss.).

Per quanto riguarda il perimetro applicativo dello strumento, all'esperto, chiamato ad accertare e determinare i crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione delle obbligazioni che vengono fatte valere, possono essere domandate valutazioni inerenti esclusivamente alla quaestio facti, rimanendo dunque esclusa la possibilità di commettergli valutazioni di diritto, riservate al giudice.

Ancora, è discusso se, tra i presupposti di ammissibilità dell'istituto, debba figurare altresì una positiva delibazione circa l'ammissibilità e la rilevanza della consulenza tecnica richiesta in relazione alla materia del contendere: la considerazione per cui, in caso di fallimento del tentativo di conciliazione, la prova sia destinata al futuro processo di merito dovrebbero comunque far propendere per la soluzione affermativa (nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 30 giugno 2011, in Giur. it., 2012, 1108 ss.).

Infine, dalla circostanza per cui la stessa rubrica legis faccia riferimento all'esistenza di una "lite", dovrebbe discendere la necessità che, tra le parti, sia già in atto una controversia e, dunque, sussista già l'interesse ad agire nel merito: pertanto, nel caso in cui il giudice si avveda che siffatto interesse ad agire manchi, egli dovrà coerentemente negare la consulenza tecnica preventiva, quand'anche essa appaia ex ante ammissibile e rilevante (A.A. Romano, sub art. 696-bis, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, IV, 394 ss.).

La consulenza preventiva in tema di responsabilità sanitaria: la condizione di procedibilità

Una delle innovazioni introdotte dalla l. n. 24/2017, cd. "Gelli-Bianco", nel quadro della complessiva riforma del sistema di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, investe il giudizio civile di risarcimento del danno.

L'art. 8, l. 24 del 2017, stabilisce che “chi intende esercitare un'azione innanzi al giudice civile relativa a una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre ricorso ai sensi dell'articolo 696 bis del codice di procedura civile dinanzi al giudice competente. La presentazione del ricorso di cui al comma 1 costituisce condizione di procedibilità della domanda di risarcimento”.

In tale norma la dottrina rinviene un chiaro favor (D. Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica, in Riv. diritto processuale, 2019, 1472), per una combinazione di procedimenti, in buona parte modellata sull'art. 445 bis c.p.c., costituita dal procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c., al quale - in caso di mancato accordo - segue quello ex art. 702 bis c.p.c., destinato a chiudersi con pronuncia sul diritto al risarcimento del danno, idonea al giudicato sostanziale.

Anche la mediazione è idonea ad avverare - come, d'altronde, già previsto dall'art. 5, comma 1° bis, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 - la condizione di procedibilità; non così l'esperimento della negoziazione assistita.

Pur tuttavia, il ricorso alla mediazione appare meramente tollerato, posto che la disciplina sembra svilupparsi intorno al procedimento ex art. 696 bis c.p.c.

Ne è prova la circostanza che alla mediazione l'art. 8 non fa cenno se non nel comma 2, per far “salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 1° bis, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28”, senza in alcun modo regolamentare il rapporto tra quest'ultima e il giudizio di merito.

La centralità del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. emerge, altresì, nella circostanza che, soltanto ove si sia svolto proficuamente, tale procedimento, troverà applicazione e si prospetterà ragionevole l'imposizione (art. 8, comma 3) che l'eventuale prosecuzione in sede di merito dopo il fallimento della conciliazione avvenga con il procedimento sommario di cognizione, in luogo del rito ordinario, nonostante la complessità insita nella materia. Ciò in quanto la consulenza verrà di norma acquisita al processo di merito su mera istanza di parte e, stando all'interpretazione prevalente, senza neppure un vaglio giudiziale.

Un simile quadro non sembra trovare estensione all'ipotesi in cui il giudizio di merito sia preceduto dalla mediazione, pur ove il mediatore abbia scelto di avvalersi di esperti.

Nello scegliere il procedimento ex art. 696 bis c.p.c. quale condizione di procedibilità della domanda risarcitoria, il legislatore ha verosimilmente apprezzato la centralità della perizia medico-legale quale strumento utile a far percepire alle parti la consistenza delle loro ragioni in funzione della elaborazione di un accordo conciliativo che lo stesso perito contribuisce a favorire apprestando una “proposta”.

La scelta del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. si radica inoltre sull'idea, propria della disciplina generale sull'istituto dell'a.t.p. finalizzato alla conciliazione, secondo cui (v. comma 5) “se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito”. In sintesi, dunque: un procedimento pubblico giurisdizional-contenzioso, poiché affidato alla magistratura ordinaria e ad un perito-ausiliario-del-giudice, il cui operato trasmigra, senza alcuna perdita di valore istruttorio, nell'eventuale giudizio cognitorio sulla responsabilità.

Sicché, in questo differente contesto, a fronte di tali premesse e della diversa disciplina di cui all'art. 5, comma 1° bis, d.lgs. 28 del 2010, è lecito dubitare della obbligatorietà del rito sommario di cognizione per il susseguente giudizio di merito.

Si è evidenziato che il ricorso al procedimento di consulenza tecnica preventiva è ammissibile anche quando sia in discussione l'an debeatur (Trib. Venezia, 16 luglio 2018); per contro, esso è stato escluso laddove vi sia un radicale e profondo contrasto fra le parti sull'esistenza stessa del credito, quante volte l'accertamento richieda indagini complesse non solo in fatto, ma anche in diritto, involgendo questioni la cui soluzione non è possibile demandare al consulente tecnico (Trib. Cosenza, 13 gennaio 2021).

L'avveramento della condizione di procedibilità

Il giudice deve procedere a vagliare l'istanza ex art. 696 bis c.p.c., al fine di evitare un inutile allungamento dei tempi del processo, in particolare in caso di manifesta inammissibilità.

Tuttavia, tale affermazione intanto può ipotizzarsi senza ledere il diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto si accompagni alla conclusione che la condizione di procedibilità è da intendersi verificata anche a fronte della dichiarata inammissibilità o, se ritenuto possibile, del rigetto dell'istanza (G. Olivieri, Prime impressioni sui profili processuali della responsabilità sanitaria, in www.judicium.it 2017, § 3), tanto più qualora si ritenga che il giudice sia tenuto ad un rigido ed ampio vaglio di quest'ultima.

Di modo che, avverata la condizione, sarà il giudice del merito a valutare ogni questione rilevante per la decisione, nonché l'opportunità di dar luogo alla consulenza tecnica e/o di tentare la conciliazione.

In tal senso si è, del resto, già espressa la Suprema corte con riguardo all'accertamento tecnico preventivo di cui al su richiamato art. 445-bis c.p.c., sulla base dell'argomentazione per cui con la pronuncia giudiziale il procedimento è già giunto a conclusione (Cass., 11 settembre 2018, n. 21985)

Diversamente si verificherebbe una grave lesione del diritto d'azione, poiché a colui che abbia inteso proporre una domanda risarcitoria è negato l'accesso alla tutela giurisdizionale in via meramente sommaria e in sede conciliativa, senza poter ottenere una pur eventualmente analoga pronuncia di rigetto o inammissibilità nell'ambito di un processo a cognizione piena.

Potrebbe certo obiettarsi che il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità non privano la parte della tutela cui ha diritto, dal momento che essa potrebbe pur sempre, oltre che riproporre l'istanza ex art. 669 septies c.p.c. (U. Corea, I profili processuali della nuova legge sulla responsabilità medica: note a prima lettura, in www.judicium.it 2017, § 2.1), optare per il procedimento di mediazione ovvero avviare il procedimento a cognizione piena, nel corso del quale, come si vedrà, il giudice potrà ritenere non realizzata la condizione di procedibilità e fissare termine per provvedervi ex art. 8, comma 2, ult. periodo, cit.

Simili soluzioni, tuttavia, non risultano neutre sotto il profilo della salvezza degli effetti poiché, in caso di chiusura del procedimento che non implichi avveramento della condizione di procedibilità, il successivo atto che introduca la mediazione o il giudizio di merito non potrà giovarsi degli effetti dell'istanza precedentemente proposta. Sicché, potrà derivarne un ingiusto pregiudizio in caso di error giudiziale. Il rischio sarà, inoltre, un disincentivo all'utilizzo dell'istituto, poiché ogniqualvolta l'istante nutra un dubbio sulla fondatezza ovvero sulla ammissibilità della consulenza tecnica, farà precedere l'azione di merito dalla mediazione o proporrà direttamente la domanda di merito.

Nel primo caso senza dubbio ne risulterebbe frustrata la ratio legis, che ha inteso privilegiare il ricorso alla consulenza tecnica preventiva, coniugandovi la funzione conciliativa e coordinandovi una forma semplificata di giudizio di merito; nel secondo sembra ipotizzabile che frequentemente il passaggio per il tramite della consulenza a giudizio ormai pendente risulterà limitato alla componente tecnica e non anche a quella conciliativa (D. Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica, in Riv. diritto processuale, 2019, 1472).

Discorso a parte merita l'ipotesi in cui nel procedimento conciliativo non si presentino le parti chiamate e la cui partecipazione è, peraltro, rigidamente sanzionata dall'art. 8, comma 4, l. n. 24/2017.

Si è ipotizzato che la contumacia del convenuto non sia idonea a impedire la nomina del consulente tecnico, in considerazione della possibilità che questi proceda allo svolgimento dell'incarico e depositi la relazione tecnica da acquisirsi nel successivo giudizio, pur non potendosi perseguire la finalità conciliativa (F. Cuomo Ulloa, Risoluzione alternativa delle controversie in materia di responsabilità sanitaria: le novità della legge Gelli - I Parte, in Resp. 2018, 656).

Anche in tal caso, ove dovesse concludersi diversamente, nel senso della chiusura in rito del procedimento, non potrebbe che ritenersi avverata la condizione.

La salvezza degli effetti processuali

In virtù dell'art. 8, comma 3, l. n. 24/2017 la presentazione del ricorso ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c. entro il termine ivi indicato consente di conservare “gli effetti della domanda”. In particolare, il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. deve essere depositato entro novanta giorni dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi ovvero dalla comunicazione del deposito della relazione peritale o del provvedimento d'inammissibilità o di rigetto.

In virtù della diversa formulazione della norma rispetto a quanto previsto in punto di domanda di mediazione dal comma 6 dell'art. 5 d.lgs. 28/2010, si è concluso che venga qui prevista la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale e non soltanto di quelli legati alla prescrizione e decadenza (I. Pagni, Dal tentativo di conciliazione al ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, a cura di F. Gelli, M. Hazan e D. Zorzit, Milano 2017, 456).

La dottrina ha evidenziato come il risultato premiale della tempestiva proposizione del giudizio di merito non attenga all'effetto interruttivo della prescrizione: quest'ultimo è collegato dalla prevalenza degli studiosi alla notifica del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., sicché resterà fermo anche in caso di mancato tempestivo avvio del giudizio di merito (M. Adorno, Il nuovo 'filtro' dell'art. 696 bis c.p.c. in materia di responsabilità sanitaria, in I profili processuali della nuova disciplina sulla responsabilità sanitaria, a cura di A.D. De Santis, Roma 2017, 127).

La norma, invece, assume un significato pregnante ove riferita all'impedimento della decadenza e all'effetto interruttivo permanente, impedendo il decorrere del termine di prescrizione, interrotto dalla notifica del ricorso ex art. 696 bis c.p.c. (anziché dell'atto introduttivo del giudizio di merito), fino alla pronuncia della decisione del giudizio di merito.

Per la giurisprudenza di merito il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato tardivamente è procedibile, ancorché i suoi effetti sostanziali e processuali (interruzione della prescrizione, impedimento della decadenza, determinazione della giurisdizione e della competenza ex art. 5 c.p.c.) siano destinati a prodursi ex nunc e non dal momento in cui era stato depositato il prodromico ricorso ex art. 696 bis c.p.c. (Trib. Lucca, 22 novembre 2021). Per altro verso, il ritardo non incide in alcun modo sull'utilizzabilità della consulenza tecnica già espletata. Pertanto, nel caso di specie, una volta che l'elaborato peritale sia ritenuto esauriente e ben articolato, non è ravvisabile nemmeno la necessità di ulteriori incombenti istruttori, tali da giustificare l'abbandono del rito sommario di cognizione, come pure è risultata del tutto superfluo la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio. Proprio sulla scorta degli elementi di valutazione offerti dal citato elaborato, il giudice ritiene la causa matura per la decisione.

Sembra, più in generale, che a prescindere dagli effetti ab origine legati al ricorso ex art. 696 bis c.p.c., il continuum tra i due procedimenti rappresenti una fictio iuris scelta dal legislatore e incentivata con un sistema premiale di anticipazione degli effetti della domanda, nella convinzione di assicurare una durata ragionevole e un procedimento più efficiente, pur se non ci si trova in presenza di un giudizio unitario e bifasico, instaurato con il ricorso ex art. 696 bis e proseguito con quello ex art. 702 bis c.p.c.

In tal senso va letta la disciplina in esame, là dove fa “salvi” (impropriamente, poiché la salvezza ne presuppone l'esistenza) gli “effetti della domanda” e non, invece, del ricorso ex art. 696 bis c.p.c.

D'altronde, si è giustamente rilevato come l'anticipazione degli effetti risponda, prima ancora che ad una logica premiale, ad una necessità di ordine costituzionale, dovuta al carattere obbligatorio del procedimento.

Non appare, allora, ragionevole ritenere che l'effetto salvifico sia escluso dall'erronea introduzione del giudizio di merito con citazione ordinaria, sul fondamento del riferimento testuale al ricorso ex art. 702 bis c.p.c. contenuto nell'art. 8, comma 3, l. n. 24/2017.

Occorre, soltanto, individuare in questo diverso contesto quale sia l'adempimento che deve essere compiuto entro il suddetto termine di novanta giorni per assicurare la salvezza degli effetti. Ricordando l'orientamento della Suprema corte, per il quale ove la parte erri nella individuazione dell'atto, proponendo ricorso in luogo della citazione o viceversa, l'atto erroneamente proposto può produrre gli effetti di quello che avrebbe dovuto essere compiuto ove, nel termine, sia rispettata la formalità prevista per il corretto rito (Cass., 13 settembre 2018, n. 22256), deve concludersi che nel termine di novanta giorni debba essere depositato l'atto di citazione (G. Trisorio Liuzzi, La riforma della responsabilità professionale sanitaria. I profili processuali, in Giusto proc. civ. 2017, 675).

Resta fermo, ancora una volta, il potere del giudice adito di disporre la conversione in rito sommario, come concessogli in generale dall'art. 183 bis c.p.c.

È, inoltre, da escludere che al decorso del suddetto termine di novanta giorni possa collegarsi una sanzione ulteriore rispetto alla perdita degli effetti della domanda. Pertanto, realizzata la condizione di procedibilità, la proposizione della domanda è da ammettersi anche oltre il suddetto termine di novanta giorni, senza che ci si possa più giovare del su richiamato beneficio (D. Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica, in Riv. diritto processuale, 2019, 1478).

Va, infine, valutata l'eventualità che si verifichi una ulteriore deviazione dal modello legale ipotizzato dal legislatore nell'art. 8 cit. Il comma 3, infatti, prevede testualmente che il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. è depositato presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1.

Ove si consideri che il ricorso, in virtù dell'art. 693 c.p.c., va proposto al giudice competente per il merito, individuato secondo i normali criteri di valore e territorio, in mancanza di una competenza per materia, sulla domanda in esame sarà competente tanto il tribunale quanto il giudice di pace.

Dalla premessa che ex art. 702 bis c.p.c. il procedimento sommario è esperibile limitatamente alle «cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica», ove non si ritenga che l'art. 8, comma 2, cit. sia idoneo a derogare a quella disciplina, dovrebbe derivare che non sia possibile depositare il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. presso il giudice di pace.

Ove tale interpretazione dovesse radicarsi nella prassi, sarà necessario addivenire ad una lettura correttiva, in virtù della quale la parte, per preservare gli effetti della domanda, è tenuta ad avviare il giudizio di merito dinanzi al giudice di pace secondo le norme procedimentali applicabili: pertanto, nel termine di novanta giorni dovrà provvedere alla notifica dell'atto di citazione a comparire dinanzi a tale giudice (D. Dalfino, Il processo civile per responsabilità medica: condizioni di procedibilità e riparto dell'onere della prova, in www.questionegiustizia.it, 17 settembre 2018, § 8 e 14).

La mancata proposizione del ricorso: le conseguenze

E' necessario verificare quali sono le conseguenze nel caso la domanda risarcitoria sia proposta senza che si sia realizzata quella che l'art. 8, comma 2, l. n. 24/2017 testualmente qualifica “condizione di procedibilità”.

Il legislatore prospetta tale difetto come sanabile o per mancato rilievo, da parte del convenuto o del giudice, ovvero attraverso il suo rilievo e la fissazione di un termine per integrare l'attività processuale.

Sotto il primo profilo, l'improcedibilità “deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza”.

Il che implica che, nel caso in cui siano mancate l'eccezione o il rilievo, il processo potrà proseguire e il giudice valuterà more solito la necessità di disporre la consulenza tecnica o di procedere ad un tentativo di conciliazione.

Sotto il secondo, il giudice, ove rilevi che il procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c. non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, “assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell'istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento”.

Sicché, nonostante la lettera dell'incipit del comma 2 dell'art. 8 cit., la mera “presentazione del ricorso” ex art. 696 bis c.p.c. non è sufficiente a consentire la prosecuzione del giudizio, ove il procedimento non sia espletato ovvero concluso.

Diversamente da quanto previsto dall'art. 5, comma 1 bis, d.lgs. 28 del 2010 per la mediazione, qui non è imposto al giudice del merito di fissare un'udienza successivamente al decorso del termine perentorio di sei mesi. E d'altronde, neppure vi è una norma analoga all'art. 6 di quest'ultima legge, che contempli la durata del procedimento preventivo.

Applicando letteralmente il comma 3 dell'art. 8 l. n. 24/2017, alcuni studiosi hanno concluso che, avverata la condizione in pendenza del giudizio di merito, la parte dovrà proporre un nuovo ricorso ex art. 702 bis c.p.c. nel termine di novanta giorni, il quale rappresenterà atto di impulso dell'originario procedimento instaurato (A. Bernardi, La conciliazione, in Aa. Vv., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria. Commentario alla legge 8 marzo 2017, n. 24, Roma 2017, 117).

Così configurato il procedimento, la mancata o tardiva proposizione del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. determina l'estinzione del processo di merito per inattività qualificata delle parti ai sensi dell'art. 307, comma 3, c.p.c.

Sembra, tuttavia, che tale duplicazione di attività, idonea a condurre ad una chiusura anomala del processo di merito, non sia necessaria e che, invece, possa trovare applicazione analogica la disciplina predisposta in tema di mediazione (art. 5, comma 1 bis, cit.) al fine di colmare una lacuna normativa (D. Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica, in Riv. diritto processuale, 2019, 1481).

Va, infatti, rilevato che, nella situazione in esame, appare inapplicabile la disposizione di cui all'art. 8, comma 3, l. 24/2017, nella misura in cui impone la proposizione del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. successivamente alla conclusione del procedimento deflattivo, ostandovi ragioni tanto letterali quanto teleologiche. La previsione in parola, infatti, fa riferimento espressamente al ricorso ex art. 696 bis c.p.c. e non all'istanza presentata dinanzi al giudice davanti al quale si sta svolgendo la controversia nel merito; si tratta, poi, di norma che disciplina la salvezza degli effetti nel passaggio tra il procedimento introdotto da quel ricorso e il successivo giudizio di merito ex art. 702 bis c.p.c.

Pertanto, si è ipotizzato in dottrina che, ove alla prima udienza sia rilevata la mancanza della condizione di procedibilità, il giudice non si limiti ad assegnare alle parti il termine di quindici giorni ma debba fissare una nuova udienza (P. Licci, Il nuovo accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle controversie previdenziali: l'occasione mancata per l'ottenimento rapido di un titolo esecutivo?, in www.judicium.it 2015, § 4) oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento di consulenza tecnica, ovvero, ove ritenuto ammissibile, di mediazione.

Di tal guisa, non vi è motivo di ritenere che medio tempore il processo di merito risulti sospeso: nulla è previsto in tal senso, diversamente da quanto avveniva nell'abrogato art. 412 bis c.p.c., in punto di mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio in materia di lavoro; è assegnato un termine per la presentazione di un'istanza dinanzi allo stesso giudice della cognizione; è, infine, già fissata una successiva udienza, nell'ambito della quale, ove sia concluso il procedimento conciliativo senza accordo, il processo proseguirà il suo corso, senza necessità che vi sia la proposizione di un ulteriore ricorso o di una riassunzione del processo (F. Cuomo Ulloa, Risoluzione alternativa delle controversie in materia di responsabilità sanitaria: le novità della legge Gelli - I Parte, in Resp. 2018, 667 e nota 125).

Qualora il giudizio di merito fosse stato promosso nelle forme ordinarie, il giudice potrà anche disporre il mutamento del rito ai sensi dell'art. 183 bis c.p.c.

Va, invece, rilevato che la disciplina nulla prevede in ordine all'ipotesi in cui difetti l'istanza della parte nel termine di quindici giorni.

Occorre premettere che la prevalente dottrina ritiene che il termine di quindici giorni non sia perentorio (G. Trisorio Liuzzi, La riforma della responsabilità professionale sanitaria. I profili processuali, in Giusto proc. civ. 2017, 677).

Se tale premessa sia corretta, potrebbe concludersi nel senso che l'inadempimento non abbia rilievo alcuno, sicché il giudice, a fronte del decorso del termine di (tre o) sei mesi, dovrebbe intendere avverata la condizione e procedibile la domanda. Tuttavia, una simile conclusione sembra infrangersi contro la ratio della riforma, trasformando una condizione di procedibilità in un mero e verosimilmente infruttuoso allungamento dei tempi processuali.

Appare, allora, corretto concludere nel senso che la mancata presentazione dell'istanza rilevi, non già con riguardo al decorso del termine di quindici giorni, ma nella successiva udienza fissata dal giudice al fine della prosecuzione del procedimento di merito.

Nell'ipotesi in cui il giudice rilevi che il procedimento ex art. 696 bis c.p.c. non sia neppure iniziato dovrà fissare il suddetto termine di quindici giorni e una udienza oltre i sei mesi dalla scadenza di tale termine. Ove neppure in quest'udienza consti l'avvio (pur tardivo) del procedimento che invera la condizione di procedibilità, dovrebbe dichiararsi la improcedibilità della domanda con provvedimento definitivo, ancorché inidoneo a precludere la riproposizione della stessa (M. Ragni, La nuova condizione di procedibilità ex art. 696-bis c.p.c. delle controversie di responsabilità medico-sanitaria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2019, 278).

Nell'ipotesi in cui, invece, il giudice rilevi la mancata conclusione del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. (id est la proposizione del giudizio di merito anteriormente al decorso di sei mesi) dovrà fissare il termine per la presentazione dell'istanza “di completamento” dinanzi a sé e una udienza oltre il termine di sei mesi decorrente, però, dalla proposizione dell'originario ricorso ex art. 696 bis c.p.c. Tale procedimento è, infatti, ancora in corso e non ha subito arresto alcuno, potendo le parti avere ancora interesse alla sua conclusione, sicché la stessa imposizione di un simile adempimento si presenta piuttosto insensata.

In questa ulteriore udienza, posto che il decorso del termine di sei mesi rende procedibile la domanda, il procedimento di merito dovrebbe sempre proseguire, senza che rilevi la mancata proposizione dell'istanza di completamento.

L'azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa

Una questione particolarmente dibattuta è quella relativa alla possibilità per il ricorrente di convenire direttamente nel giudizio per A.T.P. la compagnia assicurativa della struttura sanitaria, attraverso l'azione diretta introdotta e disciplinata per la prima volta nell'ambito della responsabilità medica dalla legge Gelli-Bianco.

L'art. 8, comma 4, della l. n. 24/2017 prevede espressamente che alla procedura di A.T.P. debba necessariamente partecipare anche la compagnia di assicurazioni della struttura ospedaliera e/o del sanitario, che - peraltro - è pure onerata di formulare una proposta risarcitoria o di indicare i motivi per cui non ritiene di non formularla.

Oltre a questa norma, il successivo art. 12 prevede la possibilità per il danneggiato di agire direttamente nei confronti della compagnia di assicurazioni, specificando però che nel giudizio così promosso sono litisconsorti necessarie anche le parti assicurate (la struttura ospedaliera e/o il sanitario).

L'efficacia di quest'ultima norma è tuttavia subordinata dall'adozione dei decreti ministeriali di cui all'art. 10, comma 6, l. n. 24/2017, ad oggi non ancora avvenuta.

Dunque, l'azione diretta non sarebbe ancora possibile.

Al riguardo si pone un primo orientamento che si fonda sul presupposto per cui i soggetti che debbono partecipare al procedimento di accertamento tecnico preventivo sono gli stessi nei cui confronti il danneggiato intende esperire la azione di merito volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti. Pertanto, in considerazione del fatto che - ai sensi della legge Gelli-Bianco - la domanda risarcitoria di merito può essere esperita nei confronti della struttura sanitaria e/o del professionista sanitario nonché direttamente nei confronti delle rispettive compagnie assicurative ed in considerazione altresì del fatto che la suddetta azione diretta nei confronti della compagnia assicurativa potrà applicarsi soltanto dopo che verrà emanato ed entrerà in vigore il decreto ministeriale che individua i requisiti minimi che dovranno avere le polizze assicurative, attualmente il danneggiato può introdurre il giudizio di merito volto al risarcimento dei danni soltanto nei confronti della struttura o del professionista sanitario, ma non nei confronti della compagnia assicurativa. Conseguentemente l'impossibilità di agire direttamente nei confronti delle compagnie assicurative vale attualmente anche relativamente al giudizio per ATP.

Altro orientamento, invece, ammette la possibilità di agire direttamente nei confronti delle compagnie assicurative della struttura e del professionista sanitario limitatamente al procedimento per accertamento tecnico preventivo (nonostante tale azione diretta non sia ancora esercitabile nel giudizio di merito, fintanto che non verrà emanato il già citato decreto ministeriale). Ciò in considerazione del fatto che per garantire la tipica funzione conciliativa del procedimento è necessario che partecipino al medesimo anche le compagnie assicuratrici interessate nonché del fatto che tale necessaria partecipazione risulta anche dalla stessa lettera della legge Gelli-Bianco, secondo cui le assicurazioni sono parti del suddetto procedimento ed anzi sulle medesime grava anche l'obbligo di formulare una proposta conciliativa.

Inoltre, militano a favore dell'ammissibilità dell'esercizio dell'azione diretta in sede di A.T.P anche il fatto che tale procedimento si distingue dalla mediazione (la quale ha anch'essa finalità conciliativa ed è prevista dalla stessa legge Gelli-Bianco come alternativa rispetto al procedimento in esame) proprio in ragione del fatto che in via generale le compagnie assicurative non vengono coinvolte nella mediazione (a differenza di quanto accade nel procedimento per accertamento tecnico preventivo), nonché il fatto che nel giudizio di merito venga previsto l'obbligo a carico del giudice di condannare, indipendentemente dall'esito del giudizio medesimo, al pagamento delle spese legali e ad una pena pecuniaria - a vantaggio di coloro i quali hanno partecipato al procedimento per ATP - il soggetto che invece non vi abbia partecipato (Trib. Verona, 10 maggio 2018).

Pertanto, al procedimento per accertamento tecnico preventivo previsto dalla legge Gelli-Bianco debbono partecipare tutti coloro i quali vengano individuati dalla ricorrente come soggetti tenuti a risarcire i danni derivanti dall'evento di malpractice medica e pertanto tutte le parti del futuro ed eventuale giudizio di merito (Trib. Benevento, 24 ottobre 2018).

Dunque, l'azione diretta non sarebbe ancora possibile ma, nonostante ciò, la giurisprudenza di merito richiamata ha ritenuto comunque sussistente la legittimazione passiva della compagnia di assicurazioni nel caso di azione diretta del danneggiato.

La ratio si fonda sulla base del principio di economia processuale, osservando che nell'ipotesi in cui la compagnia di assicurazioni non fosse parte del procedimento, la consulenza ivi esperita non le sarebbe opponibile, con l'ovvia conseguenza che in un eventuale (e successivo) giudizio di merito che vedesse convenuto anche l'assicuratore la prova dovrebbe essere ripetuta.

Rebus sic stantibus si delineerebbe un quadro ove l'accertamento tecnico preventivo già oggi può essere promosso direttamente contro l'assicuratore, mentre per il giudizio di merito la legittimazione passiva della compagnia di assicurazioni scatterebbe solo con l'adozione dei decreti di cui all'art. 10, comma 6, l. n. 24/2017.

Tuttavia, deve segnalarsi che una soluzione siffatta è portatrice di conseguenze contraddittorie: l'accertamento tecnico preventivo può essere sin da subito promosso verso l'assicuratore mentre nel giudizio di merito, non essendo (ancora) possibile l'azione diretta (per assenza di decreti attuativi), l'attore dovrebbe aspettare (e confidare) che sia la struttura ospedaliera convenuta a chiedere la chiamata in giudizio della compagnia di assicurazioni.

Inammissibilità del ricorso per consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. proposto in corso di causa

La giurisprudenza di merito ha affrontato la questione circa l'ammissibilità del ricorso per consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. proposto nelle more di un giudizio già pendente tra le stesse parti e avente lo stesso oggetto, concludendo per soluzione negativa per mancanza del presupposto logico-giuridico sotteso all'istituto, ossia l'esigenza di prevenire l'insorgenza di una controversia giudiziale (Trib. Lucca, 21 gennaio 2022).

A questo proposito, l'indirizzo dominante nella giurisprudenza di merito tende proprio a valorizzare la ratio deflattiva dell'istituto, quale strumento di composizione della lite che precede e previene l'instaurazione del giudizio di merito, giungendo conseguentemente a negare la possibilità di ricorrere allo stesso nel caso in cui la causa di merito sia già stata introdotta. In tal caso, infatti, l'esigenza di prevenire l'insorgenza della controversia giudiziale, sottesa all'istituto ex art. 696 bis c.p.c., non può più trovare realizzazione (così, Trib. Santa Maria Capua Vetere, 11 luglio 2011; Trib. Padova 9 maggio 2018).

La reclamabilità della ordinanza di rigetto del ricorso ex art. 696 bis c.p.c.

La questione della ammissibilità del reclamo avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. ha dato luogo a soluzioni diametralmente opposte tra la giurisprudenza di legittimità e quella di merito: da un lato, il prevalente indirizzo dei giudici di merito che ritiene inammissibile il reclamo avverso il provvedimento de quo (Trib. Reggio Emilia, 20 febbraio 2020; Trib. Taranto, 4 dicembre 2013, Trib. Reggio Emilia, 19 gennaio 2012; Trib. Torino, 15 settembre 2008; Trib. Mantova, 3 luglio 2008); dall'altro, la Corte di cassazione che ammette apertis verbis la sua reclamabilità (Cass., sez. III 26 settembre 2019, n. 23976).

L'istituto della "consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite", così come introdotto dalla l. 14 maggio 2005, n. 80 all'art. 696 bis c.p.c., non prevede uno specifico rimedio avverso il provvedimento che rigetta l'istanza per la sua ammissione.

Si è così posta la questione intorno al possibile utilizzo dello strumento del reclamo "cautelare", previsto dall'art. 669 terdecies c.p.c., anche avverso i provvedimenti di rigetto del ricorso ex art. 696 bis c.p.c.

Le persistenti difficoltà interpretative sono imputabili soprattutto alla circostanza che l'art. 695 c.p.c. prevede che sul ricorso per istruzione preventiva il giudice provvede "con ordinanza non impugnabile". A ciò si aggiunga che l'art. 669 quaterdecies c.p.c. dispone che, tra le disposizioni regolanti il procedimento cautelare uniforme (669 bis e segg. c.p.c.), solo l'art. 669 septies c.p.c. è applicabile all'istruzione preventiva; il che impedisce, almeno ad una prima lettura, la proponibilità del rimedio ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso i provvedimenti con cui il giudice accolga o rigetti l'istanza ex art. 696 bis c.p.c.

Tra gli ostacoli che si frappongono all'ammissibilità del reclamo nei confronti dei provvedimenti de quibus, però, quello sicuramente più dibattuto è rappresentato dall'asserita assenza nella consulenza tecnica preventiva delle condizioni richieste di cui all'art. 696 c.p.c. (in particolare, il periculum in mora), attesa la presunta natura non cautelare dell'istituto.

In effetti, il vero "spartiacque" tra le opposte tesi sulla reclamabilità dei provvedimenti di rigetto del ricorso ex art. 696 bis c.p.c. si concentra sul difetto di quei caratteri "cautelari" che la Corte costituzionale, con la sentenza 16 maggio 2008, n. 144, ha invece ravvisato nei provvedimenti di rigetto di altri mezzi di istruzione preventiva. In tale occasione, la Consulta ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 669 quaterdecies e 695 c.p.c. nella parte in cui non prevedono la facoltà di esperire reclamo contro le ordinanze di rigetto (e non già di accoglimento) dell'istanza per l'assunzione preventiva di testimonianze (art. 692 c.p.c.) e di quella per l'accertamento tecnico ed ispezione giudiziale (art. 696 c.p.c.).

Pertanto, se grazie al suddetto intervento della Corte costituzionale non possono più esservi dubbi sulla reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'accertamento tecnico preventivo (696 c.p.c.), altrettanto non può dirsi per quelli di mancato accoglimento della consulenza tecnica preventiva (696 bis c.p.c.), ove il dibattito è rimasto aperto e si è concentrato soprattutto sugli effetti della sentenza della Consulta rispetto all'istituto della consulenza tecnica preventiva (G. M. Sacchetto, La reclamabilità del diniego di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in Giur. italiana, 2020, 647).

La soluzione negativa poggia sui seguenti passaggi argomentativi:

a) i mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento hanno natura tassativa e non è quindi consentito alle parti l'impiego di strumenti diversi da quelli espressamente previsti;

b) nella sentenza n. 144/2008 della Corte Costituzionale è stato ammesso il reclamo avverso il diniego di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c. sulla base di una motivazione interamente fondata non solo sull'esigenza, determinata dall'urgenza, di assumere il mezzo istruttorio ante causam, ma anche sul pregiudizio che un erroneo diniego potrebbe procurare alla parte istante, ledendo il suo diritto a una tutela effettiva in seguito alla dispersione della prova;

c) stando all'inequivoco dato testuale normativo, la consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., diversamente da quanto accade nel caso dell'articolo 696 c.p.c., non è caratterizzata da alcuna urgenza, né vi è pericolo di dispersione della prova ed il requisito del periculum in mora non deve pertanto essere accertato dal giudice.

Sulla base di tali premesse, dunque è esclusa la possibilità di estendere i principi affermati dalla Consulta con la richiamata sentenza del 2008 al caso del provvedimento di rigetto della richiesta di CTU preventiva ex art. 696 bis c.p.c.

Il contrario orientamento di legittimità poggia sulla natura cautelare della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c.: è ben possibile estendere quanto affermato dalla Consulta nella già ricordata sentenza n. 144/2008 al caso di rigetto (o comunque di non accoglimento, ad es. inammissibilità) della istanza per l'ammissione di consulenza tecnica preventiva.

I giudici di legittimità espressamente affermano che, pur difettando nella consulenza tecnica preventiva il presupposto del periculum in mora, la disciplina dettata dagli artt. 692-699 c.p.c. non esclude comunque "la natura cautelare delle relative misure", anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la successiva sentenza 28 gennaio 2010, n. 26.

In questa prospettiva, inoltre, la Corte di Cassazione ritiene che la natura del provvedimento ex art. 696 bis c.p.c. debba intendersi "latamente cautelare", atteso che il suo espletamento può essere richiesto "anche" in caso di urgenza, come si ricava dallo stesso tenore letterale dell'art. 696 bis c.p.c.

Di seguito, gli ulteriori argomenti impiegati a sostegno dell'ammissibilità del reclamo avverso i provvedimenti di rigetto della consulenza tecnica preventiva:

a) innanzitutto, il rimedio del reclamo è compatibile anche con il rito previsto per provvedimenti non cautelari, come dimostra la generale disposizione dell'art. 739 c.c. in tema di procedimenti in camera di consiglio;

b) inoltre, l'art. 696 bis c.p.c., al 1° comma, secondo periodo, prevede che il giudice provveda "a norma dell'art. 696 c.p.c., comma 3" che, a sua volta, rinvia anche all'art. 695 c.p.c., cioè proprio alla disposizione dichiarata incostituzionale dalla Consulta nella sopra richiamata sentenza n. 144/2008.

Anche alla luce di tali rilievi, la Suprema Corte ritiene, quindi, del tutto irragionevole l'esclusione della reclamabilità del provvedimento di rigetto del ricorso ex art. 696 bis c.p.c., chiarendo peraltro che quest'ultimo è reclamabile anche in relazione alla sola statuizione sulle spese processuali.

Il regime delle spese

Con ordinanza del 21 maggio 2020, il Tribunale di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 8 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A) e 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie) nonché degli artt. 91, 669-quaterdecies e 669 septies c.p.c., per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 32 Cost., nella misura in cui escludono che il giudice possa addebitare, totalmente o parzialmente, a una parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi, dell'attività del collegio nominato per lo svolgimento della consulenza tecnica d'ufficio nel procedimento di cui agli artt. 696 bis c.p.c. e 8 della legge n. 24 del 2017, che ha reso tale procedimento condizione di procedibilità della domanda giudiziale di merito.

Il rimettente precisava che la questione di legittimità costituzionale sottoposta all'esame della Corte non aveva ad oggetto l'intero regime delle spese processuali conseguenti all'espletamento del procedimento di cui agli artt. 8 della legge n. 24 del 2017 e 696-bis c.p.c., ma solo gli esborsi connessi al costo della CTU, identificabili nel compenso del collegio peritale e nelle spese vive sostenute. E all'uopo ha esposto che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 28 aprile 1989, n. 2021), la pronuncia di condanna alle spese avrebbe potuto essere emessa anche con interlocutio nel corso del giudizio, anziché con sententia e, quindi, prescindendo dalla soccombenza della parte in punto di merito.

Pertanto, in base all'ordinanza di rimessione, l'art. 8 della legge n. 24 del 2017 era censurato nella parte in cui avrebbe impedito la condanna al pagamento delle spese della consulenza tecnica, come spese processuali, già al termine del procedimento di consulenza tecnica preventiva, tenendo conto dell'esito favorevole al ricorrente, senza che la loro regolamentazione debba essere necessariamente differita all'esito del successivo giudizio di merito sulla pretesa risarcitoria. E ciò tenuto conto del precedente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la pronuncia sulle spese processuali, all'esito del procedimento di consulenza tecnica preventiva, sarebbe "abnorme" (Cass., sez. VI, 22 ottobre 2018, n. 26573), essendo, in ogni caso, la regolamentazione delle spese processuali differita all'esito del giudizio di merito avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria sulla base del criterio della soccombenza.

La Corte Costituzionale con la sentenza 5 maggio 2021, n. 87 ha dichiarato la non fondatezza, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 2017, n. 24, nella parte in cui escludono che il giudice possa addebitare, totalmente o parzialmente, a una parte diversa da quella ricorrente, il costo, comprensivo di compensi ed esborsi, dell'attività del collegio nominato per lo svolgimento della consulenza tecnica d'ufficio nel procedimento di cui agli artt. 696 bis c.p.c. e 8 della legge n. 24/2017, che ha reso tale procedimento condizione di procedibilità della domanda, poiché, in assenza di un accordo tra le parti, il giudice non avrebbe un criterio per regolare tali esborsi come spese processuali, mancando in questa fase una vera e propria soccombenza, quali che siano le conclusioni dell'elaborato peritale, con la conseguenza che il differimento della regolamentazione delle spese processuali, comprensive delle spese della consulenza tecnica, all'esito del giudizio di merito avente ad oggetto la pretesa risarcitoria è giustificato e non crea un ostacolo, eccessivo e rigido, idoneo a pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale.

In via preliminare, la Corte ha circoscritto l'oggetto delle questioni all'art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 24/2017, ossia alla disciplina della introdotta consulenza tecnica preventiva quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria. Infatti, le altre disposizioni, seppure parimenti indicate come censurate, sono state in realtà richiamate al solo fine di illustrare il più ampio contesto normativo nel quale si colloca la fattispecie oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale. Cosicché, ha osservato il giudice delle leggi, le censure mosse dal rimettente, riguardanti, in particolare, l'onere del costo della consulenza peritale, si sono appuntate sul regime delle spese processuali relative all'accertamento tecnico preventivo in esame, quale deve considerarsi anche la consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 8 della legge n. 24/2017, e non invece sulla regola dell'anticipazione delle spese della consulenza tecnica ex art. 8 del d.P.R. n. 115/2002, avendo il giudice già provveduto in proposito facendo applicazione di tale disposizione, né sulla liquidazione, con decreto, delle spettanze ai consulenti d'ufficio ai sensi dell'art. 168 del d.P.R. n. 115/2002.

Sotto questo profilo - quello della regolamentazione delle spese processuali - viene in rilievo l'art. 669-quaterdecies c.p.c. che stabilisce, tra l'altro, che ai procedimenti di istruzione preventiva, e quindi anche alla consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696-bis c.p.c. e a quella di cui all'art. 8 della legge n. 24 del 2017, si applica altresì l'art. 669-septies c.p.c., secondo cui il giudice provvede definitivamente sulle spese processuali in caso di ordinanza di incompetenza o di rigetto, che comprende anche l'ipotesi dell'inammissibilità della domanda; ossia casi in cui l'accertamento tecnico preventivo non ha luogo. Da ciò discende che in tutti gli altri casi - ossia quando invece ha avuto normalmente corso l'accertamento tecnico preventivo previsto dalla disposizione censurata ed esso è giunto a conclusione con il deposito dell'elaborato peritale - il giudice non può provvedere sulle spese e, se ciò fa, la pronuncia di condanna di una parte, a favore dell'altra, al pagamento delle spese della consulenza - e in generale delle spese del procedimento - è considerata dalla giurisprudenza come "abnorme" e quindi contra ius (Cass., sez. VI-III, 22 ottobre 2018, n. 26573).

La regolamentazione delle spese, anche di quelle della consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., è sempre rimessa ad una fase successiva, ancorché non necessaria, ma eventuale: quella del giudizio di merito promosso con l'atto introduttivo divenuto procedibile.

Il Giudice delle leggi ha, quindi, evidenziato che una siffatta disciplina - in disparte i provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata, per i quali è contemplato il potere del giudice di liquidare in ogni caso le spese processuali all'esito del procedimento - è in effetti prevista in un'altra analoga fattispecie di accertamento tecnico preventivo, che parimenti condiziona la procedibilità dell'azione giudiziaria. L'art. 445-bis c.p.c. stabilisce che, nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti deve presentare al tribunale istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Anche in questa fattispecie l'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, che la Corte ha ritenuto compatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dall'art. 24 Cost. Terminate le operazioni peritali, in assenza di contestazioni delle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio e quindi sussistendo l'accordo, espresso o tacito, delle parti sull'esito dell'accertamento tecnico preventivo, il giudice, con il decreto di omologa dell'accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico d'ufficio, provvede sulle spese.

Ciò, invece, non è previsto che il giudice possa fare in alcun caso nella parallela ipotesi della consulenza tecnica preventiva ex art. 8 della legge n. 24/2017, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale.

Di seguito, la Corte ha rilevato che sussiste una ragione giustificativa del diverso regime, rispetto a quello della disposizione censurata, che non contempla - anzi esclude - che il giudice possa provvedere sulle spese. Il giudice, nel procedimento ex art. 445-bis c.p.c., regola le spese quando la fase dell'accertamento tecnico preventivo chiude il contenzioso in ragione dell'accordo delle parti, espresso o tacito (per mancata tempestiva contestazione delle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio), sì da non essere seguita da un giudizio ordinario sulla pretesa del ricorrente. Viceversa, nel procedimento ex art. 8 della legge n. 24 del 2017 questa verifica, da parte del giudice, in ordine all'accordo delle parti sull'esito dell'accertamento peritale, non è prevista e ciò giustifica che in nessun caso il giudice possa provvedere sulle spese processuali.

Del resto, ad avviso della Consulta, in assenza di un accordo tra le parti, il giudice non avrebbe un criterio per regolare le spese della consulenza tecnica preventiva ex art. 8 della legge n. 24/2017 come spese processuali, mancando in questa fase una vera e propria soccombenza, quali che siano le conclusioni dell'elaborato peritale. Mentre le spese dell'ordinaria consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., non costituendo un atto necessario del processo, ma rispondendo ad una libera scelta della parte, non hanno natura giudiziale e non appartengono alle spese di lite, perché relative a una fase stragiudiziale non necessaria (Cass., sez. III, ord. 3 settembre 2019, n. 21975).

Conseguentemente, ha sostenuto la Corte, nella fattispecie il differimento della regolamentazione delle spese processuali, comprensive delle spese della consulenza tecnica, all'esito del giudizio di merito avente ad oggetto la pretesa risarcitoria è giustificato e non crea un ostacolo, eccessivo e rigido, che - in ragione delle condizioni economiche del ricorrente, in ipotesi precarie, ma non tali da consentire l'accesso al patrocinio a spese dello Stato - possa pregiudicare il diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. (C. Trapuzzano, Responsabilità medica: il differimento delle spese della CTU preventiva all'esito del giudizio di merito, in altalex.com).

Inoltre, nella valutazione di non fondatezza della censura sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. concorre anche la considerazione che l'art. 8, comma 2, della legge n. 24/2017 individua, quale condizione di procedibilità alternativa, la mediazione di cui al d.lgs. n. 28 del 2010. Il ricorrente può quindi scegliere una via per lui meno onerosa, dal momento che la consulenza tecnica d'ufficio è espressamente posta a carico delle parti in solido dall'art. 16, comma 11, del d.m. Giustizia 18 ottobre 2010, n. 180.

Competenza cautelare e proponibilità del regolamento di competenza

In tema di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 8 della l. n. 24 del 2017, il rinvio all'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c. fa sì che il provvedimento con cui il giudice affermi o neghi la propria competenza per territorio a provvedere sulla relativa istanza non assuma alcuna efficacia preclusiva o vincolante nel successivo giudizio di merito, con la conseguenza che il mancato rilievo d'ufficio dell'incompetenza (derogabile o inderogabile), o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti, non determina il consolidamento della competenza, in capo all'ufficio giudiziario adito, anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni delineato, per il giudizio a cognizione piena, dall'art. 38 c.p.c. (Cass. sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 5046.

Il provvedimento col quale il giudice affermi o neghi la propria competenza per territorio a provvedere sull'istanza di accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi, proposta ai sensi dell'art. 696 bis c.p.c., non ha alcuna efficacia preclusiva o vincolante nel successivo giudizio di merito sicché esso non può essere impugnato col regolamento di competenza (Cass., sez. VI, 29 maggio 2019, n. 14739).

Riferimenti

M. Adorno, Il nuovo 'filtro' dell'art. 696 bis c.p.c. in materia di responsabilità sanitaria, in I profili processuali della nuova disciplina sulla responsabilità sanitaria, a cura di A.D. De Santis, Roma 2017, 127 ss.;

A. Bernardi, La conciliazione, in Aa. Vv., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria. Commentario alla legge 8 marzo 2017, n. 24, Roma 2017, 117 ss.;

U. Corea, I profili processuali della nuova legge sulla responsabilità medica: note a prima lettura, in judicium.it 2017;

F. Cuomo Ulloa, Risoluzione alternativa delle controversie in materia di responsabilità sanitaria: le novità della legge Gelli - I Parte, in Resp. 2018, 656 ss.;

D. Dalfino, Il processo civile per responsabilità medica: condizioni di procedibilità e riparto dell'onere della prova, in questionegiustizia.it, 17 settembre 2018

D. Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica, in Riv. diritto processuale, 2019, 1472 ss.;

P. Licci, Il nuovo accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle controversie previdenziali: l'occasione mancata per l'ottenimento rapido di un titolo esecutivo?, in judicium.it 2015;

M. Montanari, Brevi note sulla consulenza tecnica preventiva in funzione di composizione della lite (art. 696 bis c.p.c.) e sulle relative conseguenze d'ordine applicativo, in Giusto proc. civ., 2012, 701 ss.;

G. Olivieri, Prime impressioni sui profili processuali della responsabilità sanitaria, in judicium.it 2017;

I. Pagni, Dal tentativo di conciliazione al ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, a cura di F. Gelli, M. Hazan e D. Zorzit, Milano 2017, 456 ss.;

M. Ragni, La nuova condizione di procedibilità ex art. 696-bis c.p.c. delle controversie di responsabilità medico-sanitaria, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2019, 278 ss.;

A.A. Romano, sub art. 696-bis, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, Milano, 2018, IV, 394 ss.;

A.A. Romano, Il nuovo art. 696 bis c.p.c. tra mediation e anticipazione della prova, in Corr. giur., 2006, 405 ss.;

G. M. Sacchetto, La reclamabilità del diniego di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in Giur. italiana, 2020, 647 ss.;

A. Tedoldi, La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in Riv. dir. proc., 2010, 805 ss.;

C. Trapuzzano, Responsabilità medica: il differimento delle spese della CTU preventiva all'esito del giudizio di merito, in altalex.com;

G. Trisorio Liuzzi, La riforma della responsabilità professionale sanitaria. I profili processuali, in Giusto proc. civ. 2017, 675 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario