Il rapporto tra l'interdittiva antimafia e la misura di prevenzione del controllo giudiziario richiesto dall'impresa

Simone Bonfante
20 Giugno 2023

La decisione in esame si inserisce nel solco di una ormai copiosa giurisprudenza di legittimità che ha delineato i contorni di un istituto di recente introduzione nel nostro ordinamento: la misura di prevenzione del controllo giudiziario dell'impresa destinataria di interdittiva antimafia.
Massima

In materia di misure di prevenzione, quando sia formulata richiesta di controllo giudiziario su iniziativa della parte privata, il prerequisito della condizione di assoggettamento dell'impresa all'intimidazione mafiosa, è già contenuto nell'informazione antimafia rappresentando, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario volta a garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell'ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l'esercizio dell'impresa. Assume, dunque, evidente centralità, nella valutazione demandata al giudice della prevenzione chiamato a valutare la richiesta di controllo volontario, il giudizio prognostico circa la positiva evoluzione della realtà aziendale attinta dal provvedimento prefettizio.

Il caso

Il Tribunale di Napoli respingeva la (nuova) richiesta di controllo giudiziario avanzata, ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, da una SPA colpita da interdittiva antimafia.

Interponeva appello la difesa sostenendo come dovesse ritenersi, al contrario, giustificata l'applicazione della misura invocata alla luce dell'intervenuta assoluzione di un'azionista dal reato di intestazione fittizia, del rigetto di una confisca di prevenzione ai danni della società nonché del lungo lasso di tempo trascorso dall'ultimo contatto con la criminalità organizzata.

La Corte di Appello di Napoli tuttavia rigettava il gravame poiché riteneva persistente il pericolo di infiltrazione non emergendo elementi di novità rispetto al quadro emerso in precedenza.

Il giudice di secondo considerava inoltre inconferente la richiesta di applicazione della misura di cui all'art. 34 bis in quanto basata sull'asserita “assenza” dell'agevolazione mafiosa e non (solo) sull'occasionalità della stessa.

Presentava ricorso per cassazione la difesa della SPA, dolendosi, tra l'altro, dell'erronea interpretazione della legge penale dovendo il giudice della prevenzione rigettare la misura solo nel caso in cui ritenga “stabile” l'agevolazione.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso ritenendo erronea, come si dirà, l'interpretazione della norma fornita dalla Corte territoriale.

La questione

I quesiti a cui fornisce una risposta la sentenza in esame sono sostanzialmente due e si presentano tra loro strettamente legati.

Il primo: quale rapporto intercorre tra il provvedimento prefettizio che ha disposto l'interdittiva e la decisione sull'applicazione, a richiesta dell'azienda, della misura di prevenzione del controllo giudiziario?

Il secondo quesito invece è il seguente: può la misura di prevenzione in esame essere negata sulla scorta dell'attuale carenza, da parte dell'azienda richiedente, di qualunque tipo di agevolazione mafiosa (come contemplata dall'art. 34, comma 1, d.lgs. n. 159/2011)?

Le soluzioni giuridiche

Nel panorama delle misure di prevenzione, il controllo giudiziario delle aziende, inserito nel codice antimafia dalla legge n. 161/2017, ha senza dubbio segnato un cambio di prospettiva da parte del legislatore: da un'ottica di prevenzione volta esclusivamente a limitare i diritti del soggetto destinatario della misura si è passati ad una (anche) premiale con previsione della sospensione degli effetti di cui all'art. 94 ricollegabili all'interdittiva del Prefetto.

E ciò con il superiore intento di contemperare «i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell'ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l'esercizio dell'impresa» (Cass. pen., sez. VI, n. 30168/2021 Rv. 281834) e di garantire in questo modo la continuità produttiva e gestionale dell'azienda.

Non a caso in dottrina si è parlato di una “messa alla prova” dell'impresa con lo scopo di emendare la stessa dalle infiltrazioni mafiose, nella consapevolezza che le aziende hanno la possibilità di attivare meccanismi di prevenzione rispetto al rischio reato quali, ad esempio, l'adozione di modelli organizzativi ex d.lgs. n. 231/2001.

Il controllo giudiziario prevede infatti lo svolgimento di un percorso da parte dell'azienda costellato di obblighi e prescrizioni (la cui durata viene stabilita dal giudice della prevenzione) che si caratterizza per il costante confronto tra l'impresa, il giudice delegato e l'amministratore giudiziario. Il decreto con cui viene disposto il controllo giudiziario imporrà all'azienda, ad esempio, obblighi informativi, obblighi di richiedere l'autorizzazione in caso di variazione della sede sociale, della denominazione, della ragione sociale, della composizione degli organi sociali.

Ebbene la sentenza in commento ha il pregio di mettere in evidenza le differenze intercorrenti tra le due diverse tipologie di controllo giudiziario contemplate dall'art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011.

La Suprema Corte ha infatti chiarito come, mentre nel caso di controllo giudiziario ad iniziativa della parte pubblica di cui al primo comma dell'art. 34-bis, sia lo stesso giudice della prevenzione a valutare la sussistenza in concreto del pericolo di infiltrazione mafiosa idoneo a condizionare l'attività economica dell'impresa, nel caso invece di istanza avanzata dalla parte privata, ai sensi del successivo comma sesto, tale valutazione non potrà prescindere da quella già formulata dal Prefetto in sede di emissione dell'interdittiva antimafia. In tale seconda ipotesi il giudice della prevenzione dovrà necessariamente prendere atto dell'esistenza di tale provvedimento amministrativo, senza scendere nel merito della decisione adottata dalla P.A., ma limitandosi a svolgere una valutazione prognostica volta a stabilire se l'impresa richiedente sia talmente permeata da escludere che la stessa, grazie alla misura del controllo giudiziario, possa essere bonificata.

Posto, pertanto, in questa seconda ipotesi, che il pericolo di infiltrazione sussiste [il provvedimento prefettizio del resto non è stato ancora travolto dal giudice amministrativo essendo ancora pendente il ricorso, anzi, secondo i giudici di Palazzo Spada, la pendenza del controllo giudiziario volontario non sarebbe nemmeno una causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l'informazione antimafia interdittiva (Consiglio di Stato ad. plen., 13/02/2023, n.7)] il giudice della prevenzione dovrà solamente verificare che lo stesso non sia talmente grave da escludere in ottica futura l'emendabilità della condizione fotografata dall'interdittiva ed il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni che il giudice delegato può rivolgere nel guidare l'impresa infiltrata. (Cass. pen., sez. un., n. 46898/2019, Rv. 277156).

E ciò sulla base di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di richiesta di controllo giudiziario avanzata ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, l'assoggettamento dell'attività economica all'intimidazione mafiosa costituirebbe un ineliminabile prerequisito già accertato con l'interdittiva (Cass. pen., sez. II, 28 gennaio 2021, n. 9122, in GAD n. 19, 15 maggio 2021, pp. 70 ss).

Sotto diverso profilo, in una conforme pronuncia, si è sostenuto infatti che il controllo giudiziario ad istanza privata di cui al comma 6 dell'art. 34-bis si porrebbe “alla confluenza” di due istituti diversi: l'interdittiva antimafia ed il controllo prescrittivo di cui al comma I del medesimo articolo, con conseguente contaminazione dei due diversi istituti (Cass. pen., sez.V, 2 luglio 2018 n. 34526, Rv. 273645).

Mentre in sostanza nel caso di c.d. controllo prescrittivo di cui al primo comma dell'art. 34-bis il giudice della prevenzione dovrà valutare sia l'an che il quantum del pericolo di infiltrazione, nel caso di controllo giudiziario ad iniziativa privata di cui al comma sesto, solo il quantum.

In ultima analisi i presupposti necessari ai fini dell'applicazione del controllo giudiziario ad iniziativa della parte privata sarebbero tre: 1) l'emissione dell'interdittiva; 2) la pendenza del ricorso avanti al giudice amministrativo avverso tale provvedimento [il ricorso al giudice della prevenzione è tuttavia precluso quando il provvedimento amministrativo ha acquisito carattere di definitività (Cass. pen., sez. I, 17 novembre 2022, n. 19154)]; 3) che l'agevolazione dell'attività mafiosa sia solo “occasionale” e pertanto non in grado di compromettere irrimediabilmente l'attività di impresa, consentendo pertanto, in ottica dinamica e prognostica, la “bonificabilità” della stessa.

A proposito del criterio della “occasionalità”, contemplato dall'art. 34 bis, si è sostenuto infatti come la stessa orienti la discrezionalità del giudice, in quanto indica il livello di rischio come accertato all'attualità e consente al contempo una valutazione prognostica (Cass. pen., sez. II, 5 marzo 2021, n. 9122).

Nel caso di specie invece la Corte territoriale riteneva che, al pari di quanto accade nell'ipotesi di controllo giudiziario c.d. prescrittivo ad impulso della parte pubblica, la valutazione del giudice della prevenzione dovesse riguardare anche l'effettiva esistenza di un pericolo di infiltrazione, in tal modo negando la misura invocata a quell'impresa in cui tale pericolo, nonostante l'interdittiva, dovesse ritenersi assente. Soluzione questa che, ad avviso della Suprema Corte, implicava una indebita sovrapposizione tra l'ambito cognitivo riservato al giudice amministrativo e quello riservato al giudice della prevenzione.

Osservazioni

La sentenza in commento offre lo spunto per ragionare sulla natura del controllo giudiziario delle aziende inserito, unitamente alla più penetrante misura dell'amministrazione giudiziaria, tra le “misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca” (Capo V del Titolo II del d.lgs. n. 159/2011).

Trattasi come noto di misure praeter o ante delictum che, in quanto tali, prescindono dalla commissione di fatti di reato e che vengono applicate, al pari delle misure di sicurezza, sulla base della “pericolosità sociale” del soggetto destinatario delle stesse.

L'art. 34-bis del codice antimafia in particolare, richiamando il disposto di cui al precedente art. 34 in materia di amministrazione giudiziaria, declina in maniera affatto peculiare tale “pericolosità”, indirizzandola prevalentemente nei confronti della res, rappresentata nel caso di specie dall'azienda. Si prevede infatti che possa essere applicato il controllo giudiziario solo quando risulti “occasionale” la possibilità che l'esercizio di una determinata impresa agevoli persone destinatarie di misure di prevenzione personali oppure persone sottoposte a processo per particolari gravi reati (tra cui anche ovviamente quello di associazione di stampo mafioso).

L'istituto in parola, tuttavia, come si è detto più sopra, può essere attivato sia dalla parte pubblica (Procuratore della Repubblica del Tribunale del capoluogo, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Questore e Direttore della DIA) sia dall'azienda destinataria dell'interdittiva antimafia.

Orbene è proprio di quest'ultimo istituto, sicuramente più numericamente rilevante del primo nella prassi, che si occupa la sentenza in commento, cercando di illuminare l'interprete sul rapporto con il controllo c.d. prescrittivo di cui al primo comma dell'art. 34-bis da un lato e con l'interdittiva antimafia dall'altro.

Già si è detto delle conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte allineandosi, nel caso di specie, al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi sul punto.

Ciò che preme rilevare in questa sede è come il legislatore, con l'introduzione della misura del controllo giudiziario, da un lato abbia previsto una nuova misura di prevenzione, con ciò confermando la centralità della logica della prevenzione nel nostro ordinamento (nonostante le note critiche di inconstituzionalità mosse da parte della dottrina nei confronti delle misure di prevenzione all'indomani della loro introduzione prima ad opera della l. n. 1423/56, poi con la l. n. 575/65) dall'altro abbia cercato di contemperare con tale specifica misura l'ordine pubblico e la libertà di impresa. Con l'istituto in parola, infatti, a differenza di quanto accade con l'amministrazione giudiziaria, l'azienda continua ad essere gestita dall'imprenditore e gli effetti dell'interdittiva (tra cui spiccano il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, le revoche dei contratti, delle autorizzazioni e delle concessioni) vengono sospesi. L'azienda, pur venendo messa “sotto tutela”, continuerà a “camminare con le proprie gambe” nella consapevolezza che, in caso di violazione delle prescrizioni disposte dal giudice delegato o del riscontro da parte dell'amministratore giudiziario di tentativi di infiltrazione, potrà incorrere non solo nella revoca del controllo giudiziario ma anche nell'applicazione dell'amministrazione giudiziaria o di altra più afflittiva misura di prevenzione patrimoniale, quale ad esempio la confisca.

Come si diceva tali misure condividono con l'interdittiva antimafia l'esigenza di predisporre una tutela avanzata rispetto al fenomeno della criminalità organizzata in quanto, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, ai fini dell'adozione della stessa non è necessario l'accertamento di responsabilità individuali, trattandosi di una misura a presidio dell'ordine pubblico, che può basarsi su elementi di carattere indiziario e sintomatico in base ai quali risulti non illogica la sussistenza del pericolo di condizionamento dell'impresa (Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 3009 del 2016). Il pericolo di infiltrazione mafiosa, pertanto, sufficiente a giustificare l'emissione dell'interdittiva, deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo che non richiede alcuna certezza oltre ogni ragionevole dubbio come in caso di accertamento della responsabilità da parte dell'autorità giudiziaria.

Non è un caso, infatti che il controllo giudiziario e le interdittive, espressione della medesima logica della prevenzione, siano state entrambe contemplate all'interno del codice antimafia.

Mentre tuttavia l'interdittiva mira a “paralizzare” l'impresa, quanto meno rispetto ai rapporti più rilevanti della stessa, il controllo giudiziario è diretto a ricondurre la stessa nell'alveo dell'economia sana. Si è infatti affermato a tal proposito che mentre la prima esprime un giudizio "statico" o "retrospettivo" su un fenomeno infiltrativo già compiutosi, il secondo effettua una "prognosi" sulla capacità dell'impresa di emendarsi (Consiglio di Stato, sez. III, ud. 6 ottobre 2022, dep. 22 ottobre 2022 n. 9021).

Le conclusioni cui perviene la sentenza in commento devono ritenersi condivisibili sotto un ultimo profilo: non si comprende per quale motivo dovrebbe negarsi la misura a quelle imprese che, nel momento in cui avanzano l'istanza ex art. 34-bis comma 6, non presentano più alcun rischio di agevolazione dell'infiltrazione e per converso concederla a quelle in cui tale agevolazione fosse solamente ritenuta “occasionale”.

Una simile interpretazione della norma, oltre ad essere illogica, avrebbe infatti implicato una evidente disparità di trattamento.

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