Improponibile la domanda di divorzio congiunto connessa a quella di separazione consensuale
20 Giugno 2023
Massima
Non vi sono argomenti che autorizzino l'interprete a ritenere che il legislatore abbia voluto estendere la regola (o comunque la possibilità) del cumulo di domande di separazione e divorzio anche ai ricorsi congiunti ex art. 473-bis.51 c.p.c., con la conseguenza che va dichiarata improponibile la domanda di divorzio proposta unitamente a quella di separazione mentre può essere pronunciata la separazione come richiesta, qualora emerga l'intollerabilità della convivenza. Il caso
Il 31 marzo 2023 Tizio e Caia depositano, ai sensi dell'art. 473-bis.51 c.p.c., un ricorso congiunto di separazione consensuale e di scioglimento del matrimonio, nel quale stabiliscono di non aver nulla a pretendere reciprocamente a titolo di mantenimento o ad altro titolo, essendo ambedue autonomi ed indipendenti sotto il profilo economico e non avendo avuto figli. Il Tribunale, con un decreto interlocutorio, prospetta d'ufficio alle parti l'inammissibilità del ricorso contestuale per separazione consensuale e divorzio congiunto e assegna un termine per il deposito di note di trattazione scritta in sostituzione di udienza per consentire alle parti stesse di precisare se intendano confermare o meno le condizioni della separazione, anche per l'ipotesi di ritenuta inammissibilità della contestuale proposizione di domanda congiunta di separazione consensuale e divorzio congiunto. All'esito del deposito delle note autorizzate, nelle quali le parti confermano di voler addivenire comunque alla separazione alle condizioni da loro concordate, il Tribunale emette la sentenza qui in commento, con la quale, nell'affermare il predetto principio, omologa la separazione consensuale alle condizioni di cui al ricorso e dichiara improponibile la domanda di divorzio. La questione
La sentenza in commento interviene, a distanza di pochi giorni da un'altra, di segno opposto (il riferimento è Trib. Milano 9 maggio 2023), su una delle questioni più controverse, e anche più interessanti, per le sue implicazioni di diritto sostanziale, poste dalla disciplina del rito unico delle persone, della famiglia e dei minorenni: quella della possibilità di cumulare, nel ricorso congiunto, proposto ai sensi dell'art. art. 473-bis.51 c.p.c., alla domanda di separazione consensuale quella di divorzio. Il dubbio si è posto dal momento che il d.lgs. n. 149/2022 se contiene, all'art. 473-bis.49 c.p.c., una disciplina specifica del cumulo di domande di separazione personale e di scioglimento o cessazione deli effetti civili del matrimonio, non menziona invece espressamente una analoga possibilità nell'articolo dedicato al procedimento su domanda congiunta. Anche la relazione ministeriale al decreto delegato sembra silente sul punto contribuendo così ad alimentare l'incertezza interpretativa. Le soluzioni giuridiche
Come si è detto la decisione qui in esame si pone in deciso e consapevole contrasto con quella, di poco precedente, del Tribunale di Milano, che ha invece ritenuto ammissibile la proposizione di una domanda di divorzio congiuntamente a quella di separazione personale, senza peraltro motivare in nessun modo tale suo convincimento quando un minimo sforzo argomentativo sarebbe stato quantomeno opportuno data l'estrema opinabilità della soluzione adottata. A favore della possibilità di cumulo delle domande di separazione consensuale e divorzio congiunto si è espressa anche una parte della dottrina (A.Simeone, ll cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti congiunti, in IUS Famiglie (ius.giuffrefl.it), sulla base, di varie considerazioni, le più rilevanti delle quali sono le seguenti: - se, come specificato nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, l'art. 473-bis.49 c.p.c. mira a realizzare "economie processuali, considerata la perfetta sovrapponibilità di molte delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole) e, pur nella diversità della domanda, la analogia degli accertamenti istruttori da compiere ad altri fini (si pensi alle domande di contributo economico in favore del coniuge e di assegno divorzile per l'ex coniuge), con considerevole risparmio di tempo e di energie processuali", non si comprende perché tale vantaggio processuale debba ritenersi limitato ai soli procedimenti contenziosi, con esclusione di quelli su domanda congiunta; - sarebbe paradossale ammettere il cumulo quando il divorzio è chiesto solo da una parte (nel procedimento contenzioso) e negarlo quando la richiesta proviene da entrambi i coniugi (nel procedimento su domanda congiunta); - l'art. 473-bis.51 c.p.c. deroga agli artt. 473-bis.47 ss. c.p.c. e alle disposizioni generali del Capo I, solo con riferimento agli aspetti espressamente disciplinati. L'indirizzo contrario invece, che finora aveva trovato espressione anche in alcuni comunicati operativi di Presidenti di Tribunale (si vedano la nota del Tribunale di Bari del 6 aprile 2023 e quella del presidente del Tribunale di Padova del 7 aprile 2023), si fonda soprattutto su due ordini di ragioni: - l'art. 473-bis.51 c.p.c. introduce un rito unico per i procedimenti su domanda congiunta e tale disciplina, specifica ed articolata, non menziona espressamente la possibilità del cumulo di tali domande né richiama l'art. 473 bis.49 c.p.c.; ne consegue che tale esclusione non può essere superata attraverso un'interpretazione estensiva; - tale conclusione è coerente con il principio, consolidato in giurisprudenza, che vieta alle parti, a pena di nullità per violazione dell'art. 160 c.c., di disciplinare, già in sede di separazione, le condizioni del loro futuro divorzio. Il Tribunale di Firenze si inserisce in tale secondo orientamento e, oltre riprendere e sviluppare i succitati argomenti, ne aggiunge uno ulteriore a conforto della soluzione sfavorevole alla ammissibilità della domanda congiunta di separazione consensuale e divorzio. Osservazioni
Gli argomenti sui quali l'articolata motivazione del tribunale toscano si fonda, pur essendo degni della massima considerazione, sono tutti confutabili con considerazioni che conducono, pur nella estrema opinabilità della questione, ad aderire alla tesi estensiva. Innanzitutto, secondo la pronuncia in esame, sia il dato testuale delle norme rilevanti nel caso di specie che i contenuti della legge delega e della relazione al decreto delegato sarebbero univocamente indicativi della volontà del legislatore di riservare la possibilità di cumulo delle domande alle ipotesi di sussistenza di un contenzioso tra le parti. Con riguardo al primo aspetto viene si evidenzia come la disciplina di cui all'art. 473-bis.49 sia stata tenuta distinta da quella del successivo art. 473-bis.51 c.p.c. e, inoltre come quest'ultima norma non contenga nessun richiamo alla prima, cosicchè dovrebbe applicarsi il criterio ermeneutico in base al quale ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Una simile scelta, secondo il collegio fiorentino, costituirebbe puntuale attuazione della voluntas legis espressa dalla legge delega che, non solo non menziona il cumulo di domande di separazione e divorzio per i ricorsi congiunti, ma dedica ad essi, all'art. 1, comma 17, lett. o) e comma 23, lett. hh), indicazioni distinte da quelle che riserva al cumulo delle domande, al comma 23, lett. bb). Ora, tale interpretazione muove da una premessa ricostruttiva non condivisibile, ossia quella che l'art. 473-bis.51 esaurisca la disciplina dei ricorsi congiunti. A ben vedere così non è perché, se si legge attentamente tale articolo, ci si avvede che esso, a differenza dell'art. 473-bis.49, nel definire, al suo primo comma, unitamente al criterio determinativo della competenza territoriale, il proprio ambito di applicazione, non si riferisce esclusivamente ai procedimenti di separazione personale ma, testualmente, “alla domanda congiunta relativa a tutti i procedimenti di cui all'art. 473-bis.47, norma che, a sua volta, menziona tutte le domande proponibili nell'ambito del procedimento sulla famiglia, i minori e le persone. Pertanto tale esteso rinvio consente di ritenere cumulabili nel ricorso congiunto tutte le domande rientranti nel suddetto elenco, purchè tra loro compatibili, quali sicuramente solo quella di separazione e quella di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Questa lettura non è smentita dai commi successivi dell'art. 473-bis. 51, atteso che, come chiarisce la relazione al d.lgs. n. 149/2022, il secondo fissa i requisiti di forma e contenuto del ricorso e il terzo disciplina il procedimento a seguito di domanda congiunta, sul modello previsto dall'attuale articolo 711 del c.p.c. in attuazione dei principi della legge delega sopra citati. La legge delega è quindi intervenuta solo su tali specifici aspetti, dopo aver indicato, nella prima parte dell'art. 1, comma 23, lett. hh), la necessità dell'introduzione di un rito unico per i procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio. Se si condivide tale lettura si perviene ad una conclusione opposta a quella indicata dal tribunale di Firenze: nei procedimenti congiunti la cumulabilità delle domande tra loro compatibili costituisce la regola mentre in quelli contenziosi è l'eccezione. L'ulteriore obiezione che la sentenza muove alla tesi permissiva è che essa finisce per determinare un allungamento della durata del procedimento congiunto perché, “mentre l'art. 473-bis.49 c.p.c. consente un significativo contenimento del tempo complessivamente necessario per giungere ad una definizione delle domande anche accessorie alle separazione e al divorzio, ove si consentisse il cumulo delle domande… il medesimo procedimento resterebbe pendente per tutto il tempo necessario al maturare dei presupposti per il divorzio”. A parere di scrive però una simile prospettiva è alquanto fuorviante perché non considera che il protrarsi del giudizio congiunto dopo la sentenza, necessariamente parziale, di omologa della separazione evita l'instaurazione di un successivo giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, che è proprio ciò che il legislatore ha inteso evitare nei giudizi contenziosi, prevedendo la possibilità di cumulare la domanda di divorzio a quella di separazione personale, come può evincersi, ancora una volta, dalla relazione al decreto delegato. In essa si afferma infatti che, “a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 55/2015, che ha previsto la riduzione dei termini per proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla data della comparizione dei coniugi nell'udienza presidenziale del procedimento di separazione, è emersa con sempre maggiore urgenza la necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione”. Da tale passo si desume che l'obiettivo immediato che il legislatore ha inteso realizzare con la disciplina dell'art. 473-bis.49 c.p.c. non è stato quello di contenere i tempi del giudizio con cumulo di domande di separazione e di divorzio ma quello di economizzare l'attività processuale, anche se è indubbio che a quest'ultimo risultato può determinare una minor durata del giudizio di divorzio. La tesi che consente il cumulo anche nei procedimenti congiunti si pone allora nella medesima prospettiva, diversamente da quanto ritiene la sentenza in commento. E veniamo ora all'argomento, tra quelli utilizzati dal tribunale toscano, che potrebbe costituire il maggiore ostacolo al suo accoglimento. Secondo la pronuncia fiorentina se la si avallasse, pur in difetto di previsione normativa esplicita in tal senso e di una puntuale indicazione da parte della legge delega sulla possibilità del cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti su ricorso congiunto, si opererebbe in deroga al principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale più volte affermato dalla Suprema Corte (l'indirizzo, avviato da una pronuncia alquanto risalente nel tempo, Cass. 11 giugno 1981, n. 3777, è stato ribadito da ultimo da Cass. 26 aprile 2021, n. 11012). Va però evidenziato che una simile obiezione muove dalla premessa che l'ipotesi del cumulo non sia stata contemplata né nella legge delega né nel decreto delegato ma, una volta che si affermi il contrario, per le ragioni anzidette, deve trarsi la conseguenza che in realtà il legislatore ha inteso proseguire nel percorso di graduale, ma incessante, superamento del principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all'art. 160 c.c., avviato alcuni anni fa. E' opportuno infatti rammentare che già con l'art. 6 del d.l. n. 132/2014, convertito nella l. n. 162/2014, che ha introdotto, all' nel nostro ordinamento la negoziazione assistita volontaria nella materia matrimoniale, quel principio, come è stato osservato da diversi commentatori, è stato messo in discussone per la prima volta. Con quella novella infatti fu rimessa alla disponibilità delle parti non solo la materia del divorzio, nei casi di cui all'art. 3, lett. b) l. n. 898/1970, ma anche le statuizioni, personali ed economiche, che riguardano la prole minorenne o affetta da handicap, sia pure prevedendo per questi casi in aggiunta al controllo del P.M. quello del Presidente del Tribunale. Parte della dottrina osservò, all'epoca, che in tal modo fu creata una categoria di diritti intermedia tra quella dei diritti disponibili e quella degli indisponibili e ciò, si noti, avvenne con l'introduzione di norme processuali, cosicchè non può sorprendere che ora sia stato utilizzato lo stesso metodo, anche perché la scelta compiuta allora è stata ribadita e rafforzata dallo stesso d.lgs. n. 149/2022. Infatti con esso è stato aggiunto al predetto art. 6 un comma 1-bis, che prevede l'utilizzo della negoziazione assistita anche “al fine di raggiungere una soluzione consensuale per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate.” Il comma 3 bis poi prevede che “Quando la negoziazione assistita ha ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell'unione civile, le parti possono stabilire, nell'accordo, la corresponsione di un assegno in unica soluzione. In tal caso la valutazione di equità è effettuata dagli avvocati, mediante certificazione di tale pattuizione, ai sensi dell'art. 5, comma 8, della l. n. 898/1970.” L'estensione dell'ambito di operatività dell'autonomia negoziale anche nei procedimenti congiunti, nei termini sopra ricostruiti, si inserisce quindi perfettamente in una simile tendenza evolutiva del diritto sostanziale matrimoniale. E' opportuno poi evidenziare che le pronunce di legittimità sopra citate erano state rese in casi in cui i patti di natura economica erano stati conclusi in un giudizio di separazione consensuale, al quale, a distanza di tempo, era seguito un giudizio contenzioso e quindi in un contesto molto diverso da quello in cui si colloca la possibilità delle parti di cumulare nello stesso processo separazione e divorzio in forma congiunta. In esso infatti le parti si vedono attribuita la facoltà di scegliere un rito con caratteristiche peculiari e di concordare da subito le condizioni delle due fasi di soluzione della loro crisi coniugale sotto il controllo non solo del P.M. ma pure del giudice che ha ampia possibilità di verificare se il consenso di una di esse a quell'accordo sia o meno viziato, fissando eventualmente un'udienza di comparizione personale delle parti ad hoc, anche laddove non prevista. Val la pena aggiungere poi che non costituisce un ostacolo al cumulo di domande di separazione e divorzio nei ricorsi congiunti la mancanza di una disciplina dell'iter da seguire dopo la pronuncia di separazione perché tale incertezza caratterizza anche i procedimenti contenziosi in cui siano cumulate le medesime domande. A ben vedere, se si ha riguardo al tenore letterale dell'art. 473-bis. 51 c.p.c., sembra che il procedimento, all'esito dell'udienza di comparizione delle parti, debba necessariamente concludersi con l'emissione della sentenza mentre l'art. 473-bis.49 c.p.c. lascia intendere che il giudizio prosegue poichè, al primo comma secondo periodo, precisa che le domande (sott. di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) divengono procedibili decorso il termine previsto dalla legge e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Ora, tale apparente contrasto può essere risolto ritenendo che la previsione da ultimo menzionata valga anche per i procedimenti su ricorso congiunto in cui siano cumulate la domanda di separazione e quella di divorzio. Nemmeno le incognite sulle conseguenze dell'eventuale revoca, nell'arco di tempo richiesto per rendere procedibile la domanda, del consenso al divorzio da parte di una delle parti ostano alla praticabilità della soluzione avversata dal tribunale di Firenze. Innanzitutto è dubbio se il consenso sia revocabile, per il solo fatto del trascorrere del tempo, nel momento in cui la Cassazione, sia pure con riguardo al contesto normativo ante riforma, lo aveva sempre escluso (Cass. 24 luglio 2018, n.19540; Cass. 26 aprile 2021, n.11012), o se invece, proprio il riconoscimento della possibilità di cumulare le domande nei ricorsi congiunti implichi ora che il consenso sia revocabile purché a fronte di circostanze sopravvenute. Ma anche ritenendo che si possa rispondere affermativamente a tali interrogativi bisognerebbe poi escludere che vi siano norme che non diano indicazioni sul conseguente sviluppo processuale. Secondo il Tribunale di Milano la conseguenza della revoca del consenso al divorzio o il ripensamento sulle condizioni originariamente pattuite da parte di una delle parti sarebbe, necessariamente, quella del rigetto della domanda per difetto della indicazione congiunta delle relative condizioni. S Si tratterebbe però di un esito, a ben vedere a posteriori, che non è contemplato da nessuna norma. Occorre piuttosto interrogarsi sulla possibilità che il giudizio prosegua in forma contenziosa in base al disposto dell'art. 473.bis-19, comma 2, c.p.c., norma rientrante tra quelle comuni ai giudizi di primo grado generali, da interpretarsi nel senso che il mutamento delle circostanze in essa citato sia costituito, nel caso di specie, dalla revoca del consenso al divorzio. Tale soluzione, oltre ad avere un sostegno normativo, a differenza di quella milanese, consentirebbe di perseguire quella finalità di duplicazione dei giudizi che il legislatore, come si è detto, ha inteso realizzare. In ogni caso, l'esistenza di una pluralità di argomenti a sostegno di entrambe le tesi rendono la questione quanto mai dibattuta e fanno presagire che possa essere oggetto a breve di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, ai sensi del nuovo art. 363-bis c.p.c., che è stato già applicato in un significativo numero di casi dai giudici di merito. Certo, sarebbe però il primo rinvio pregiudiziale riguardante una norma introdotta dalla riforma Cartabia. |