CNC: valutazione del fumus e del periculum per la conferma delle misure protettive
20 Giugno 2023
Massima
In sede di conferma delle misure protettive previste dal DL. 118/2021, il controllo che il Giudice deve effettuare ha ad oggetto il fumus boni iuris - inteso come utilità delle misure protettive richieste per lo svolgimento delle trattative, adeguatezza e proporzionalità rispetto all'obiettivo di risanamento dell'impresa e capacità dell'impresa di dare luogo a tale risanamento - e il periculum in mora – da valutarsi nella probabilità che il rigetto dell'istanza di conferma delle misure possa pregiudicare l'esito delle trattative medesime – non ostando alla conferma della misura richiesta il fatto che alcun creditore si sia costituito, in quanto ai sensi dell'art. 7, comma 6, il Giudice, su istanza di uno o più creditori, può in qualunque momento revocare le misure protettive e cautelari o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l'obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti. Tale norma descrive, quindi, una tutela posticipata e non preventiva, indicando che in sede di revoca va verificata la funzionalità delle singole misure al buon esito delle trattative, la loro incidenza sui beni strumentali dell'impresa necessari per la prosecuzione dell'attività nella prospettiva del suo risanamento, nonché la loro proporzionalità al sacrificio che ne deriva per il creditore.
Il caso
Un'impresa individuale avanzava istanza di misure protettive del patrimonio ai sensi dell'art. 6 d.l. 118/2021, convertito in L. 147/2021, alla competente Camera di Commercio, richiedendo la conferma dell'inibizione della proposizione di istanze di fallimento o della promozione di procedure esecutive e proponendo contestualmente istanza di nomina di un esperto. Il medesimo giorno della pubblicazione dell'istanza e dell'accettazione dell'esperto, veniva depositato ricorso ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 118/2021 presso il competente Tribunale. All'udienza la ricorrente insisteva unicamente per la conferma delle misure protettive richieste, sulla scorta del piano finanziario elaborato, preordinato a raggiungere con i creditori aderenti e con i creditori estranei un accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'art. 182-bis l. fall., fondato sui flussi finanziari derivanti dalla gestione caratteristica, rappresentata dall'attività di soccorso stradale e di custodia giudiziaria. L'esperto confermava le possibilità di risanamento dell'impresa assicurando che le misure di protezione del patrimonio rappresentano un aspetto fondamentale per il buon esito delle trattative, non trattandosi di una società insolvente ma in crisi finanziaria, dovuta per lo più al ritardo nell'incasso dei crediti maturati nei confronti della P.A. Superato positivamente il vaglio dell'iter procedimentale nonostante la contumacia dei creditori ai quali il decreto di fissazione udienza era stato notificato a mezzo posta elettronica certificata, il Tribunale - vista la documentazione allegata e sentito l'esperto nominato - confermava per 120 giorni le misure protettive (già efficaci a decorrere dal giorno di pubblicazione nel Registro delle Imprese dell'istanza) erga omnes richieste congiuntamente all'istanza di accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi e disponeva il divieto di iniziare o proseguire procedure esecutive.
Le questioni
Propedeuticamente alla conferma delle misure protettive, il Tribunale è tenuto a verificare la completezza della documentazione richiesta dall'art. 7 d.l. 118/2021.
In merito alle cause dello squilibrio economico–patrimoniale all'origine della crisi, l'impresa ha posto l'accento sul ritardo degli incassi derivanti dall'attività di soccorso stradale e di custodia di veicoli (anche sottoposti a sequestro), allungatisi da 90 giorni a quasi 24 mesi, determinando così l'insorgere di debiti per lo più tributari. Per il ricorrente, il risanamento dell'azienda si pone in una prospettiva funzionale alla prosecuzione dell'attività di impresa anche nell'ottica di un migliore soddisfacimento dei creditori, tenuto conto che la liquidazione dell'attività, nel caso in esame, porterebbe a un ricavo di € 100.000,00 a fronte di una debitoria di € 1.956.610,00. Il piano finanziario è stato articolato in un orizzonte temporale di 5 anni, con la previsione del soddisfacimento al 100% dei crediti in prededuzione e di quelli estranei e con la prospettiva di una percentuale di soddisfacimento del 35% per quelli aderenti degradati al chirografo, ferma restando la continuazione del pagamento rateizzato del debito nei confronti di Agenzia delle Entrate Riscossione.
Le soluzioni giuridiche
In merito al sindacato che l'organo giurisdizionale è tenuto ad esercitare ai fini della conferma delle misure protettive, il provvedimento in esame ritiene necessario che il controllo del Giudice debba avere ad oggetto il fumus boni iuris - cioè l'utilità delle misure protettive richieste per lo svolgimento delle trattative, l'adeguatezza e la proporzionalità di tali misure rispetto all'obiettivo di risanamento dell'impresa e la capacità dell'impresa di dare luogo a tale risanamento - e il periculum in mora, e dunque la probabilità che il rigetto dell'istanza di conferma delle misure possa pregiudicare l'esito delle trattative medesime. Quanto alla sussistenza del fumus, la si rileva - nel caso in esame - dalla circostanza che l'esperto abbia confermato l'esistenza di trattative in corso con i creditori volte al raggiungimento di un accordo di ristrutturazione esteso ai sensi dell'art. 182-septies l. fall., nel senso che esso coinvolge i creditori estranei (cfr. art. 11 d.l. n. 118/2021) rispetto al quale sussiste una omogeneità dei crediti da soddisfare (in prevalenza tributari) e che la durata delle misure deve essere non inferiore a 120 giorni. Rispetto alla inibizione delle istanze di fallimento, il Tribunale osserva che non sussiste la facoltà del Giudice di esercitare il proprio sindacato, conseguendo l'improcedibilità dell'eventuale dichiarazione di fallimento proposta alla mera iniziativa del debitore (art. 6, comma 4,d.l. 118/2021) e perdurando fino alla conclusione delle trattative o fino all'archiviazione della composizione negoziata della crisi, senza che il Giudice possa confermare o revocare la misura. Peraltro, in dottrina, non si è mancato di evidenziare che il divieto di proposizione dell'istanza di fallimento, più che una misura vera e propria, costituisce un “vantaggio collaterale aggiuntivo” che non mira a favorire il buon esito delle trattative, bensì lo stesso svolgimento della procedura di composizione negoziata, la quale resterebbe inevitabilmente compromessa dallo spossessamento dell'imprenditore conseguente al suo fallimento o dal verificarsi di una causa di scioglimento della società con conseguente limitazione dei poteri gestori dell'organo amministrativo. Per quanto riguarda, invece, la conferma della misura costituita dal divieto di iniziare o proseguire procedure esecutive, il provvedimento ritiene non ostativo alla conferma della misura richiesta il fatto che nessun creditore si sia costituito. Ed invero, la giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Salerno, 10 maggio 2022), condivisa dal Giudice del provvedimento in commento, ha evidenziato come ai sensi dell'art. 7, comma 6, il Giudice, sentite le parti interessate, “su istanza di uno o più creditori può in qualunque momento revocare le misure protettive e cautelari o abbreviarne la durata, quando esse non soddisfano l'obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori istanti. Tale norma descrive quindi una tutela posticipata e non preventiva. Tale norma indica, piuttosto, che in sede di revoca va verificata la funzionalità delle singole misure al buon esito delle trattative, la loro incidenza su beni strumentali dell'impresa necessari per la prosecuzione dell'attività nella prospettiva del suo risanamento, nonché la loro proporzionalità al sacrificio che ne deriva per il creditore”. A garanzia di ciò è opportuno evidenziare che in ogni caso l'esperto è tenuto a segnalare tempestivamente, con apposita relazione, ogni fatto sopravvenuto o successivamente accertato di natura tale da giustificare la revoca, la modifica della misura e/o l'abbreviazione della durata delle misure confermate.
Passando, poi, alla valutazione del periculum in mora, il Giudice ha ritenuto rattarsi di un requisito declinato dalla normativa in esame in termini ben diversi da quelli tipici della materia cautelare, perché le misure protettive richieste ed essenzialmente riassumibili nell'automatic stay non intendono soddisfare in via anticipata l'interesse sostanziale sotteso alla domanda, né proteggerlo dal pregiudizio della durata della successiva fase di merito, ma hanno la finalità di garantire la piena ed integrale soddisfazione di un interesse normalmente confinato nell'arco temporale di durata della misura, quello all'ordinata e positiva conduzione delle trattative. Sotto tale profilo, dunque, il giudice sarà chiamato a verificare l'adeguatezza delle misure rispetto alle concrete esigenze del negoziato in corso, onde evitare che il sacrificio richiesto ai creditori sia eccessivo, arrivando a configurare un vero e proprio ingiustificato pregiudizio. Nel caso di specie, la scelta del debitore di avvalersi delle misure protettive di cui al d.l. 118/2021 in luogo dello strumento del preaccordo di ristrutturazione contemplato dall'art. 182-septies l. fall. e dunque l'adeguatezza e l'utilità delle stesse al buon esito delle trattative deriva da una più rapida operatività e da una maggiore durata dell'effetto dell'automatic stay ad esse correlato. Se, infatti, nel preaccordo il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari, pur collegato alla pubblicazione dello stesso nel registro delle imprese e soggetto a provvedimento di conferma da parte del giudice, ha una durata massima non prorogabile di 60 giorni (ai quali si aggiunge il tempo compreso tra la pubblicazione dell'istanza del debitore e il decreto di fissazione dell'udienza che deve tenersi entro 30 giorni), le misure protettive di cui agli artt. 6 e 7 d.l. 118/2021 hanno una durata minima di 120 giorni, prorogabili dal Tribunale non oltre 240 giorni su istanza delle parti e previo parere dell'esperto. In sintesi, pare che l'automaticità delle misure protettive - collegata alla pubblicazione dell'istanza e dell'accettazione dell'esperto presso il registro delle imprese - e la durata delle stesse finalizzate unicamente a porre i negoziati al riparo da iniziative opportunistiche o ostruzionistiche, con il solo limite della adeguatezza e della proporzionalità, contenga quell'utilità che il legislatore ha richiesto per la conferma di tali misure da parte del giudice. Nel caso di specie, peraltro, non risulta travalicato il limite enunciato, ove si consideri che la conferma delle misure protettive consente alle parti della trattativa – debitore da un lato e creditori tutti dall'altro – di avere un maggiore tempo a disposizione per vagliare lo strumento più rispondente al superamento della crisi e che potrebbe essere rappresentato anche da un concordato semplificato o da un contratto di composizione negoziata della crisi, svincolati da ogni regola maggioritaria. Pertanto, in sede di trattative, la posizione dei creditori istituzionali (ADE, ADER, INPS) non appare subire un pregiudizio sproporzionato, potendo gli stessi vagliare gli effetti di una eventuale opposizione alla prosecuzione delle trattative con ciò significando che il ricorso alle misure protettive consente di superare l'alea alla quale è sottoposta la posizione dei creditori istituzionali nell'accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall. In effetti, in tale procedura, soggetta a durata maggiore delle trattative se si prendono in considerazione i tempi processuali, l'espressione del voto negativo dovrebbe essere sottoposta al sindacato del Tribunale, per effetto del cram down fiscale e “convertita” in voto favorevole, ove questo sia decisivo al raggiungimento delle maggioranze, con una ineludibile maggiore compressione della manifestazione di volontà di tale categoria di creditori.
Osservazioni
Il provvedimento in esame è apprezzabile laddove pone in evidenza lo status del debitore “insolvente” piuttosto che “in crisi finanziaria”, causato per lo più dal ritardo nell'incasso dei crediti maturati nei confronti della P.A. Il ritardo dei pagamenti della P.A., purtroppo, continua a costituire, per determinate imprese e per alcuni professionisti, una voce piuttosto ricorrente rispetto alle cause prime, se non esclusive come nel caso in esame, dello squilibrio economico–patrimoniale. Come noto, i pagamenti della P.A., pur essendo regolati dalla Direttiva UE 2011/7, recepita nell'ordinamento giuridico italiano con D.Lgs. 192/2012, che prevede il pagamento delle fatture entro 30 giorni, salvo i casi in cui il termine è esteso a 60 giorni, continuano a registrare persistenti ritardi, tanto che la Corte di Giustizia Europea, nella sentenza del 28 gennaio 2020, resa nella causa C-122/18, ha dichiarato che la Repubblica italiana, non assicurando che le sue pubbliche amministrazioni rispettino effettivamente i termini di 30 o 60 giorni di calendario per il pagamento dei loro debiti commerciali, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni. Ebbene, nel caso in commento, all'origine dell'insolvenza vi sarebbe la difficoltà dell'impresa nell'incassare i pagamenti della PA, pagamenti che, contrariamente a quanto previsto dalla normativa europea recepita anche a livello interno, avvenivano già oltre i termini previsti e che, a causa dell'allungamento da 90 giorni a quasi 24 mesi, come attestato anche dall'esperto, hanno inevitabilmente determinato per l'impresa l'impossibilità di potere, a sua volta, onorare i propri debiti, prevalentemente di natura tributaria. Basterebbe di per sé solo questo dato per collocare l'impresa in una condizione di incolpevole insolvenza che la legittimerebbe, peraltro, alla richiesta del maggior danno patito a causa del comportamento della PA coinvolta. Ma questo aprirebbe un altro capitolo foriero di contenziosi, che in ogni caso non potrebbero nell'immediato cambiare le sorti dell'impresa. Quindi, nell'ottica di massimizzare i risultati utili perseguibili, il percorso offerto dalla composizione negoziata della crisi dimostra, ancor più in situazioni simili a quella in esame, che quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa, la conferma delle misure protettive e cautelari richieste non può prescindere dalla valutazione della necessaria sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
Inizialmente promossa come la soluzione ideale alla crisi d'impresa, almeno in astratto nelle intenzioni del legislatore, la composizione negoziata della crisi si è rivelata poco appetibile, come dimostrano i dati e le statistiche disponibili. Con il d.l.118/2021 il legislatore ha ritenuto di anticipare nella vigente legge fallimentare una serie di disposizioni già contenute nel CCII, soprattutto in tema di ristrutturazione. La ragione del provvedimento normativo risiedeva nella necessità, da un lato, di offrire agli imprenditori colpiti dalla crisi pandemica uno strumento efficace e rapido per promuovere l'uscita dalle difficoltà e, dall'altra, di assicurare l'adeguamento della normativa nazionale alla Direttiva UE 2019/1023 per evitare di esporre lo Stato italiano a procedure di infrazione. Il nuovo strumento, costituito dalla composizione negoziata della crisi, è un percorso con il quale si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l'insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato. Ed è proprio in funzione di tale potenzialità di risanamento che l'esperto è chiamato ad agevolare le trattative tra l'imprenditore ed i propri creditori, alla ricerca di una soluzione che possa contemperare gli interessi dei vari soggetti coinvolti.
In tale prospettiva, le misure protettive e cautelari, per come concepite e disciplinate, sono conformi alle prescrizioni contenute nella Direttiva (UE) 2019/1023:
L'art.6 disciplina le misure protettive che possono conseguire all'accesso dell'imprenditore alla procedura di composizione negoziata della crisi. Tali misure limitano la possibilità di azione nei confronti dell'imprenditore da parte dei creditori e precludono il pronunciamento di sentenze di fallimento o di stato di insolvenza fino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata. Le misure protettive sono definite dall'art. 2, lett. p), CCII come quelle misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza, anche prima dell'accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza. Diversamente, le misure cautelari vengono identificate dall'art. 2, lett. q), CCII in quei provvedimenti emessi dal giudice competente a tutela de patrimonio o dell'impresa del debitore, che appaiono secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e delle procedure di insolvenza. In via generale, la possibilità di ricorrere a tali misure ha lo scopo di consentire all'imprenditore che se ne voglia avvalere di beneficiare di un lasso temporale nel quale lo stesso è protetto da aggressioni al proprio patrimonio da parte dei creditori al fine di non pregiudicare la ricerca di una soluzione che consenta il risanamento aziendale con prosecuzione dell'attività. In un certo qual modo bisogna dimostrare, da una parte, l'utilità delle misure protettive richieste rispetto allo svolgimento delle trattative e, dall'altra, che tali misure siano adeguate e proporzionali rispetto alla capacità dell'impresa di attuare tale risanamento. Effettuata tale disamina, al giudice non resta che valutare in che misura il rigetto dell'istanza di conferma delle misure protettive possa pregiudicare l'esito delle trattative. In ogni caso, la tutela posticipata, accordata ai creditori, permette al giudice di revocare in qualsiasi momento le misure protettive e cautelari o di abbreviarne la durata, in particolar modo quando esse non soddisfano l'obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiono sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori. Pertanto, anche in sede di revoca delle misure protettive, la valutazione circa la sussistenza del fumus e del periculum è dirimente, in quanto il giudice è tenuto a verificare non solo la funzionalità delle singole misure richieste rispetto al buon esito delle trattative, ma anche la loro incidenza sui beni strumentali dell'impresa, necessari per la prosecuzione dell'attività nella prospettiva del suo risanamento, nonché la proporzionalità delle misure protettive individuate al fine di contemperare il sacrificio che ne deriva per il creditore.
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