Patti parasociali e tutela d'urgenza

22 Giugno 2023

Il Tribunale di Milano analizza l'ammissibilità della tutela cautelare, nelle forme di cui all'art. 700 c.p.c., per la prevenzione di inadempimenti di un patto parasociale.
Massima

La validità del patto parasociale avente ad oggetto il voto relativo alla struttura dell'organo amministrativo, alla scelta e alla nomina degli amministratori, riconducibile alla fattispecie di cui all'art 2341-bis lett. a) c.c., impone in via generale di riconoscere tutela al patto anche in via d'urgenza, quantomeno nei limiti dell'inibizione a comportamenti contrari all'assetto negoziale concluso, nelle ipotesi in cui si ravvisino i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

La tutela anticipatoria d'urgenza rispetto ad una domanda di adempimento del patto parasociale ad efficacia obbligatoria non si risolve in una tutela reale, né nell'attribuzione al patto obbligatorio di una qualche efficacia reale, atteso che il provvedimento eventualmente impartito resta vincolante nei soli rapporti tra i paciscenti senza che possa incidere sulla validità̀ degli atti societari, sul contenuto della delibera e sul funzionamento degli organi societari; né è di ostacolo all'ammissibilità di un tale tipo di tutela d'urgenza l'ineseguibilità in via coattiva della pronuncia, considerato l'orientamento consolidato della Corte di legittimità̀ circa la possibilità̀ di emettere condanne ad un facere infungibile.

Il caso

Alcuni partecipanti ad un patto parasociale (una società e alcune persone fisiche) proponevano al Tribunale una domanda di merito per la risoluzione del patto per grave inadempimento ex art. 1453 c.c. di un'altra società partecipante al patto stesso e la condanna di quest'ultima al pagamento della penale contrattualmente prevista.

La società convenuta si costituiva nella causa di merito contestando di essere inadempiente e sostenendo l'infondatezza dell'azione di risoluzione; insisteva, quindi, per la manutenzione del patto e, in considerazione del fatto che la società attrice aveva già manifestato la volontà̀ di non adempiere, chiedeva che l'attrice fosse condannata a dare adempimento alle previsioni del patto.

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto in corso di causa la società convenuta chiedeva al Tribunale, in particolare, di ordinare alla società attrice di adempiere al patto e, quindi, di partecipare all'assemblea già convocata e di esprimere un voto che riflettesse l'impegno assunto con il patto parasociale, nella parte in cui stabiliva che l'attrice e la convenuta si obbligavano a nominare nel consiglio di amministrazione della società partecipata quattro amministratori indicati dalla società convenuta e uno dalla società attrice; in una formulazione alternativa la misura era richiesta nel senso di inibire alla controparte di inadempiere le obbligazioni assunte col contratto parasociale e, quindi, di assentarsi dalle assemblee e di votare in violazione delle pattuizioni de quibus. La società attrice, resistendo nel procedimento cautelare, affermava di non ritenersi più vincolata dal patto parasociale per la cui risoluzione aveva agito nel merito stante l'inadempimento della convenuta, ribadendo che non avrebbe indicato un suo esponente quale componente del nuovo C.d.A. e che non avrebbe preso parte all'assemblea, non essendo interessata ai punti posti all'ordine del giorno.

Le questioni giuridiche e la soluzione.

Il provvedimento in commento si iscrive nel filone dottrinale e giurisprudenziale favorevole al riconoscimento di forme di tutela cautelare per la prevenzione del temuto inadempimento al patto parasociale.

Il percorso argomentativo dell'ordinanza merita di essere qui brevemente ripercorso.

L'accordo contenuto in un patto parasociale sulla composizione del consiglio di amministrazione, (che qui impegnava le parti a nominare un C.d.A. della società composto da cinque consiglieri, di cui quattro indicati da una società partecipante al patto e uno dall'altra partecipante) è stato ritenuto sussumibile nella fattispecie dei patti previsti dall'art. 2341-bis comma 1, lett. a), c.c. (quella cioè dei patti che “hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto”), perché, per conseguire il risultato programmato, implicava necessariamente l'esercizio di un voto in assemblea. L'estensore dell'ordinanza ha avuto cura di precisare che in tal modo le due paciscenti avevano regolato il diritto di voto derivante dal rapporto sociale con effetti limitati tra esse contraenti, mentre nei rapporti con la società ciascuna socia non era formalmente vincolata dall'impegno assunto sul piano parasociale: il patto, quindi, non risultava in contrasto con la libera espressione del diritto di voto del socio in assemblea, né metteva in discussione l'attribuzione all'assemblea del potere di nomina dell'organo amministrativo. È proprio perché l'effetto del patto resta soltanto interno al rapporto parasociale e non si riflette sull'organizzazione societaria che il tribunale riconosce l'ammissibilità di una tutela cautelare del patto: così come la liceità del patto viene riconosciuta perché lo stesso non produce effetti diretti nei confronti della società, allo stesso modo la possibilità di una tutela cautelare del patto è riconosciuta nei limiti in cui con la pronuncia non si interviene sulla validità degli atti societari, sul contenuto della delibera o sul funzionamento degli organi.

La motivazione dell'ordinanza riflette uno degli aspetti del dibattito sulla liceità dei patti che, rispetto al periodo precedente al TUF e alla riforma del 2003, si è notevolmente ridimensionato – non essendo più possibile negarne la liceità in linea di principio – ma è ancor oggi vivo in relazione ad almeno tre diversi profili: il primo è quello per cui sarebbe tuttora possibile vagliare la liceità di singoli patti o singole clausole in ragione dell'oggetto o della causa concreta; il secondo è quello della validità dei patti o delle clausole c.d. “ad efficacia reale”, nei quali cioè si faccia ricorso a meccanismi tali da sottrarre al pattista ogni libertà nella scelta tra adempimento e inadempimento del patto (ad esempio, il mandato collettivo irrevocabile ex art. 1726 c.c., il rilascio di procure di voto irrevocabili; la girata per procura; il conferimento delle partecipazioni in un trust); il terzo profilo, preso in esame dall'ordinanza in commento, è quello relativo alle tutele giudiziali esperibili a fronte dell'inadempimento (o del rischio di inadempimento), con particolare riguardo all'ammissibilità di una tutela cautelare anticipata (sul punto, ampiamente M. Donativi, I patti parasociali, in Id. (diretto da), Trattato delle società, Torino, 2022, I, 283 ss.).

Il primo profilo qui non viene in considerazione – come ha cura di premettere il tribunale in esordio della motivazione – perché nella concreta fattispecie il patto aveva ad oggetto l'esercizio del diritto di voto e la sua legittimità già discendeva dall'espressa previsione normativa dell'art. 2341-bis comma 1, lett. a), c.c. Anche il secondo profilo non viene direttamente affrontato nell'ordinanza, considerato che le parti (come si evince dalla lettura della parte motiva del provvedimento) non avevano previsto alcun meccanismo tale da sottrarre ai pattisti ogni libertà nella scelta tra adempimento e inadempimento del patto, se non una penale per l'inadempimento: la libertà del voto, pertanto, risultava solo condizionata, ma non del tutto rimossa, considerato che – per dirla con le parole di Cass. 23 novembre 2011 n. 14865 (in Giur. Comm. 2002, II, 666), a cui l'ordinanza in commento fa evidente riferimento pur senza citarla – “al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto, ogni qual volta l'interesse a un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto”.

In relazione al terzo profilo, direttamente preso in esame dall'ordinanza, è discusso se a tutela del patto siano esperibili solo rimedi di tipo risarcitorio o comunque obbligatorio, volti ad ottenere la condanna al risarcimento del danno o al più siano ammissibili provvedimenti costitutivi di trasferimenti coattivi di partecipazioni sociali suscettibili di esecuzione forzata nei termini di cui all'art. 2932 c.c. (a fronte di clausole call o put option attivabili quale reazione alla violazione degli impegni contrattuali); o se sia, invece, possibile accedere a forme di tutela c.d. “reale”. Con questa espressione in giurisprudenza si fa in realtà riferimento a provvedimenti di diversa natura, tra cui (i) i provvedimenti contenenti ordini o divieti in ordine al voto o all'esercizio degli altri diritti sociali, (ii) i provvedimenti che prevedono la nomina di un ausiliario del giudice, delegato ad esprimere il voto in luogo del socio o (iii) i provvedimenti contenenti misure di coercizione indiretta ex art. 614-bis c.p.c. A differenza dei provvedimenti sub (ii), che evidentemente di fatto escludono la permanenza di un margine di libertà del socio nell'esercizio del voto, i provvedimenti sub (i) e (iii) possono reputarsi ammissibili anche qualora si ritenga la tutela cautelare ammissibile nei soli limiti in cui rimanga in capo al socio una residua sfera di libertà nell'esercizio del voto, potendo egli pur sempre scegliere di rendersi inadempiente, naturalmente sopportando le conseguenze di tale inadempimento.

Come anticipato, nell'ordinanza in commento il tribunale ammette la possibilità di pronunciare in via cautelare provvedimenti come quelli sub (i), negandone, tuttavia, la qualifica di tutela “reale”, atteso che il provvedimento eventualmente impartito resta vincolante nei soli rapporti tra i paciscenti, senza che possa incidere sulla validità̀ degli atti societari, sul contenuto della delibera e sul funzionamento degli organi societari (individua il tratto distintivo della tutela reale nell'attribuzione ai soci del potere di modificare le regole dell'organizzazione societaria, per negarne l'ammissibilità, anche Trib. Milano 4 gennaio 2020, in Giur. It, 2021, 126); esclude, invece, il tribunale che “si possa sostituire la presenza del socio in assemblea con altri” e, quindi, ritiene indirettamente che sia inammissibile un provvedimento del tipo di quelli indicati sub (ii) (il riferimento all'incidenza sulla validità degli atti della società e sulle regole di funzionamento dell'ente escluderebbe evidentemente anche la possibilità, ad esempio, di ordinare la sospensione della convocazione di un organo sociale o di pronunciare l'annullamento di una deliberazione adottata con il voto determinante di un pattista inadempiente). In relazione, infine, ai provvedimenti del tipo sub (iii), che pure erano stati richiesti dalla ricorrente, il tribunale – pur non negandone in linea di principio l'ammissibilità – ha ritenuto che la previsione contrattuale di un'ingente penale per l'inadempimento comportasse l'assorbimento della loro rilevanza nella concreta fattispecie.

La questione dei rimedi esperibili presenta, inoltre, profili ulteriori di complessità che si manifestano sul terreno più prettamente processuale e consistono anzitutto nel dubbio relativo all'ammissibilità̀ di una pronuncia (qui sulla domanda cautelare) ineseguibile in via coattiva; dubbio che il tribunale ha fugato col riferimento al consolidato orientamento della Corte di legittimità circa la possibilità di emettere condanne ad un facere infungibile (Cass 9957/1997 e Cass 19454/2011; Trib. Roma, 23 luglio 2003, in Foro it., 2003, I, 2838).

Una volta esclusa, all'esito di un'articolata disamina dei profili fattuali dedotti in giudizio dalle parti, la fondatezza dell'eccezione di inadempimento opposta dalla resistente (che nel merito aveva chiesto, come rilevato, la dichiarazione di risoluzione del patto sulla base di quegli stessi inadempimenti), il tribunale è giunto alla conclusione della sussistenza del fumus boni iuris; il periculum in mora, è stato, invece ritenuto sussistente alla luce dell'espressa intenzione della resistente di non partecipare all'assemblea o comunque di non votare in linea con gli impegni assunti con il patto parasociale, cosicché il pericolo di mancata attuazione del diritto della ricorrente risultava concreto, considerando che l'assemblea era già̀ stata convocata e che la mancata partecipazione della resistente o comunque il suo voto non in conformità all'assetto del patto parasociale avrebbero determinato una diversa composizione dell'organo amministrativo della società.

Osservazioni

Merita di essere osservato che la ricorrente aveva formulato la domanda cautelare in due modalità alternative: con la prima si chiedeva al tribunale di ordinare alla resistente di adempiere alle obbligazioni assunte con il patto parasociale; con la seconda, di “inibire […] di inadempiere le obbligazioni assunte col contratto parasociale”. Il tribunale ha ritenuto di accogliere la domanda con riferimento alla seconda alternativa prospettata in ricorso e, quindi, inibendo alla resistente di porre in essere, in relazione alla già convocata assemblea, condotte in contrasto con l'assetto negoziale contenuto nel patto parasociale, che non tenessero cioè conto dei diritti della ricorrente derivanti dal patto parasociale quanto alla composizione del consiglio di amministrazione. La scelta del tribunale, pur non motivata, è stata presumibilmente ritenuta maggiormente coerente con l'esigenza di incidere in misura minore sulla libertà di determinazione del socio pattista (non imponendo cioè allo stesso di tenere un preciso comportamento), ma a ben vedere risulta di contenuto più ampio, potendo in linea di principio impedire anche qualsiasi comportamento che – pur recando formale ossequio al patto – ne contraddica lo spirito ovvero che si accompagni all'adozione del comportamento imposto dal patto, impedendo però nei fatti il raggiungimento del risultato programmato (per la concessione della misura cautelare nel senso dell'ordine di votare in conformità al patto, invece, Trib. Genova 8 luglio 2004, in Banca Borsa Tit. Cred., 2006, II, 236; Trib. Milano, 20 gennaio 2009, in Soc., 2009, 1129).

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