Discriminatoria l'applicazione analogica della Direttiva madre-figlia in ambito IRAP
23 Giugno 2023
La Direttiva “madre-figlia”
La Direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale applicabile alle società madri e figlie residenti in Stati membri diversi, è diretta ad esentare dalla tassazione gli utili distribuiti all'interno dei gruppi societari residenti in Stati membri UE. La doppia detassazione avviene esentando dall'imposta i dividendi percepiti dalla società madre, con facoltà di tassare un importo forfettario non superiore al 5% degli utili in correlazione alla deducibilità dei costi di partecipazione (art.4); gli utili distribuiti dalla società figlia alla società madre sono esenti da ogni tassazione (art. 5).
Il caso
Una società presentava un'istanza di rimborso dell'Irap ritenuta indebitamente versata per effetto della inclusione nella base imponibile dei dividendi ricevuti da tre società figlie residenti in Stati membri dell'Unione Europea, inclusione effettuata nella misura del 50% del loro ammontare ai sensidell'art. 6 lett. a) del d.lgs. 446/1997. Secondo l'istante, la predetta norma domestica sarebbe in contrasto con l'art. 4 della Direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale applicabile agli utili distribuiti dalle società madri da parte di società figlie di Stati membri diversi. L'Agenzia delle Entrate rigettava la richiesta di rimborso negando l'efficacia diretta della Direttiva in parola e osservando che gli obblighi da essa derivanti devono essere recepiti nel diritto nazionale per poter essere invocati direttamente nei confronti di un singolo. L'Ufficio aveva, altresì, sostenuto la cumulabilità delle imposizioni Ires ed Irap in ragione della diversità dei presupposti impositivi. Fra i motivi di impugnazione, la ricorrente:
Il “no” all'analogia
Secondo i giudici “del riesame”, non esiste alcun dato letterale o logico nella Direttiva “madre-figlia” sì da legittimare una applicazione analogica all'Irap delle esenzioni previste con specifico riferimento all'Ires. L'imposta regionale sulle attività produttive, ha osservato il Collegio, non è un'imposta sul reddito ma ha, quale presupposto impositivo, “l'esercizio abituale di una attività autonoma organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi” (art. 2, comma 1, d.lgs. n. 446 del 1997); i soggetti passivi sono le società commerciali, le persone fisiche esercenti attività commerciali, i professionisti (art. 3 del citato d.lgs). Gli interpreti, poi, effettuano in motivazione un richiamo alla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale; i soggetti passivi sono le società commerciali, le persone fisiche esercenti attività commerciali, i professionisti (art. 3 del citato d.lgs). Gli interpreti, poi, effettuano in motivazione un richiamo alla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale la quale ha negato che l'Irap sia basata su un fatto non espressivo di capacità contributiva e, in particolare, ha affermato che “nel caso dell'Irap il legislatore ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva il valore aggiunto prodotto dalle attività economicamente organizzate…l'imposta colpisce , con carattere di realità, un fatto economico diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità contributiva”. La eterogeneità del fatto generatore dell'Irap e la diversità dell'ambito applicativo di essa rispetto all'imposta sul reddito delle società, impedisce, secondo la Corte di Giustizia Tributaria lombarda, una forzosa estensione (o applicazione analogica) dei principi dettati dalla Direttiva “madre-figlia”, come interpretati dalla giurisprudenza della CGUE. Essendola la base imponibile Irap costituita da “fatto economico diverso dal reddito” è esclusa la possibilità di prefigurare un contrasto con la Direttiva “madre-figlia “che, secondo l'espresso disposto dell'art.2, lett. a) punto iii), si applica esclusivamente alle imposte sul reddito delle società o ad imposta che la sostituisce, secondo l'elenco che la denominazione di tale imposta assume nei vari Stati membri della U.E. Né, secondo i giudici milanesi, risulta destituita di fondamento giuridico la pretesa di disapplicare l'art. 6 comma 1 lett.a) d.lgs. 446/1997 nella parte in cui stabilisce che i dividendi percepiti concorrono (in misura dimezzata) alla formazione dell'imponibile Irap. Viene anche citata dal Collegio una sentenza della CGUE contraria alla tesi della parte privata (17 maggio 2017 C-365/16) la quale, pronunciando sul rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato francese, ha stabilito la contrarietà alla Direttiva madre figlia della previsione di una imposta aggiuntiva (addizionale all'imposta sulle società) applicata dall'Amministrazione finanziaria francese nel momento in cui la società madre distribuiva gli utili, ivi compresi quelli provenienti dalle società figlie non residenti ( che devono invece rimanere esenti). La contrarietà alla Direttiva madre figlia è stata ritenuta dagli euro giudici per essere l'imposta francese costituita da una addizionale all'imposta sul reddito delle società, cioè di una imposta del tutto omogenea rispetto a quella alla quale si aggiunge.
La violazione del principio di non discriminazione
Secondo la Corte lombarda, la circostanza che la Direttiva madre-figlia non sia suscettibile di applicazione diretta nell'ordinamento nazionale è dimostrato dal fatto che, per darvi esecuzione ai fini della esenzione o rimborso dell'Ires, è stato necessario introdurre nell'ordinamento nazionale un'apposita norma (l'art. 27-bis del d.P.R. n. 600/1973). Avallare la tesi della società, avrebbe comportato «una violazione proprio il principio di non discriminazione che è alla base della stessa Direttiva madre figlia: i dividendi distribuiti da società figlie nazionali a società madri residenti sarebbero imponibili ai fini Irap a norma dell'art. 6 d.lgs. 446/1997; gli stessi dividendi distribuiti da società figlie residenti in altri Stati U.E. alla società madre residente sarebbero esclusi dalla imponibilità ai fini Irap». |