Dietrofront sulle nuove condizioni per il cram down fiscale-contributivo negli ADR

La Redazione
26 Giugno 2023

Le novità contenute nell'art. 25 della bozza di decreto in discussione presso il CDM lo scorso 15 giugno – sospensione dell'applicazione della disciplina codicistica dell'omologa forzosa degli accordi di ristrutturazione della crisi e aggravamento della possibilità di ricorrere a tale strumento con nuove ed ulteriori condizioni – non hanno trovato sede nel testo definitivo del D.L. 75/2023.

Nella bozza di decreto “PA-Sport”, oggetto di discussione in sede di riunione del Consiglio dei Ministri n. 39 del 15 giugno scorso (“Disposizioni urgenti in materia di organizzazione della pubblica amministrazione, di sport e per l'organizzazione del Giubileo della Chiesa cattolica 2025”), erano contenute, all'art. 25, alcune modifiche al Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, le quali non sono state trasposte nel testo definitivo del D.L. 75/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 giugno scorso.

In particolare, la bozza dell'art. 25 prevedeva, per le proposte di transazione fiscale depositate in data successiva all'entrata in vigore del decreto, la sospensione temporanea delle disposizioni di cui all'art. 63, comma 2, ultimo periodo, e comma 2-bis CCII ed una disciplina sostitutiva da applicarsi nel periodo di sospensione.

Come noto, le norme oggetto della (mancata) sospensione contengono la disciplina dell'omologazione “forzosa”, da parte del Tribunale, degli accordi di transazione fiscale-contributiva – il c.d. cram down fiscale-contributivo – nel caso in cui alla proposta di accordo presentata dal debitore non prestino adesione l'amministrazione finanziaria o gli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, laddove tale adesione sia determinante ai fini del raggiungimento delle soglie previste per l'ammissibilità degli accordi di ristrutturazione dei debiti e la proposta risulti conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria.

Queste norme svolgono, in altre parole, una funzione “coercitiva”: costringono il fisco e gli enti di previdenza o assistenza obbligatorie allo stralcio dei crediti vantati nei confronti dell'imprenditore che ricorra allo strumento degli accordi di ristrutturazione (artt. 57 e ss. CCII) per ovviare al proprio stato di crisi o di insolvenza, superando così il loro diniego (o la loro inerzia) alla proposta di transazione fatta ai sensi del comma 1 dell'art. 63 CCII.

Orbene – anche in ragione di un impiego (da alcuni) ritenuto abusivo di questo strumento – l'applicazione di tale disciplina avrebbe dovuto essere sospesa “fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo integrativo o correttivo dell'art. 63 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n 14, da adottarsi ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 marzo 2019, n. 20, o della legge 22 aprile 2021, n. 53”.

La sospensione non avrebbe riguardato:

  • le norme che disciplinano in generale, per gli accordi di ristrutturazione della crisi, le proposte di transazione fiscale-previdenziale (vengono sospese, infatti, solo le previsioni relative all'omologazione forzosa di tale proposta);
  • la transazione fiscale e l'eventuale omologazione forzosa previste dal Legislatore nell'ambito del concordato preventivo ex art. 88 CCII.

L'art. 25 della bozza di decreto non si limitava, tuttavia, a sospendere in toto la disciplina del cram down fiscale-contributivo negli accordi di ristrutturazione, ma conteneva altresì – ai commi 2, 3, 4 e 5 – la diversa disciplina da applicarsi in via sostitutiva agli accordi fiscali-contributivi per il periodo di sospensione.

In particolare, la possibilità per il Tribunale di omologare “forzosamente” gli accordi di ristrutturazione sarebbe stata aggravata da alcune (ulteriori) condizioni,in aggiunta a quelle – già contemplate dalla versione originale dell'art. 63, comma 2-bis, CCII – del carattere determinante dell'adesione dell'amministrazione ai fini delle soglie ex artt. 57, comma 1, CCII e 60, comma 1, CCII e della convenienza della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria.

Tali ulteriori condizioni avrebbero dovuto essere le seguenti:

  • gli accordi non devono avere carattere liquidatorio;
  • il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione deve essere pari ad almeno un quarto dell'importo complessivo dei crediti;
  • il soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è almeno pari al 30% dell'ammontare dei rispettivi crediti, sanzioni e interessi inclusi.

Inoltre, la bozza di articolo 25 conteneva le seguenti parole: “se l'ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione è inferiore a un quarto dell'importo complessivo dei crediti, la disposizione di cui al comma 2 può trovare applicazione, fatto salvo il rispetto delle condizioni di cui alle lettere a), b) e d) del medesimo comma 2, se la percentuale di soddisfacimento dei crediti dell'amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie non è inferiore al quaranta per cento dell'ammontare dei rispettivi crediti, sanzioni e interessi inclusi, e la dilazione di pagamento richiesta non eccede il periodo di dieci anni, fermo restando il pagamento dei relativi interessi di dilazione in base al tasso legale vigente nel corso di tale periodo”.

Infine, sempre secondo la mancata modifica, sarebbe rimasto invariato (rispetto all'originale art. 63, comma 2, ultimo periodo, CCII) il termine entro cui l'amministrazione finanziaria e gli enti gestori devono prestare l'eventuale adesione, ovvero 90 giorni decorrenti dal deposito della proposta di transazione.

Non si conoscono, allo stato, le ragioni ufficiali della espunzione delle sopra descritte modifiche al Codice della Crisi dal D.L. 75/2023, posto che le stesse potrebbero trovare sede in futuri interventi dell'esecutivo in seguito a più approfondite ponderazioni.

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