Cassazione senza rinvio

20 Dicembre 2015

Chiusura in rito del processo, non essendoci alcuna possibilità, né alcuna necessità, di un giudizio di merito ex novo, ovvero della rinnovazione di quello originario a seguito della cassazione della sentenza.

Inquadramento

L'art. 382 c.p.c., rubricato «Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza» si divide in due parti strutturali che si distinguono per il differente segno della pronuncia. Nelle ipotesi previste dai primi due commi, ossia la decisione della questione di giurisdizione con la relativa statuizione, e la cassazione per violazione delle norme sulla competenza, il precedente della Corte è di natura vincolante, anche in caso di successiva estinzione del processo, e non già, ai sensi della disciplina generale, meramente persuasivo, atteso che la Corte determina, quando occorre, il giudice competente e che questa determinazione è definitiva e vincolante. Diversamente, la previsione del terzo comma della norma regola l'ipotesi della cassazione senza rinvio qualora il giudice di cui si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettino di giurisdizione, così come qualora la Corte ritenga che la causa non poteva essere proposta né il processo proseguito.

Si tratta di fattispecie che sono sostanzialmente accomunate dalla chiusura in rito del processo dato che non vi è alcuna possibilità, né alcuna necessità di un giudizio di merito ex novo ovvero della rinnovazione di quello originario a seguito della cassazione della sentenza.

A queste ipotesi va aggiunta quella ex  art. 384, comma 2, c.p.c., ossia la cassazione sostitutiva nel merito.

In evidenza

L'art. 382 c.p.c. stabilisce che quando la Corte decide una questione di giurisdizione statuisce su questa, determinando, ove occorra, il giudice competente. Allorché cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa. Laddove riconosca che il giudice di cui si impugna il provvedimento nonché ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio e allo stesso modo provvede ove si trovi in un'ipotesi di improponibilità della domanda o improseguibilità del processo.

Ambito di applicabilità

Il comma 1 dell'art. 382 c.p.c. fa riferimento all'ipotesi della pronuncia sulla giurisdizione e in tal caso le Sezioni Unite statuiscono sulla giurisdizione, determinando, solo ove occorra, il giudice munito di competenza giurisdizionale.

A tale pronuncia le Sezioni Unite possono pervenire sia allorché pronunciano sul ricorso per regolamento ex art. 41 c.p.c., sia quando, ai sensi dell'art. 360, comma 1, c.p.c. cassano la sentenza per il riscontro di vizi attinenti alla violazione delle regole sulla giurisdizione. Nella previsione del comma 2 della norma in analisi la pronuncia sulla competenza, emessa dalle sezioni semplici della Corte, si verifica quando la Corte riscontra la violazione delle norme sulla competenza e, pertanto, cassa la sentenza impugnata, statuendo sulla stessa. A questa pronuncia si può pervenire o in sede di regolamento necessario o facoltativo di competenza o a seguito di ricorso ordinario proposto ai sensi dell'art. 360, n. 2, c.p.c.

Infine, il comma 3 della norma, regola le ipotesi di cassazione senza rinvio, cui bisogna aggiungere quella disciplinata dall'art. 384, comma 2, ultima parte, c.p.c., ossia la cassazione sostitutiva nel merito. Questa disposizione regola in realtà ipotesi differenti che possono essere catalogate come difetto assoluto di giurisdizione, improponibilità della domanda e improseguibilità del giudizio.

Difetto assoluto di giurisdizione

Come evidenziato, il comma 3 dell'art. 382 c.p.c., disciplina le ipotesi di cassazione senza rinvio, cui, tuttavia, va aggiunta quella prevista dall'art. 384, comma 2, ultima parte, c.p.c. ossia la cassazione sostitutiva del merito (alla cui bussola si rinvia). Le ipotesi comprese nella previsione del comma in parola sono, in particolare,

  • il difetto di giurisdizione,

  • l'improponibilità della domanda,

  • l'improseguibilità del giudizio.

La prima fattispecie disciplinata è quella del difetto assoluto di giurisdizione, anche noto come improponibilità assoluta della domanda sia dinanzi al giudice il cui provvedimento viene impugnato sia davanti ad ogni altro giudice.

Si tratta, ancora più specificamente, della proposizione al giudice ordinario di una domanda relativa ad una materia che rientra nei poteri della P.A. con la conseguenza che essa non può comportare l'esercizio di alcuna funzione giurisdizionale. A titolo meramente esemplificativo si ricorda che la giurisprudenza ha affermato l'esistenza del difetto assoluto in parola rispetto al sindacato di atti di natura politica (Cass. civ., sez. un., ord., 5 giugno 2002, n. 8157Cass. civ., 8 gennaio 1993, n. 124, in Giust. Civ., 1993, I, 1525, con nota di Corsinovi), ovvero in materia di elezioni parlamentari (Cass. civ., sez. un., 6 aprile 2006, n. 8118, in D&G, 22, 58) o, ancora, a volte, del c.d. eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo (Cass. civ., sez. un., 21 dicembre 2005, n. 26263).

Comunemente, l'art. 382, comma 3,c.p.c. è stato inteso nel senso che, mediante la cassazione senza rinvio che vi è prevista, si potrebbe pervenire soltanto ad una (immediata) declaratoria di absolutio ab instantia. La posizione della giurisprudenza nel tempo si è conformata per lo più a questa impostazione, assegnando all'operatività della norma questioni tipicamente processuali. Di conseguenza, il modello decisorio in esame è stato impiegato dalla Corte Suprema in accoglimento di ricorsi per cassazione contro decisioni di appello che avevano pronunziato nel merito a dispetto della inammissibilità o improcedibilità del gravame o in caso di ultrapetizione o di domanda nuova irritualmente introdotta, ecc. (altrettanti casi di «improseguibilità»).

La cassazione senza rinvio è stata poi pronunziata, sul fondamento della norma, in esito alla verifica postuma della carenza, anche sopravvenuta, di un presupposto processuale (Cass. civ., 3 marzo 1995, n. 2463;

Cass. civ., 25 maggio 1995, n. 5738Cass. civ., 29 ottobre 1996, n. 9446Cass. civ., 6 marzo 2000, n. 2517, in Foro it., 2000, I, p. 1474) (e si tratta allora di «improponibilità» della causa).

Nel tempo, peraltro, si è assistito ad un utilizzo della norma che va al di là dei confini delineati, circoscritti alla questione processuale diretta ad una absolutio in rito e cioè ab instantia e non ab actione. Vi sono state cioè decisioni che hanno esteso la cassazione senza rinvio al merito della causa, prima che una disposizione apposita lo consentisse e il riferimento è all'art. 384 c.p.c.

Vi si è fatto ricorso per dichiarare la prescrizione del diritto dedotto in giudizio (Cass. civ., 21 maggio 1958, n. 1707, in Foro it.,1959, I, p. 264 ss) non meno che la sua decadenza, con la conseguenza che la pronunzia di cassazione senza rinvio dissimulava di rigetto della domanda originariamente dedotta in giudizio. Se oggi un consimile epilogo è senz'altro ammesso da un precetto apposito, prima della sua introduzione se ne poteva senz'altro dubitare ed anzi l'opinione maggioritaria tendeva senz'altro ad escluderlo. Alla base della dilatazione della portata dell'art. 382, comma 3, c.p.c. vi era però la rimarchevole aspirazione di evitare alle parti una appendice processuale di fronte al giudice di rinvio ritenuta sostanzialmente inutile.

L'ampliamento giurisprudenziale delle ipotesi di cassazione senza rinvio, pur contrastato dalla dottrina, non ha mancato di raccogliere anche significativi consensi in dottrina. Si è cercato da taluni di razionalizzare una tendenza dai più giudicata, invece, extra ordinem. Stando all'art. 383, comma 4, c.p.c., a seguito della cassazione del provvedimento di primo grado (che la parte dovette impugnare dinanzi al Supremo Collegio, in conseguenza della adozione della ordinanza di inammissibilità) si apre, salva l'applicazione dell'art. 382 c.p.c., un «giudizio di rinvio» delineato dagli artt. 392 e ss. c.p.c., dinanzi al «giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull'appello».

Il che, se si rammenta la struttura (c.d. “chiusa”) di tale giudizio, non può che sorprendere. In effetti, nella normalità dei casi, dall'annullamento del provvedimento di primo grado da parte della Cassazione si può agevolmente arguire l'indebita emanazione della ordinanza di inammissibilità ad opera del giudice di appello. Sarebbe perciò logico attendersi la celebrazione di un ordinario giudizio di secondo grado, a suo tempo impedita per errore.

Improponibilità della causa

L'altra ipotesi disciplinata dal comma 3 dell'art. 382 c.p.c. è quella della c.d. improponibilità originaria ed oggettiva della domanda.

Di fronte ad una norma di così ampia formulazione è stato facile procedere ad analitiche distinzioni a partire dalla suddivisione della nozione di «improponibilità»: vi è «improponibilità oggettiva» della domanda quando il processo, con la domanda che lo instaura e la sentenza che lo conclude, abbiano per oggetto un provvedimento che non rientri fra i tipi nominati e definiti dalla norma, oppure decampi dall'ambito del potere-dovere giurisdizionale; ovvero, secondo taluni, in caso di carenza dei presupposti processuali attinenti all'oggetto del processo. Se la «causa non poteva essere proposta», il giudice dovrebbe dichiararla improponibile, nonostante gli sia stata sottoposta, e rigettarla a monte, senza scendere ad un esame del merito. Se il giudice omette di farlo e la causa arriva fino in Cassazione, la Corte di vertice deve cassare senza rinvio: cassando, cioè, proclama che il giudice adito avrebbe dovuto rigettare in rito la domanda senza entrare nel merito quoad factum.

Ma nell'espressione «causa che non poteva essere proposta» vanno ricompresi anche quei difetti concernenti la capacità di agire nel processo, e cioè la c.d. improponibilità soggettiva. Insomma, danno materia alla prima delle due ipotesi di cui si compone l'inciso finale dell'art. 382, comma 3, cit., tutti quei casi in cui la Suprema Corte riscontri la mancanza di un presupposto di proponibilità della domanda.

Con riferimento alla legittimazione ad agire, ad esempio, si può ricordare che dalla fine degli anni '60 del secolo scorso, la Corte di cassazione ha affermato che una cosa è la titolarità della situazione di diritto sostanziale controversa e altra cosa è la legittimazione, intesa come aspirazione a conseguire un provvedimento di merito (sia esso favorevole o sfavorevole), e ne ha inferito che questa (legittimazione come affermazione di titolarità della res controversa) - e non quella (legittimazione come effettiva titolarità del diritto) - deve essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salva l'ipotesi in cui si sia formato il giudicato interno sul punto, e, quindi, anche dalla Cassazione che, superando lo schermo degli accertamenti del giudice di merito, può procedere al diretto esame degli atti (e dei fatti). Diversamente da quanto ritenuto fino a quella data, il Supremo Collegio ha così limitato la sua iniziativa officiosa «nel campo della legittimazione in senso processuale» estromettendola «dal settore della titolarità di diritto sostanziale». Su questo profilo e sui cambiamenti dovuti all'introduzione dell'art. 384 c.p.c. si veda la relativa bussola .

Improseguibilità del processo

L'altra ipotesi alla quale è subordinata la decisione di cassazione senza rinvio è quella del «processo» che non poteva «essere proseguito».

Quanto alla “improseguibilità”, va ravvisata in motivi di carattere strettamente processuale. Si distingue, piuttosto, fra invalidità relative al primo grado di giudizio, ed invalidità formatesi in pendenza del giudizio di secondo grado.

Nel primo gruppo di ipotesi rientra l'estinzione (erroneamente non dichiarata) del processo, come pure il caso della nullità non sanata che infici il processo sin dall'inizio. Quanto a quest'ultima, non sempre viene esplicitato, o è comunque di agevole intelligenza, il criterio sulla cui base si assegna la specifica fattispecie a questa categoria od invece a quella distinta della «improponibilità» (pure contemplata, come veduto, nel comma 3, art. 382, cit.).

Nel secondo gruppo di ipotesi si riconducono l'inammissibilità, l'irricevibilità o l'improcedibilità dell'appello, nonché l'estinzione del giudizio che erroneamente non siano state dichiarate dal giudice del gravame. Si indicano pure i casi di proposizione irrituale (ché violativa del disposto di cui all'art. 345 c.p.c.) di domanda nuova in appello egualmente decisa nel merito o – ancora nel processo di secondo grado – le fattispecie di ultra o extrapetizione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.