Il privilegio processuale del creditore fondiario nella liquidazione controllata del sovraindebitato

29 Giugno 2023

Il presente lavoro indaga l'estensione applicativa del privilegio processuale fondiario disposto dall'art. 41 comma 2, TUB alle diverse procedure concorsuali – prima e dopo l'avvento del CCII – e in particolare nella liquidazione controllata del sovraindebitato.

Premessa

Nel regolare gli effetti dell'apertura della liquidazione controllata, l'art. 270, comma 5, CCII rinvia all'art. 150 CCII, a mente del quale “Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura”.

Ciò significa che, in virtù dell'inciso “salvo diversa disposizione della legge”, troverebbe applicazione l'art. 41, comma 2, T.U.B. (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), ai sensi del quale l'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore.

Si tratterebbe, tuttavia, di una deroga al divieto di azioni esecutive individuali operativa esclusivamente nel caso di “fallimento del debitore” (oggi liquidazione giudiziale) e non anche nell'ipotesi di liquidazione controllata del sovraindebitato, come confermato dalla prevalente giurisprudenza di merito consolidatasi sotto la l. n. 3/2012, che ha negato un'applicazione analogica, trattandosi di norma eccezionale che non può essere estesa a procedure concorsuali diverse da quelle specificamente contemplate nel testo dell'art.41, comma 2, T.U.B., che peraltro nessuna modifica ha subito rispetto alle procedure disciplinate dal Codice della crisi.

Tuttavia, dall'esame dei primi provvedimenti emessi a partire dall'entrata in vigore del nuovo Codice, emerge un'evidente discrasia interpretativa tra la sentenza concorsuale - solitamente confermativa dell'orientamento consolidatosi sotto la l. n. 3/2012 - e il provvedimento del giudice dell'esecuzione, più aderente ad un'interpretazione estensiva, che equipara la liquidazione controllata alla liquidazione giudiziale, con ogni conseguente criticità sulla piena operatività del ruolo del liquidatore, titolare dell'amministrazione dei beni del sovraindebitato, rispetto all'attività del custode nominato in sede esecutiva.

La disciplina speciale del mutuo fondiario

La disciplina speciale del mutuo fondiario ipotecario, di cui al r.d. n. 646/1905 e al d.P.R. n. 7/1976, oggi essenzialmente contenuta nel d.lgs. n. 385/1993, autorizzando l'istituto mutuante a iniziare o proseguire l'azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito, configura un privilegio di carattere meramente processuale.

Secondo giurisprudenza consolidata, infatti, l'art. 41 T.U.B. si sostanzia nella possibilità attribuita al creditore fondiario non solo di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale, in deroga al generale divieto posto dall'art.51 l. fall., ma anche di conseguire l'assegnazione della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore nei limiti del proprio credito (Cass. civ., 28 maggio 2008 n. 13996).

Tuttavia, tale privilegio non esonera il creditore fondiario, al pari di tutti gli altri creditori, dall'applicazione della disciplina di cui all'art. 52 l. fall. (oggi art. 151, commi 2 e 3, CCI) in forza del quale tutti i crediti, anche se muniti di prelazione, devono essere accertati secondo le norme della Legge fallimentare.

Ciò significa che il creditore fondiario ha l'onere di insinuarsi al passivo del fallimento per trattenere definitivamente quanto assegnato temporaneamente all'esito della procedura esecutiva individuale. Ne deriva che davanti al giudice dell'esecuzione hanno rilievo gli accertamenti e la graduazione avvenuti in sede fallimentare, in modo che l'attribuzione provvisoria effettuata in sede esecutiva sia comunque modulata in concreto sulla base di quello che già risulta stabilito in sede fallimentare. Quindi, per ottenere l'attribuzione delle somme ricavate dalla vendita, il creditore fondiario deve documentare al giudice dell'esecuzione di avere sottoposto positivamente il proprio credito alla verifica del passivo in sede fallimentare, cioè di aver proposto l'istanza di ammissione al passivo del fallimento e di aver ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura.

Solo in tal caso il giudice dell'esecuzione potrà attribuire al creditore fondiario il ricavato della vendita e dovrà farlo nei limiti del provvedimento di ammissione. In caso contrario, laddove il creditore fondiario non abbia presentato l'istanza di ammissione al passivo, in violazione dell'art. 52 l. fall., ovvero il suo credito sia stato escluso dal passivo, l'intero ricavato della vendita non potrà che essere rimesso agli organi della procedura fallimentare, per essere distribuito in tale sede.

Il credito fondiario nelle procedure concorsuali diverse dal fallimento

La giurisprudenza di merito e di legittimità, sulla scorta del carattere eccezionale della norma prevista dall'art. 51 l. fall., e del tenore letterale della norma dell'art.1 del r.d. n. 646/1905, hanno sempre ritenuto non estendibile alle procedure concorsuali diverse dal fallimento la facoltà del creditore fondiario di iniziare o proseguire la procedura esecutiva individuale.

Così, ad esempio, in materia di concordato preventivo non opera il favor processuale nei confronti del creditore fondiario, atteso che il divieto, contenuto nell'art. 168 l. fall., di inizio o proseguimento di azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore ammesso al concordato preventivo, è assoluto e non derogato, in particolare, dall'art. 42 r.d. n. 646 del 1905 (Cass. civ., 7 novembre 1991,n. 11879; Cass. civ.19 marzo 1998, n. 2922). Ciò anche perché nella disposizione sull'automatic stay del concordato non sono previste deroghe, mentre in materia fallimentare l'art. 51 l. fall. reca espressamente l'inciso “salvo diverse disposizioni di legge”.

Preso atto che gli accordi di ristrutturazione producono sostanzialmente i medesimi effetti del concordato preventivo deve ritenersi preclusa la possibilità per il creditore fondiario, nell'ipotesi di definizione dell'accordo di ristrutturazione, di intraprendere azioni esecutive individuali.

Unica eccezione al sistema è l'ipotesi della liquidazione coatta amministrativa, cui deve ritenersi applicabile l'art. 51 l. fall. in forza dell'espresso richiamo a questa norma operato dall'art. 201 l. fall.

Deve ritenersi quindi consentito agli istituti di credito fondiario di promuovere e proseguire l'espropriazione individuale in base all'ipoteca iscritta a garanzia di mutuo (Cass. civ., 7 giugno 1988, n. 3847), nonostante una risalente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui l'art. 3 della l. n. 400/1975 – il quale dispone espressamente che sui beni compresi nella liquidazione coatta amministrativa degli enti cooperativi non può essere iniziata o proseguita alcuna azione esecutiva individuale, anche se prevista e ammessa da leggi speciali in deroga al disposto dell'art. 51 del r.d. n. 267/1942 – ha natura processuale e di immediata applicazione nelle controversie in corso (Cass. S.U., 28 aprile 1976, n. 1495).

Inapplicabilità del privilegio fondiario alle procedure da sovraindebitamento disciplinate dalla l. n. 3/2012

Con riferimento alle interferenze tra sovraindebitamento ed esecuzione individuale, in particolar modo in relazione al privilegio processuale riconosciuto al creditore fondiario, la giurisprudenza di merito ha avuto modo di chiarire che “l'art. 41 TUB riserva al creditore titolare di credito fondiario un privilegio processuale limitato al fallimento, e non esteso ad ogni diversa procedura concorsuale. La norma è di stretta interpretazione, ed è inapplicabile a fattispecie diverse dalla procedura concorsuale maggiore” (Trib. Modena, 1° giugno 2017).

Risulta, infatti, che nel sovraindebitamento, in particolare nella liquidazione del patrimonio ai sensi degli art. 14-ter e ss. della l. n. 3/2012, l'interferenza con le procedure esecutive individuali è autonomamente disciplinata, senza alcun rinvio a norme della legge fallimentare e senza alcun riconoscimento di deroghe al principio di assoluta prevalenza della procedura concorsuale.

L'art 14-quinquies, comma 2 lett. b) della l. n. 3/2012, infatti, pone il divieto generalizzato di azioni esecutive, senza alcuna eccezione.

Se, infatti, l'art. 41 T.U.B. prevede una deroga al principio della par condicio creditorum in favore del creditore fondiario solo nel fallimento, questa non può dirsi operante nella liquidazione del patrimonio e in generale negli altri istituti del sovraindebitamento, poiché non risultano eccezioni al divieto generalizzato di azioni esecutive previsto dall'art. 14-quinquies, esattamente come nel concordato (mancano cioè, anche in questo caso, le parole “salvo diverse disposizioni di legge”).

Nella l. n. 3/2012, dunque, il privilegio processuale fondiario non può essere applicato ad alcuno degli istituti del sovraindebitamento (né all'accordo di composizione della crisi, né al piano del consumatore (ove il divieto venga disposto), né alla liquidazione del patrimonio) poiché le norme sul privilegio sono norme di stretta applicazione e non è possibile un'applicazione analogica dell'art. 41 T.U.B.

Eccezionalità del privilegio processuale fondiario

Dopo aver lungamente dibattuto su quale fosse il livello di autonomia o di interdipendenza fra l'azione esecutiva individuale del creditore fondiario e la procedura fallimentare, la Cassazione ha infine ritenuto che la legge speciale, nel consentire all'istituto di credito fondiario di iniziare o proseguire l'azione esecutiva nei confronti del debitore dichiarato fallito, non apporta una deroga al principio di esclusività della verifica fallimentare posto dall'art. 52 l. fall., non potendosi ritenere che il rispetto di tali regole sia assicurato, nell'ambito della procedura individuale, dalla facoltà d'intervento del curatore fallimentare (Cass. civ., 17 dicembre 2004, n. 23572; Cass. civ., 5 aprile 2007, n. 8609; Cass. civ., 14 maggio 2007, n. 11014; Cass. civ., 11 giugno 2007, n. 13663; Cass. civ., 11 ottobre 2012, n. 17368; Cass. civ., 21 marzo 2014, n. 6738; Cass. civ., 30 marzo 2015, n. 6377).

Il principio, consolidato nel diritto vivente, sancisce l'eccezionalità del privilegio processuale fondiario, insuscettibile di applicazione analogica.

Come già visto, in pendenza della procedura di concordato preventivo non può trovare applicazione l'art. 41, comma 2, T.U.B. e l'espropriazione del creditore fondiario, al pari dell'azione esecutiva individuale di qualsiasi altro creditore, non può essere iniziata né proseguita.

Ad analoghe conclusioni si perviene, per la medesima ragione, nell'ipotesi dell'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (art. 10, comma 2, lett.c.), l. n.3/2012).

Del resto, il piano del concordato può prevedere - ai sensi dell'art. 160, comma 2, l. fall. - che il creditore ipotecario (e quindi anche quello fondiario) venga soddisfatto in misura non integrale, purché non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato del bene oggetto di ipoteca, come indicato nella relazione giurata di un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti per svolgere le funzioni di curatore fallimentare.

Identica previsione è contenuta nell'art.7, comma 1, l.n. 3/2012, in virtù del quale il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano in cui “i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorchè ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

La prosecuzione dell'azione esecutiva individuale del creditore fondiario sarebbe, in tal senso, incompatibile con la possibilità che allo stesso venga offerta, sia pure nei limiti anzidetti, una somma minore dell'importo nominale del suo credito, che per la differenza viene degradato al chirografo e, quindi, ammesso al voto.

L'applicazione di simili criteri al sovraindebitamento, ed in particolare il criterio della specialità del privilegio fondiario, impedisce qualunque tentativo di interpretazione estensiva o analogica dell'art. 41 T.U.B. rispetto alla tutela del creditore fondiario nel caso di ammissione alla liquidazione del patrimonio ex artt. 14-ter ss. l. n. 3/2012, tanto più che la previgente disciplina sul sovraindebitamento non fa salve eventuali differenti previsioni di legge.

L'art. 41, comma 2, T.U.B., dunque, non è idoneo a scalfire la generale comminatoria di nullità che colpisce qualsiasi azione esecutiva iniziata o proseguita dopo l'apertura della procedura di liquidazione. Il che appare ragionevole, laddove si consideri che spesso l'eventuale presenza di un credito ipotecario - fondiario o meno che sia - assorbe la maggior parte del patrimonio di un soggetto sovraindebitato non fallibile e la relativa espropriazione forzata, se non divenisse improseguibile, vanificherebbe nella sostanza il significato stesso dalla procedura di composizione della crisi.

Il privilegio fondiario nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza

Tra i principi enunciati dalla l. n. 155/2017, recante “Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”, l'art. 7 comma 4, lett. a), prevedeva il potenziamento della disciplina della liquidazione giudiziale mediante l'adozione di misure volte ad “escludere l'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1”.

Tuttavia, il d.lgs. n. 14/2019 sul punto si è discostato dalla delega, come dimostra l'art. 150, il cui tenore sembrerebbe aver disatteso le indicazioni del Governo con il ripristino dell'impostazione presente nella legge fallimentare.

La norma, infatti, riproduce letteralmente il contenuto dell'art. 51 L.F., con la sola differenza di sostituire l'espressione “liquidazione giudiziale” a “fallimento”.

Ed è proprio su tale particolare che va posta l'attenzione dell'interprete in sede applicativa.

Come noto, con il nuovo Codice della crisi il legislatore ha abbandonato la tradizionale espressione “fallimento” in conformità, peraltro, alle tendenze già manifestatesi nei principali ordinamenti europei di Civil Law (Francia, Germania, Spagna). Tale diverso approccio lessicale è espressione di una nuova cultura nel superamento dell'insolvenza, vista come evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un'impresa, da prevenire e regolare.

La sostituzione lessicale, tuttavia, non ha interessato l'art. 41, comma 2, T.U.B., considerato che l'art.369 CCII, nell'eliminare ogni riferimento alla legge fallimentare dalle disposizioni del T.U.B. e sostituendole con i riferimenti ai corrispondenti istituti previsti nel nuovo Codice, ignora del tutto l'art. 41, che solo per mera continuità della disciplina previgente viene ora interpretato nel senso che l'azione esecutiva individuale del creditore fondiario sarà consentita anche dopo la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale (ossia del vecchio fallimento).

Tuttavia, tale soluzione di continuità mal si concilia con quanto previsto dall'art.216, comma 10, CCII, il quale, anche nell'ipotesi di credito fondiario, dispone che se sono pendenti procedure esecutive alla data di apertura della liquidazione, il giudice dell'esecuzione, su istanza del curatore, dichiara l'improcedibilità dell'esecuzione, senza contemplare eccezioni di sorta.

Viene pertanto a cadere ogni distinzione tra procedure esecutive ove siano presenti creditori fondiari, rispetto a quelle in cui tali tipologie di creditori siano assenti; l'azione individuale esecutiva potrà proseguire a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale qualora il curatore ritenga conveniente per la massa dei creditori limitarsi a subentrare nella procedura esecutiva, ad esempio tenuto conto del suo stato di avanzamento.

Peraltro, l'art. 151 CCI ripropone la medesima regola già prevista dall'art. 52, comma 3, l. fall., ossia che ogni credito, anche se esentato dal divieto di cui all'art. 150, deve essere accertato secondo le norme stabilite per l'accertamento del passivo.

In definitiva, non conserverebbe alcuna attualità la giurisprudenza formatasi in vigenza della legge fallimentare sui rapporti fra esecuzione fondiaria individuale e procedure concorsuali, almeno in relazione alle procedure introdotte successivamente all'entrata in vigore del nuovo Codice.

Peraltro, l'esecuzione fondiaria sarebbe oggi incompatibile con la possibilità, prevista dall'art. 75, comma 2, CCI, norma destinata a disciplinare il concordato minore, che “i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti non integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

Previsione identica, questa, a quella contenuta nell'art. 67 comma 4, CCII dedicata alla ristrutturazione dei debiti del consumatore.

L'incompatibilità del privilegio fondiario si registra anche nei confronti della disciplina del concordato preventivo, risultando possibile che il piano preveda, ai sensi dell'art. 86 CCII, “una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”. Pertanto, se il bene gravato dall'ipoteca fondiaria dovrà essere liquidato, la soddisfazione dell'istituto di credito dovrà avvenire all'interno del concordato, nell'ambito del quale – è appena il caso di ricordarlo – trova applicazione la regola secondo cui “i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono essere soddisfatti anche non integralmente, purchè in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente (art. 84 comma 5, CCII).

Se, invece, non è prevista la liquidazione del bene, la moratoria impedisce che siano iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, in quanto essa, determinando l'inesigibilità del credito, priva i creditori dell'efficacia del loro titolo esecutivo. Pertanto, anche in questo caso il divieto di azioni esecutive individuali dipende dal contenuto della proposta, ma, in caso affermativo, per il creditore fondiario non è previsto alcun trattamento di favore rispetto agli altri creditori muniti di privilegio speciale.

Una qual certa discontinuità del Codice della crisi rispetto alla l. n. 3/2012 la si coglie in tema di liquidazione controllata del debitore sovraindebitato. Se con l'art. 14-quinquies della l. n. 3/2012 si impediva qualsiasi azione esecutiva sul patrimonio del debitore dopo l'apertura della procedura di liquidazione, invece l'art. 270, comma 4, CCII si limita a richiamare l'applicazione, in quanto compatibile, degli artt. 150 e 151 CCII. La differenza è sostanziale, in quanto l'art. 150, facendo salve le diverse disposizioni di legge e, fra esse, l'art. 41, comma 2, T.U.B., apre ad un trattamento diversificato del creditore fondiario rispetto a quanto originariamente previsto nella disciplina sul sovraindebitamento, di fatto applicando la regola generale della liquidazione giudiziale anziché quelle previste per la ristrutturazione dei debiti del consumatore e per il concordato minore con la previsione della sospensione delle procedure esecutive pendenti (art. 70, comma 4, CCII; art. 78, comma 2, lett. d), CCII).

Il trattamento del creditore fondiario nella liquidazione controllata del sovraindebitato

L'eccezionalità della norma prevista in favore del creditore fondiario, risultando applicabile al solo caso di fallimento del debitore – oggi liquidazione giudiziale – non potrebbe trovare alcun ingresso in procedure diverse rispetto a quella per la quale è destinata ad operare.

Nel sovraindebitamento, dunque, indipendentemente dalla tipologia di procedura (piano, accordo, liquidazione), il creditore fondiario non gode del privilegio di cui all'art. 41 T.U.B.

Nel caso specifico della liquidazione, infatti, l'art. 14-quinquies della l. n. 3/2012 (norma speciale e posteriore rispetto al d.lgs. n. 385/1993) pone il divieto generalizzato di azioni esecutive, senza alcuna eccezione.

Il problema dell'applicazione o meno dell'art. 41 T.U.B. alla procedura di sovraindebitamento è stato oggetto di esame da parte della giurisprudenza di merito e, nello specifico, si è posto innanzi ai Tribunali di Udine (12 maggio 2016), Modena (1° giugno 2017) e Vicenza (ordinanza 24 marzo 2020).

Secondo i suindicati Tribunali, il privilegio processuale, disciplinato dalla normativa bancaria, essendo di stretta interpretazione, è applicabile unicamente al fallimento e non può essere esteso alla procedura di sovraindebitamento o ad altre procedure concorsuali (essendo pacifico che l'art. 41 T.U.B. non si applichi in materia di concordato preventivo).

Ed invero, nella procedura di liquidazione del patrimonio, l'art.14-quinquies della l. n. 3/2012 disciplina autonomamente le procedure esecutive, senza alcun rinvio a norme della legge fallimentare e, quindi, senza derogare al principio di prevalenza della procedura di sovraindebitamento.

In virtù dell'esaminata elaborazione giurisprudenziale viene, dunque, sancita l'eccezionalità del privilegio processuale fondiario, il quale non può essere applicato, per analogia, a procedure diverse dal fallimento: ed infatti, dottrina e giurisprudenza erano unanimemente orientate ad escludere che l'eccezione prevista per la procedura di fallimento potesse estendersi alle procedure regolate dalla l. n. 3/2012:A norma dell'art. 14-quinquies comma 2, lett. b) l. n. 3/2012, l'apertura della procedura di liquidazione del patrimonio comporta l'inibitoria dei procedimenti esecutivi singolari, senza eccezione di sorta; in particolare, la norma riguarda anche le procedure esecutive di credito fondiario, per le quali l'eccezione dell'art. 41, comma 2, t.u.b., riferendosi alla sola procedura di fallimento, non può trovare applicazione analogica oltre il caso espressamente previsto” (Trib. Udine, 26 febbraio 2021).

Pacificamente ammesso tale principio, almeno sino all'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi, quando, a causa del richiamo operato dall'art.270 comma 4, CCII all'applicazione, in quanto compatibile, degli artt. 150 e 151, di fatto si è originata una vera e propria dicotomia tra procedure, alimentando il dibattito giurisprudenziale.

La giurisprudenza di merito

I primi provvedimenti, ancora in linea con la giurisprudenza di merito ante CCI, confermano che, sebbene l'inciso “salvo diversa disposizione della legge” contenuto nell'art. 150 in tema di liquidazione giudiziale si riferisca anche all'art.41 comma 2, T.U.B., riguardante l'azione esecutiva del creditore fondiario, tuttavia quest'ultima norma citata pone una deroga al divieto di azioni esecutive individuali solo per l'ipotesi del “fallimento del debitore” e non anche per la diversa ipotesi che ricorre della liquidazione controllata; peraltro, “trattandosi di norma eccezionale, essa non può essere applicata in via analogica, né può essere estesa a procedure concorsuali diverse da quella specificamente contemplata nel testo della norma medesima (il “fallimento del debitore”)” (Trib. Treviso, 19 gennaio 2023).

Di conseguenza, ai sensi dell'art. 150 CCII (relativo alla liquidazione giudiziale), richiamato dall'art. 270, comma 5, CCII (relativo alla liquidazione controllata), la procedura esecutiva non può proseguire neppure per le posizioni dei creditori fondiari e deve, invece, essere integralmente sospesa, dovendosi considerare quanto previsto nella Direttiva Insolvency che indicherebbe di evitare particolari privilegi processuali in danno dei consumatori insolventi.

Peraltro, l'applicazione in via analogica della norma del T.U.B. è da considerarsi vietata dall'art. 14 preleggi, che non consente l'applicazione analogica delle norme eccezionali, tanto più che l'art. 12-ter, comma 1, l. n. 3/2012, nel disporre il divieto d'iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, non contempla eccezioni di sorta, e del resto che l'eccezione dettata dall'art. 51 l. fall. (e oggi dall'art. 150 CCII) valga soltanto per la procedura di fallimento (e di liquidazione giudiziale) e non per le altre procedure concorsuali, costituisce affermazione pacifica in giurisprudenza, come testimoniato da altra pronuncia, secondo la quale i motivi per cui non opererebbe il privilegio fondiario sono riconducibili al fatto che “nella liquidazione del patrimonio disciplinata dalla l. n. 3/2012 non si dubitava della insussistenza del privilegio processuale di cui all'art. 41 TUB, norma eccezionale, quindi insuscettibile di estensione analogica, che riguardava unicamente “il fallimento”, e non il sovraindebitamento; nello scenario attuale, il dubbio potrebbe nascere in forza del fatto che la norma che prevede la salvezza di tale privilegio processuale in favore del fondiario nella liquidazione giudiziale è l'art. 150 CCII, espressamente richiamato anche nella liquidazione controllata, ex art. 270, comma 5, CCII; vi è però che, a ben vedere, tale rinvio va inteso correttamente nel senso che:

i) alla liquidazione controllata è applicabile in via di principio l'automatic stay of executions;

ii) tale principio può sopportare delle eccezioni, ove previste dalla legge;

iii) ciò non toglie che la legge che prevede la eccezione debba riferirsi espressamente alla liquidazione controllata (ciò che con riferimento all'art. 41, TUB sicuramente non avviene)” (Trib. Modena, 3 marzo 2023).

Il problema che più di recente si registra riguarda gli eventuali provvedimenti del giudice dell'esecuzione rispetto a quanto statuito dal giudice concorsuale.

Accade così che, mentre nella sentenza di apertura della liquidazione controllata (Trib. Ragusa 15 marzo 2023) il Collegio ha aderito alla giurisprudenza di merito prevalente, tuttavia l'aver rimesso alla valutazione del G.E. di “stabilire se è di ostacolo al divieto suddetto la circostanza che la procedura esecutiva sia stata promossa dal creditore fondiario; (secondo un orientamento giurisprudenziale, poiché l'art. 41, comma 2, TUB, pone una deroga al divieto di azioni esecutive individuali solo per l'ipotesi “del fallimento del debitore”, detta norma non può essere estesa in via analogica a procedure concorsuali diverse dal fallimento, qual è la liquidazione controllata, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 150 CCII, (relativo alla liquidazione giudiziale, richiamato dall'art. 270, comma 5, CCII, relativo alla liquidazione controllata, la procedura esecutiva non può proseguire neppure per le posizioni dei creditori fondiari e deve, invece, essere integralmente sospesa (Tribunale Treviso in funzione di GE, 19.1.2023); in altri termini, il richiamo all'art. 150 vale per la regola generale (divieto di azioni esecutive), non per la salvezza delle norme di deroga o di eccezione, che valgono solo per i casi esplicitamente in esse considerati; ne conseguirebbe che l'eccezione di cui all'art. 41 TUB non si applica alla liquidazione controllata, come non si applica(va) alla liquidazione del patrimonio ex art. 14-quinquies l. n. 3/1012 ed alla procedura di sovraindebitamento in generale (v. art. 78 CCII in tema di concordato minore)”, ha comportato l'emissione di un successivo provvedimento con il quale il Giudice dell'esecuzione ha così motivato l'applicabilità alla liquidazione controllata dell'art.41, comma 2, T.U.B.: “questo Giudice dell'esecuzione aderisce ad altro orientamento giurisprudenziale (cfr. in tal senso Trib. di Barcellona Pozzo di Gotto, 24.1.2023 e da ultimo, più diffusamente, Trib. Torre Annunziata 14.3.23) per le ragioni, fra le tante altre, qui sinteticamente riportate. In discontinuità rispetto alla precedente disciplina della liquidazione del patrimonio, l'art. 270, comma 5, CCI ha previsto il richiamo dell'art. 150 CCII attraverso un rinvio integrale e senza clausole di compatibilità (o altrimenti definito efficacemente rinvio “secco”, in tal senso cfr. Trib. Torre Annunziata cit.). Detto coordinamento appare evidente indice normativo della equiparazione, per quanto attiene al trattamento del credito fondiario, delle procedure di liquidazione e del diritto del creditore fondiario di proseguire l'azione esecutiva individuale anche in caso di apertura della liquidazione. D'altra parte, ove il legislatore avesse voluto distinguere tra liquidazione giudiziale e liquidazione controllata del sovraindebitato sarebbe stato sufficiente affermare la regola della improseguibilità delle procedure esecutive dopo l'apertura della stessa senza disporre alcun rinvio all'art. 150 CCI che contiene in sé tanto la regola (improseguibilità) quanto l'eccezione (proseguibilità creditore fondiario)” (Trib. Ragusa, 26 marzo 2023).

Sulla scia di tale orientamento si colloca altro più recente provvedimento nel quale viene puntualizzato come “sul piano logico, il rinvio integrale all'art. 150 CCII evoca la volontà del legislatore di applicare la stessa disciplina alle due liquidazioni circa gli effetti nei confronti dei creditori; diversamente, il legislatore avrebbe previsto per la liquidazione controllata una disciplina apposita o avrebbe circoscritto l'ambito oggettivo del rinvio…se il legislatore avesse riprodotto l'art.41, comma 2, parte prima, TUB nell'art.150 CCII, non si sarebbe dubitato della sua applicabilità anche alla liquidazione controllata in forza del rinvio contenuto nell'art. 270, comma 5, parte prima, CCII Per rendere applicabile l'art. 41, comma 2, parte prima, TUB alla liquidazione controllata non era necessario per il legislatore intervenire sulla disposizione, esplicitamente giustapponendo questa procedura al fallimento (e alla liquidazione giudiziale ex art.349 CCII), perché l'adeguamento della norma, con conseguente applicazione diretta alla liquidazione controllata, altro non è che l'effetto automatico del meccanismo del rinvio all'art. 150 CCII che a sua volta rinvia, con la clausola di riserva, all'art. 41, comma 2, parte prima, TUB Il rinvio è una tecnica che semplifica la redazione normativa, perché consente di evitare la riproduzione della disposizione o dell'atto, la cui norma il legislatore intende applicare ad un'altra fattispecie. Sul piano della comparazione temporale, la l. n. 3/2012, nel conformare la liquidazione del patrimonio del sovraindebitato, rispetto alla quale quella controllata si pone in continuità, non prevede un rinvio alla disciplina fallimentare. Il legislatore ha invece deciso di regolare direttamente gli effetti dell'apertura della procedura per i creditori, prevedendo il solo divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive per i creditori concorsuali (art.14-quinquies, comma 2, lett. b). Il legislatore ha pertanto riprodotto la disciplina fallimentare soltanto in parte, tra l'altro senza la clausola di riserva (art. 51 l. fall.). Il rilievo lascia intendere la (nuova) volontà del legislatore di uniformare in merito il regime delle procedure liquidatorie” (Trib. Brescia12 aprile 2023).

In conclusione

Nella l. n. 3/2012 non viene richiamata alcuna eccezione al blocco delle azioni esecutive e pertanto il privilegio processuale fondiario non può essere applicato ad alcuno degli istituti del sovraindebitamento: né all'accordo di composizione della crisi, né al piano del consumatore, né alla liquidazione del patrimonio. Poiché le norme sul privilegio fondiario sono norme di stretta applicazione non è possibile un'applicazione analogica dell'art. 41 T.U.B.

Con l'avvento del nuovo Codice della crisi, però, lungi dall'aver continuato a perseguire la medesima finalità teleologica, comune alle tre procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, riemerge il rischio, in passato solo latente, di una effettiva e totale equiparazione della liquidazione controllata alla liquidazione giudiziale.

Tale constatazione trova conferma proprio nella più recente giurisprudenza di merito che, pur mantenendo vivo il dibattito sul privilegio processuale del creditore fondiario, rispetto all'orientamento consolidatosi sotto la l. n. 3/2012, tuttavia non tiene conto di quanto ancora il nuovo Codice non sia pienamente in sintonia rispetto alle previsioni contenute nella Direttiva UE 2019/1023 del 20 giugno 2019, il cui art.6, nel disciplinare la sospensione delle azioni esecutive individuali, al paragrafo 2 prevede che “gli Stati membri provvedono affinché la sospensione delle azioni esecutive individuali possa riguardare tutti i tipi di crediti, compresi quelli garantiti e privilegiati”.

In definitiva, sembrano profilarsi ulteriori adeguamenti per il nuovo Codice della crisi, già in parte superato dalle prospettive di evoluzione normativa riscontrabili in ambito comunitario.

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