Contratto misto di agenzia: concessione di vendita e nullità parziale di clausole per contrarietà con norme imperative
30 Giugno 2023
Massima
Il Tribunale di Milano, previa qualificazione del contratto scritto, denominato “collaborazione commerciale”, stipulato tra un esercizio commerciale e una compagnia telefonica, avente ad oggetto sia la fornitura dalla compagnia all'esercizio commerciale di dispositivi telefonici per la rivendita ai clienti finali, sia la promozione a carico del rivenditore presso i suoi clienti di contratti di telefonia con la compagnia telefonica, il tutto con esclusiva unilaterale a favore della compagnia (cd “dealer” monomarca), come un contratto misto di agenzia e di concessione di vendita, ha accolto la domanda del contraente “debole” e dichiarato la nullità parziale delle seguenti clausole:
a) clausole 15.2 e 15.3 che prevedono, in violazione dell'art. 1748 c.c., lo jus variandi unilaterale a favore della compagnia dei compensi agenziali, senza preavviso e senza necessità di accettazione da parte dell'agente; b) clausole, contenute nell'allegato 5 al contratto, che prevedono, in violazione dell'art. 1748 co. 6 c.c. e dell'art. 11 dir. 86/653/CEE del 18.12.1986, come interpretato dalla sentenza della CGUE del 17.05.2017 in causa C-48/16, in ipotesi di mancata esecuzione totale o parziale dei contratti procurati dall'agente quando la mancata esecuzione sia dovuta a cause imputabili alla preponente, il diritto della preponente al cd “storno pro rata” delle provvigioni corrisposte; c) clausola 12.1 che prevede a favore del preponente e in violazione dell'art. 1750 c.c. il diritto unilaterale al recesso ad nutum in un contratto a tempo determinato; d) clausole -contenute nell'accordo di cessione dei crediti del rivenditore per la vendita a rate dei dispositivi mobili- nella parte in cui prevedono a favore del concedente di vendita/cessionario del credito termini per pagare alla concessionaria di vendita/cedente il credito il corrispettivo della cessione di gran lunga posteriori rispetto alla data di cessione del credito e del termine di debenza dell'IVA a carico del rivenditore, per abuso di dipendenza economica ex art. 9 L. 18.06.1998 n. 192.”. Il caso
La fattispecie attiene alla cessazione di 4 contratti denominati genericamente di “collaborazione commerciale” intercorsi tra una compagnia telefonica e un operatore commerciale “rivenditore autorizzato”, relativi alla gestione di altrettanti punti vendita monomarca.
In particolare il “rivenditore” era autorizzato all'utilizzo di marchio, insegna e logo della compagnia telefonica, con obbligo di acquisto dalla compagnia o da soggetti dalla stessa indicati di dispositivi (telefoni, mobili, etc.) per rivenderli a clienti finali e a commercializzare i servizi di telefonia promuovendo e predisponendo le relative proposte di abbonamento. La compagnia, utilizzando una clausola contrattuale con la quale le veniva garantita la facoltà di recesso unilaterale con preavviso nonostante la durata dei contratti a tempo determinato, poneva termine a 3 dei quattro contratti, mentre il quarto veniva ritenuto risolto di diritto per chiusura non autorizzata. Nel corso della collaborazione la compagnia, sempre in base a specifiche previsioni contrattuali, modificava unilateralmente e a proprio piacimento le previsioni contrattuali relative al compenso ed effettuava altresì storni ritenuti ingiustificati dal “rivenditore autorizzato” e comunque in contrasto con la disciplina del contratto di agenzia.
Il rivenditore autorizzato adiva quindi il Tribunale di Milano chiedendo la qualificazione dei contratti quali contratti di agenzia o misti o comunque l'assoggettamento degli stessi alle norme che regolano il contratto di agenzia e la conseguente nullità di alcune clausole contrattuali, con condanna della compagnia a titolo risarcitorio al pagamento di importi significativi e dell'indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. La compagnia telefonica chiedeva la reiezione integrale delle domande dell'attrice e azionava in via riconvenzionale crediti per forniture di merce e canoni di sublocazione.
Dopo lo scambio delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione e poi rimessa in istruttoria per l'escussione di testi su di una circostanza di fatto controversa e poi nuovamente trattenuta in decisione. Nel frattempo, veniva instaurato un procedimento dinanzi all'AGCM tra le medesime parti e il Giudice autorizzava il deposito dei relativi provvedimenti trattenendo poi nuovamente la causa in decisione, ritenuta la necessità di preliminare delibazione dell'an debeatur riservando al prosieguo, se necessario, un'eventuale consulenza sul quantum. Veniva quindi pronunciata la sentenza non definitiva n. 2249 del 20/3/2023 decidendo le domande di accertamento attoree e la domanda riconvenzionale e dichiarando:
- la qualificazione dei contratti denominati di “collaborazione commerciale” come contratti misti di concessione di vendita e di agenzia - la nullità parziale ex art. 1419 c.c. per contrasto con norme imperative delle seguenti clausole: n. 15.1 e 15.2 in tema di jus variandi in favore della preponente dei compensi dell'agente; n. 12.1 sulla facoltà di recesso unilaterale a favore della preponente nel contratto a tempo determinato; all. 5 nella parte relativa agli storni provvigionali pro rata in difformità dell'art. 1748, VI comma, c.c. e dell'art. 11 della Direttiva 86/653/CEE come interpretata da CGUE 17/05/2017 in causa C-48/16; - la nullità parziale per abuso di dipendenza economica delle clausole contenute nell'accordo di cessione del credito derivante da vendita a rate dei dispostivi mobili, nella parte in cui sono previsti a favore della compagnia telefonica termini per il pagamento al rivenditore del corrispettivo del credito ceduto differiti rispetto alla data di cessione del credito e di debenza dell'IVA a favore dell'Erario. - il rigetto della domanda di illegittimità della risoluzione di diritto di uno dei quattro contratti; - l'illegittimità del recesso ad nutum degli ulteriori 3 contratti; - il rigetto della domanda riconvenzionale a titolo di storni; - l'inammissibilità della domanda attorea di indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. e di ulteriori domande riconvenzionali contenute nella memoria exart. 183 VI comma n. 1 .
La causa veniva infine rimessa in istruttoria. Le questioni
La questione più significativa affrontata e risolta dalla sentenza parziale in esame attiene alla qualificazione giuridica dei contratti di “collaborazione commerciale” di cui è causa, ritenuti da parte attrice come veri e propri contratti di agenzia o alternativamente come contratti misti di agenzia e franchising e dalla convenuta come meri rapporti di concessione di vendita. Ulteriori temi affrontati attengono poi alla validità ed efficacia di diverse clausole contrattuali ritenute da parte attrice in contrasto con norme imperative desumibili dalla disciplina del contratto di agenzia. Infine ulteriori clausole contenute in un allegato concernente la cessione dei crediti relativi alla vendita di apparecchi di telefonia mobile sono state vagliate alla luce dell'art. 9 della l. 18 giugno 1998, n. 192 in tema di abuso di dipendenza economica. Le soluzioni giuridiche
La prima e più rilevante questione risolta dalla pronuncia in esame attiene alla qualificazione giuridica dei contratti denominati di “collaborazione commerciale” utilizzati dalla compagnia telefonica per la creazione della propria rete di punti vendita monomarca. La corretta qualificazione dei rapporti rappresenta infatti il punto centrale della pronuncia, da cui deriva la successiva declaratoria di nullità parziale di una serie di clausole contrattuali, per contrarietà con norme imperative rinvenibili nella disciplina del contratto di agenzia contenuta nel codice civile.
In proposito l'attrice ha richiesto la qualificazione dei rapporti intercorsi in termini di contratto di agenzia o in subordine di contratto misto agenzia / franchising, mentre la convenuta ha respinto ogni addebito chiedendo la qualificazione dei rapporti come contratti di concessione di vendita. Il Giudice dopo aver correttamente ricostruito il contenuto degli accordi intercorsi e le concrete modalità di svolgimento del rapporto ha accertato che l'attrice, con la qualifica di “rivenditore autorizzato”, in forza dei predetti accordi contrattuali gestiva quattro punti vendita monomarca disponendo dell'autorizzazione all'uso del marchio, insegna e logo della compagnia telefonica, con obbligo di acquisto esclusivo dalla compagnia o da soggetti da quest'ultima indicati di determinati beni destinati alla rivendita agli utenti finali e contestuale commercializzazione di servizi di telefonia, attraverso la promozione e predisposizione delle relative proposte di abbonamento poi concluse direttamente dalla compagnia con gli utenti finali. La compagnia telefonica aveva poi l'obbligo contrattuale di assicurare una “stretta collaborazione” con il rivenditore, così come di riconoscergli un corrispettivo per le attività di assistenza e promozione.
Il Giudice ha poi effettuato una approfondita disamina della posizione della giurisprudenza in ordine alle principali caratteristiche, particolarità e differenze dei contratti di agenzia, concessione di vendita e franchising, arrivando alla conclusione che, indipendentemente dal generico nomen iuris utilizzato dalle parti (“Collaborazione commerciale”), ciascuno dei quattro contratti integrasse un contratto unitario con causa mista avente ad oggetto sia la concessione di vendita in ordine all'acquisto e alla rivendita dei dispositivi, sia il contratto di agenzia diretto alla promozione della conclusione di contatti di telecomunicazioni.
Di interesse è altresì la motivazione in ordine all'irrilevanza della prevalenza del fatturato relativo ai dispositivi oggetto di rivendita, basata sulla marginalità tratta dal capitale investito piuttosto che dall'entità dei ricavi, posto che la rivendita degli smartphone aveva certamente maggiori costi rispetto alla promozione della stipula di contratti di telefonia, con la conseguente maggiore redditività dell'attività agenziale, peraltro più remunerativa anche per la Preponente, posto che la stessa non produceva dispositivi elettronici ma erogava servizi di telecomunicazioni.
Infine decisivo è il riferimento alla Corte di Cassazione a sezioni unite 12 maggio 2008, n. 11656 che ha stabilito come la stipulazione di contratti a causa mista non escluda, per la parte del contratto relativa al tipo sub-valente, l'applicazione della relativa disciplina.
La qualificazione dei contratti come rapporti unitari con causa mista agenzia/concessione di vendita ha poi correttamente determinato la declaratoria di nullità parziale di diverse clausole contrattuali per contrarietà con la disciplina inderogabile in materia di agenzia.
In particolare, alcune clausole consentivano alla Preponente di modificare a proprio piacimento le previsioni contrattuali, sia in ordine ai listini dei prodotti da acquistare destinati alla rivendita, sia per i compensi da riconoscere per lo svolgimento di attività di promozione della conclusione di contratti di abbonamento ai servizi di telecomunicazioni. Il Giudice, richiamando sia l'art. 1749 c.c., sia la giurisprudenza in tema di jus variandi nel contratto di agenzia (che impone la presenza di limiti, così come il necessario esercizio del relativo diritto con correttezza e buona fede), ha correttamente concluso per la nullità parziale delle clausole, limitatamente alla parte in cui consentono la modifica arbitraria dei compensi dell'agente senza che lo stesso sia informato correttamente ex art. 1749 c.c. delle prevedibili variazioni di fatturato provvigionale conseguenti.
Parimenti affette da nullità parziale, per contrasto con l'art. 1748, comma 6, c.c. e con l'art. 11 della Direttiva 86/653/CEE, sono state correttamente dichiarate ulteriori clausole contrattuali che in una versione originaria non prevedevano una restituzione di provvigioni proporzionata alla parte di contratto eseguito né, in una versione successiva, l'esclusione del diritto alla restituzione laddove il recesso del cliente sia dipeso da condotte e/o da inadempimento della preponente.
È stata altresì accerta la nullità parziale della clausola contenuta in tutti e quattro i contratti e utilizzata dalla compagnia per la cessazione di tre di loro, che consentiva alla sola compagnia il recesso ad nutum in qualsiasi momento previo preavviso di 90 giorni e con esclusione di qualsivoglia pretesa del rivenditore autorizzato. Il diritto di recesso ad nutum è stato contestato dall'attrice in quanto previsto in contratti a tempo determinato che, in quanto tali non dovrebbero consentire a una delle parti di sciogliersi dal vincolo in qualsiasi momento previo preavviso.
Il Giudice, in funzione della qualificazione in termini di contratto di agenzia del rapporto relativo al procacciamento di contratti di telefonia con i clienti finali, ha correttamente rilevato il contrasto con l'art. 1750 c.c., che contempla la facoltà di recesso con preavviso nel solo rapporto a tempo indeterminato (il principio risulta altresì confermato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio citata in motivazione: Cass. 28/10/2021, n. 30457). Ne è derivata dunque la declaratoria di nullità parziale della clausola, per la parte relativa al procacciamento di contratti di telefonia, con la conseguente illegittimità del recesso ad nutum esercitato dalla compagnia dai contratti relativi a tre dei punti vendita oggetto della vertenza. Infine la richiesta di declaratoria di nullità delle previsioni contenute nel contratto di collaborazione e relative alla cessione dal rivenditore autorizzato alla compagnia dei crediti derivanti dalla rivendita a rate dei telefoni mobili ai clienti finali, per contrarietà con la disciplina del contratto di agenzia è stata respinta, in quanto le previsioni contrattuali concernevano la cessione di crediti relativi ad attività qualificata in termini di concessione di vendita, rispetto alla quale le norme in materia di agenzia erano da ritenersi inconferenti.
La domanda è stata per contro accolta sotto il diverso profilo della contrarietà con le disposizioni dell'art. 9 della L. n. 192/1998 in tema di abuso di dipendenza economica. Osservazioni
La sentenza in commento presente un particolare interesse in quanto affronta un tema rilevante nell'ambito della contrattualistica in generale e della distribuzione in particolare, costituito dall'utilizzo di formule ibride al fine di tentare di evitare l'applicazione della disciplina cogente prevista per particolari tipologie di contratti e nella specie di quella prevista per il contratto di agenzia.
Per la creazione di una rete distributiva viene in sostanza utilizzato un contratto tipo nel quale sono inserite varie obbligazioni cercando di dare risalto ad attività di collaborazione, accessorie e/o di prestazione di servizi senza enfatizzare quella che costituisce per contro una delle caratteristiche più rilevanti e cioè lo svolgimento di attività di promozione.
Con questa modalità, evitando di qualificare con precisione almeno una parte delle obbligazioni contrattuali, si cerca di sfuggire dall'applicazione della normativa in tema di contratto di agenzia sia per evitare il riconoscimento dell'indennità di fine rapporto in occasione della cessazione del contratto, sia per cercare di inserire clausole contrattuali “creative”, che consentano a chi conferisce l'incarico di variare a proprio piacimento elementi essenziali del contratto (peraltro in sé in contrasto anche con i principi generali di cui all'art. 1321 e ss. c.c.) e di superare le previsioni del codice civile in tema di durata del contratto di agenzia. Ulteriore tema spesso oggetto di modifiche in base all'operatività di specifiche clausole contrattuali è costituito dal diritto al compenso, nel nostro caso oggetto di disamina sia in relazione alla facoltà riconosciuta alla Preponente di modificarlo a proprio piacimento (jus variandi), sia con riferimento alla facoltà di storno di provvigioni già riconosciute.
Questi tentativi di superare l'applicazione di norme imperative collegate a un tipo contrattuale che caratterizza almeno una parte delle obbligazioni complessivamente assunte dalle parti sono estremamente pericolosi, soprattutto laddove il principio sia applicato non a un contratto singolo ma a una rete distributiva complessivamente intesa - come avvenuto nel caso di specie - posto che gli effetti di una corretta riqualificazione in termini di nullità e conseguenti richieste risarcitorie sono destinati a ripercuotersi negativamente sull'intera rete, rischiando di minarne la stabilità e sostenibilità dal punto di vista economico, soprattutto laddove non siano state prese in considerazione non solo le richieste risarcitorie derivanti dalla nullità parziale di determinate clausole, ma altresì voci strutturali di costo in occasione della cessazione dei contratti, quali ad esempio l'indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c.
Nella fattispecie oggetto di esame il Giudice ha molto opportunamente effettuato una disamina attenta delle concrete modalità di svolgimento del rapporto, così come delle obbligazioni contrattualmente assunte dal c.d. rivenditore autorizzato e dalla compagnia telefonica, per poi individuare, anche in base all'evoluzione della ricostruzione giurisprudenziale sul punto, quale fosse la causa e la più corretta qualificazione del rapporto posto in essere tra le parti e dalle stesse (o meglio dalla compagnia, trattandosi all'evidenza di contratto tipo per adesione) non qualificato in maniera precisa utilizzando la formula ibrida “Collaborazione commerciale”.
La conclusione sul punto del Giudice è stata la qualificazione del rapporto in termini di contratto unitario con causa mista, avente ad oggetto sia la concessione di vendita in ordine all'acquisto e alla rivendita dei dispositivi, sia il contratto di agenzia diretto alla promozione della conclusione di contatti di telecomunicazioni.
In motivazione, anche in funzione delle argomentazioni svolte dalle parti a sostegno delle reciproche tesi in tema di qualificazione del rapporto, è poi contenuta una completa disamina dei principali contratti di distribuzione e più precisamente del contratto di agenzia, della concessione di vendita e del franchising evidenziandone le caratteristiche principali che hanno poi portato all'individuazione di una causa mista e all'applicazione, per la parte relativa allo svolgimento di attività di promozione della conclusione di contratti di abbonamento per servizi di telefonia, della disciplina imperativa in tema di contratti di agenzia.
Di interesse sul punto è l'affermazione relativa all'elemento discriminante tra concessione di vendita e agenzia che non sarebbe costituito dallo svolgimento di attività promozionale, presente in entrambi, ma dalla collaborazione intensa tra le parti. In altri termini il contratto di concessione di vendita, nell'evoluzione della giurisprudenza italiana, risulterebbe più vicino alla somministrazione che all'agenzia. Condividendo i principi espressi in motivazione rilevo altresì che la principale differenza esistente tra agenzia e concessione di vendita è costituita dal fatto che mentre il concessionario acquista i beni dal concedente per poi rivenderli al cliente finale, l'agente si limita svolgere attività di promozione della conclusione di contratti (che può anche concludere se munito del potere di rappresentanza), senza effettuare alcun acquisto, mentre il rapporto contrattuale di compravendita interviene esclusivamente tra il preponente e il cliente finale.
Più che condivisibile è poi l'individuazione dell'attività di promozione come caratteristica tipica sia del contratto di agenzia, sia del contratto di concessione di vendita, soprattutto a seguito dell'evoluzione della giurisprudenza italiana in tema di contratto di concessione di vendita che ha visto il superamento di una concezione tradizionale del contratto di concessione incentrata sulla vendita dal concedente al concessionario, con uno spostamento del baricentro del contratto al rapporto di rivendita dal concessionario al cliente finale, con la conseguente automatica sussistenza di un obbligo di svolgere attività di promozione a carico del concessionario connaturale alla struttura stessa del contratto, anche laddove non vi sia alcuna specifica obbligazione contrattuale in questo senso. Quest'evoluzione, che segue una tendenza affermata nell'ambito della legislazione e giurisprudenza di altri Paesi dell'Unione Europea potrebbe portare la giurisprudenza italiana al riconoscimento anche in favore del concessionario, come già avviene in Belgio, Austria, Germania, Francia, Spagna (e in Svizzera), del diritto all'indennità di fine rapporto anche in applicazione analogica delle disposizioni in tema di contratto di agenzia.
Un'evoluzione di questo tipo è ad oggi in corso anche in diritto italiano nell'ambito dello specifico settore dei concessionari di autoveicoli: tema che non posso approfondire in questa sede, essendo al di fuori dell'ambito specifico della presente trattazione. Ancora in tema di qualificazione è interessante lo spunto presente in motivazione che, nell'escludere il riferimento al rapporto di franchising effettuato dall'attore, sottolinea l'assenza di un elemento essenziale, costituito da una previsione relativa al pagamento di royalties dall'affiliato all'affiliante per l'inserimento nella rete di vendita della compagnia telefonica. Osservo in proposito che, pur non essendo determinante l'applicazione o meno della peraltro scarna normativa in tema di franchising, al pagamento di royalty quale elemento essenziale del rapporto di franchising, va senz'altro aggiunto l'effettivo trasferimento di know how (che non appare presente nella fattispecie), nonostante il diverso avviso di una recente giurisprudenza (cfr. sul punto Cass. 10 maggio 2018, n. 11256; contra Cass. 21 dicembre 2017, n. 30671, in Riv. dir. ind. 2018, 2, II, 232).
Tornando al tema del compenso rilevo che talvolta lo stesso è disciplinato contrattualmente in maniera quanto meno opinabile anche in rapporti qualificati in termini di agenzia al fine di sganciarlo dalle previsioni di cui all'art. 1748 c.c. condizionandone il riconoscimento non soltanto al pagamento da parte del cliente, ma altresì a ulteriori e differenti condizioni che nulla hanno a che vedere con i requisiti di esistenza del diritto.
L'escamotage utilizzato per raggiungere quest'obbiettivo è costituto dalla suddivisione del compenso inserendo una quota base effettivamente condizionata al rispetto dei requisiti di cui all'art. 1748 c.c. e un compenso premiante basato invece sul rispetto di tutt'altre condizioni.
Anche questa pratica, peraltro abbastanza diffusa nel settore oggetto della presente vertenza, è a mio avviso certamente discutibile, soprattutto laddove in base alle concrete modalità di svolgimento del rapporto e alla presenza non episodica ma costante di elementi premianti, risulti evidente che il cosiddetto premio rappresenta in realtà un elemento costitutivo del compenso senza il quale verrebbe posta in discussione la stessa sostenibilità economica della collaborazione. Queste ultime ipotesi rappresentano senza alcun dubbio un ulteriore rischio significativo, posto che laddove le relative clausole fossero da ritenersi soggette al disposto di cui all'art. 1748 c.c. ne deriverebbe il riconoscimento del premio in via automatica in base al solo pagamento da parte della clientela, prescindendo dal rispetto delle condizioni ulteriori contrattualmente previste.
Un ulteriore spunto interessante rinvenibile nella motivazione della sentenza parziale e pienamente condivisibile è quello costituito dalla declaratoria di nullità parziale per contrarietà con l'art. 1750 c.c. della clausola contrattuale che nell'ambito di un contratto a tempo determinato (assisto o meno da una clausola di rinnovo automatico di anno in anno) stabilisca in favore del solo preponente un diritto di recesso in qualsiasi momento previa concessione di un preavviso minimo (nella fattispecie 90 gg.).
L'illegittimità di una simile previsione appare evidente solo che si consideri la palese contraddizione in termini di un contratto per definizione a tempo determinato e dunque con una scadenza pattuita, nel quale si pretenda di inserire un diritto di recesso per di più attribuito ad una soltanto delle parti con un preavviso minimo e del tutto sganciato dai termini di cui all'art. 1750 c.c. in tema di contratto a tempo indeterminato. Ciò determina infatti non soltanto una contrarietà con l'art. 1750 c.c.che stabilisce il diritto di recesso ma solo nel contratto a tempo indeterminato, come giustamente sottolineato dal Giudice e confermato dalla sentenza del Supremo Collegio citata (Cass. 28/10/2021, n. 30457), ma anche un potenziale contrasto con i termini minimi di preavviso sempre contenuti nell'art. 1750 c.c.
Trattasi di un ennesimo tentativo di modificare a proprio piacimento le modalità di cessazione del rapporto, sempre utilizzando lo strumento ibrido del “Contratto di collaborazione” che, non essendo oggetto di una specifica qualificazione dovrebbe consentire il superamento di norme imperative. Tentativo giustamente posto nel nulla dalla sentenza parziale oggetto del presente commento.
Osservo da ultimo in proposito che analoghe considerazioni appaiono applicabili anche alla parte del contratto riferita alla concessione di vendita (e cioè quella concernente gli obblighi di acquisto esclusivo di telefoni mobili per la rivendita ai clienti finali): alla concessione di vendita, che come noto è un contratto atipico di scambio e collaborazione caratterizzato dall'esistenza di un obbligo naturale a carico del concessionario di svolgere attività promozionale, si applicano analogicamente infatti alcune delle previsioni del contratto tipico di somministrazione tra le quali, analogamente a quanto disposto nella disciplina del contratto di agenzia con l'art. 1750 c.c., l'art. 1569 c.c. che stabilisce il diritto di recesso in qualsiasi momento previa concessione di un periodo di preavviso (“nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo, avuto riguardo ala natura della somministrazione”) per il solo contratto a tempo indeterminato. Conseguentemente la sanzione nullità della previsione contrattuale relativa al recesso ad nutum con preavviso di 90 gg. nei contratti a tempo determinato di cui è causa, appare estensibile anche alla parte dei contratti qualificati in termini di concessione di vendita per contrarietà con il disposto di cui all'art. 1569 c.c. in tema di somministrazione, da ritenersi applicabile analogicamente.
La sentenza in commento e gli interessanti spunti emersi dimostrano la centralità dei rapporti di distribuzione e l'importanza della relativa evoluzione giurisprudenziale italiana, chiamata a confrontarsi con un ulteriore tema fondamentale relativo all'indennità di fine rapporto anche nei contratti di concessione di vendita, già risolto positivamente dalla giurisprudenza di numerosi Paesi dell'Unione. Minimi riferimenti bibliografici
A. Venezia-R. Baldi, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, Milano, 2023.
F. Toffoletto, Il contratto d'agenzia, Milano, 2012
F. Bortolotti, a cura di, Contratti di distribuzione, 2022.
A. Venezia-S. Bortolotti, International Franchise Sales Laws, ABA, 2023 (chapter on Italy, p. 248 e ss.)
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