Ancora la Consulta sull’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale e il delitto di rapina
17 Luglio 2023
Massima
L'elevato minimo edittale del delitto di rapina (art. 628, comma 1, c.p.), aggravato dalla recidiva “reiterata” (art. 99, comma 4 c.p.), si pone in contrasto con il principio di proporzione della pena, poiché comporta il divieto di prevalenza (ex art. 69, comma 4, c.p.) della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno nei delitti che offendono il patrimonio (art. 62, n. 4, c.p.). Sebbene non possa prescindersi dalla funzione della recidiva reiterata nel sistema penale, occorre tener conto dell'esigenza di adeguare la pena al disvalore concreto del fatto, alla luce del fondamentale principio di proporzionalità della pena (ex artt. 3 e 27, comma 3, Cost.). Ciò giustifica la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. Il caso
La sentenza della Corte costituzionale del 21 giugno 2023, n. 141 trae origine dal giudizio di legittimità costituzionale sollevato in via incidentale dal Tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di un imputato recidivo per il delitto di rapina (art. 628, comma 1, c.p.). Quest'ultimo, infatti, era stato rinviato a giudizio per il suddetto delitto, per aver costretto due dipendenti di un supermercato a consegnargli la somma di dieci euro, minacciandoli che se non gli avessero dato quella somma, sarebbe ritornato con una pistola per ucciderli. Il fatto addebitato all'imputato è stato qualificato come rapina piuttosto che estorsione, poiché le persone offese non avevano altra scelta che consegnare la somma richiesta, sotto le minacce dell'imputato. Nonostante la gravità (soggettiva e oggettiva) del fatto di reato, il giudice a quo ha ritenuto che la circostanza attenuante comune della speciale tenuità del danno patrimoniale prevista dall'art. 62, n. 4, c.p., fosse applicabile anche nei reati plurioffensivi come la rapina, nei quali il patrimonio è soltanto uno dei beni giuridici che il legislatore ha inteso tutelare. All'imputato, tuttavia, è stata contestata la circostanza aggravante della recidiva reiterata e infraquinquiennale, ai sensi dell'art. 99, comma 4, c.p., in quanto, essendo stato condannato per gravi reati contro il patrimonio, la pubblica amministrazione e l'incolumità individuale, nonché per cessione di sostanze stupefacenti, aveva manifestato la sua pericolosità sociale anche dopo la conclusione delle precedenti pene detentive. Tale aggravante comporta il divieto di bilanciamento delle attenuanti (ex art. 69, comma 4, c.p.), con la conseguente impossibilità di rimodulare l'elevata pena minima prevista per la rapina (pari a cinque anni di reclusione). L'esigenza di adeguare la pena prevista per il reato di rapina aggravata dalla recidiva reiterata, con il principio di proporzionalità della pena (ex artt. 3 e 27, comma 3, Cost.), ha indotto il giudice a quo a sospendere il giudizio e a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui non prevede il bilanciamento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 4, c.p. con il reato di rapina commessa da un recidivo “reiterato”. La questione
Il giudice a quo ritiene rilevante la citata questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 comma 4, c.p., anche se avesse optato per una differente ipotesi ricostruttiva, ossia quella di qualificare il reato come estorsione (art. 629 c.p.), anziché come rapina. In tal caso, sebbene la minaccia avesse assunto un carattere non irresistibile, tale da lasciare una diversa opzione ai soggetti passivi del reato, il giudice non avrebbe comunque potuto bilanciare lacontestata aggravante della recidiva reiterata con l'attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo richiama numerose declaratorie di parziale illegittimità costituzionale che hanno interessato l'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui vietava la prevalenza di circostanze attenuanti espressive di una minore gravità del fatto (v., ad esempio: sentenza n. 251/2012, per fatti di “lieve entità” in materia di stupefacenti; sentenza n. 105/2014, in tema di ricettazione di particolare tenuità; sentenza n. 205/2017, per l'attenuante ex art. 219, comma 3, regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, c.d. legge fallimentare). Tali circostanze attenuanti, secondo il giudice a quo, sarebbero assimilabili a quella contemplata dall'art. 62, n. 4, c.p., che presuppone una minore lesività di un delitto contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio. Non costituirebbe un ostacolo il fatto che l'attenuante in parola sia a effetto comune, alla luce di recenti pronunce della Corte costituzionale (come, ad esempio, la sentenza n. 143 del 26 maggio 2021, con la quale i giudici della Consulta hanno censurato l'art. 69, comma 4, c.p. nella parte in cui precludeva il bilanciamento dell'attenuante di lieve entità del fatto, di cui all'art. 311 c.p., in relazione alla fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione punito con reclusione da venticinque a trent'anni ex art. 630 c.p.). Le soluzioni giuridiche
La Corte costituzionale, nella sentenza in esame, accoglie la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, ritenendola rilevante e fondata. Per quanto riguarda la rilevanza, la Corte costituzionale ha osservato, innanzitutto che l'assunto interpretativo del giudice a quo, ossia il carattere irresistibile delle minacce dell'imputato, attraverso le quali egli avrebbe sottratto dieci euro ai dipendenti di un supermercato non appare implausibile (sulla sufficienza della verifica di non implausibilità del presupposto interpretativo del rimettente nel giudizio di legittimità costituzionale, v. ad esempio sentenze n. 113 e n. 25 del 2023, n. 264, n. 254 e n. 203 del 2022). In secondo luogo, la Corte ritiene che, anche se il reato dell'imputato fosse stato diversamente qualificato dal giudice remittente come estorsione, la questione di legittimità costituzionale del divieto di bilanciamento tra la circostanza attenuante comune della speciale tenuità del danno patrimoniale e la recidiva reiterata contestata avrebbe mantenuto la sua rilevanza, essendo applicabile sia alla rapina che all'estorsione. Per quanto concerne la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, i Giudici della Corte costituzionale hanno fatto riferimento alla recente sentenza n. 94 del 2023 che ha rammentato tutte le precedenti pronunce richiamate dal giudice a quo, nelle quali è stato ritenuto incompatibile con la Costituzione, e in particolare con il principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, comma 1 e 3, Cost., il meccanismo del divieto di prevalenza delle singole circostanze attenuanti sull'aggravante della recidiva reiterata, riconducibile alla regola generale di cui all'art. 69, comma 4, c.p. In tale sentenza, la Corte costituzionale, ha evidenziato la necessità di mantenere un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, al fine di evitare l'enfatizzazione delle componenti soggettive del reato riconducibili alla recidiva reiterata, a scapito delle componenti oggettive del reato (in questo senso, v. già la sentenza n. 251 del 2012). In altre parole, la pena risulterebbe sproporzionata laddove fosse inflitta sulla base della gravità soggettiva del reato, derivante dalla contestata recidiva reiterata, non essendo possibile, a causa del rigido meccanismo ex art. 69, comma 4, c.p., bilanciarla con la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale. Tale circostanza, come tutte le circostanze attenuanti in genere, ha un effetto “calmierante” rilevante nel giudizio a quo, in considerazione dell'elevato minimo edittale previsto dal legislatore per i reati di rapina (ed estorsione); effetto che, tuttavia, viene meno a causa della citata enfatizzazione della colpevolezza e della pericolosità dell'imputato recidivo “reiterato”. Il più volte citato principio costituzionale della proporzionalità della pena impone al giudice di tenere conto del ridotto disvalore dei reati che offendono il solo patrimonio o che offendono, accanto ad altri beni giuridici, anche il patrimonio, senza essere vincolato a ignorarlo in ragione della recidiva reiterata. Quest'ultima circostanza non ha nulla a che vedere con la gravità soggettiva e oggettiva del reato cui la pena, in un diritto penale fondato sulla colpevolezza per il fatto, è chiamata a fornire risposta. In conclusione, il giudice è tenuto a non applicare l'aggravante della recidiva, in presenza di una più accentuata colpevolezza e pericolosità dell'imputato, soltanto per evitare di dover irrogare una pena eccessiva rispetto al disvalore del fatto (in questo senso v. sentenza n. 120/2023 con riferimento al delitto di estorsione). Come osserva giustamente la Corte costituzionale nella sentenza in commento, violerebbe il principio di proporzionalità della pena perché verrebbero assoggettate alla stessa pena non inferiore al minimo edittale condotte di modesto disvalore: non solo con riferimento all'entità del danno patrimoniale cagionato alla parte offesa, che può anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio a quo) a pochi euro sottratti alle casse di un supermercato, ma anche con riferimento alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza (come una lieve spinta) ovvero, come ancora nel caso oggetto del giudizio a quo, nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione, che tuttavia già integra la modalità alternativa di condotta costituita dalla minaccia. Osservazioni
La sentenza della Corte costituzionale in oggetto segue, a distanza di poco più di un mese l'ormai nota sentenza n. 94/2023 che aveva censurato l'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui preclude il bilanciamento dell'attenuante oggettiva della lieve entità del fatto ex art. 311 c.p. per i delitti di ergastolo aggravato dalla recidiva reiterata, in violazione del principio di proporzionalità della pena. Nella sentenza in commento, la Corte costituzionale, investita dal giudice a quo, ribadisce la centralità del principio di proporzionalità della pena nel moderno diritto penale del fatto, non più basato sulla “colpa d'autore” incompatibile con il cielo dei principi penalistici cristallizzati nella Costituzione. Il diritto penale del fatto tipizzato dal legislatore (ex art. 25, comma 2, Cost.) consiste in una pena proporzionata, ma non eccedente il disvalore del fatto di reato. Ciò significa che la gravità soggettiva e oggettiva del fatto non può essere disgiunta dall'apprezzamento del disvalore in concreto del fatto al quale deve essere adeguata la pena alla luce del fondamentale principio ex artt. 3 e 27, comma 3, Cost. Nel giudizio a quo, la Corte osserva giustamente che se in un reato contro il patrimonio, o che comunque offende anche il patrimonio (come la rapina), operasse il rigido meccanismo del divieto di bilanciamento delle attenuanti per i recidivi reiterati (ex art. 69, comma 4, c.p.), l'effetto sarebbe in contrasto con il principio di proporzionalità della pena, ed anzi verrebbe, per così dire, riabilitata l'odiosa “colpa d'autore”. In altri termini, la “colpa” dell'imputato di essere un recidivo reiterato giustificherebbe un trattamento penale sproporzionato, in antitesi al diritto penale del fatto consacrato dalla Costituzione. Per mettere a fuoco gli effetti distorsivi sul moderno diritto penale di una simile “colpa d'autore”, si consideri il reato di rapina, il cui minimo edittale è di cinque anni di reclusione. Se operasse il meccanismo del divieto di bilanciamento con l'attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, la pena sarebbe dunque severa, non inferiore ad anni cinque di reclusione, sebbene il disvalore del fatto di rapina sia consistito nell'impossessamento di una somma minima di denaro, tale da integrare un danno patrimoniale di speciale tenuità per i soggetti passivi. Un simile ragionamento varrebbe anche nell'ipotesi in cui il fatto di reato venisse qualificato come estorsione, perché ad esempio la minaccia dell'imputato non sia consistita in una minaccia irresistibile nei confronti della parte offesa; anche in tal caso, il minimo edittale (di anni cinque di reclusione), sarebbe severo e in alcun modo bilanciabile con la speciale tenuità del danno patrimoniale, a causa della rigidità del più volte citato divieto ex art. 69, comma 4, c.p. In entrambe le ipotesi (rapina ed estorsione), qualora non ci fossero contemperamenti al predetto divieto di bilanciamento dell'attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale per gli imputati recidivi reiterati, il diritto penale del fatto verrebbe “svuotato”, con la restaurazione di una “colpa d'autore”. In altri termini, la qualificazione dell'imputato come recidivo reiterato giustificherebbe l'irrogazione di una pena non inferiore, nel minimo edittale, ad anni cinque di reclusione, anche se l'offesa sia stata di speciale tenuità, non solo con riferimento all'entità del danno patrimoniale, ma anche con riguardo alle modalità della condotta. Riferimenti
Di Florio, Caso Cospito: incostituzionale il divieto di prevalenza della lieve entità del fatto sulla recidiva reiterata in relazione al delitto di strage “politica”, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 5 giugno 2023. Bernardi, Una nuova dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 69, c. 4, c.p.: illegittimo il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del “danno patrimoniale” (o lucro) di speciale tenuità” sulla recidiva reiterata, in sistemapenale.it, 12 luglio 2023. |