Riforma processo civile: verifica preliminare delle condizioni di procedibilità

19 Luglio 2023

Nel nuovo rito ordinario delineato dalla riforma Cartabia è possibile per il giudice, in sede di verifiche preliminari, disporre l'espletamento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, senza prima sottoporre la relativa questione alle parti?
Inquadramento

L'art. 171-bis c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 149/2022 ed applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023, disciplina le verifiche preliminari che il giudice è chiamato a compiere d'ufficio in una fase antecedente alla prima udienza di trattazione e comparizione delle parti (disciplinata dal novellato art. 183 c.p.c.), e precisamente nei 15 giorni successivi alla scadenza del termine (70 giorni prima dell'udienza indicata nell'atto di citazione) fissato, ex art. 166 c.p.c., per la costituzione (tempestiva) del convenuto.

Tra le verifiche demandate al giudice, finalizzate ad accertare la corretta instaurazione del contraddittorio ed a sottoporre all'esame delle parti le questioni rilevabili d'ufficio di cui si ritiene opportuna la trattazione, vi è anche quella inerente alle condizioni di procedibilità della domanda (in relazione, ad es., all'avvenuto espletamento del tentativo di mediazione di cui all'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, ovvero del procedimento di negoziazione assistita di cui al d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014). Tale disposizione normativa va senz'altro coordinata con il nuovo n. 3-bis inserito nel comma 3 dell'art. 163 c.p.c., il quale prevede, quale ulteriore requisito dell'atto di citazione, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento: è evidente che tale nuovo contenuto dell'atto di citazione è finalizzato ad agevolare la verifica preliminare che il giudice dovrà effettuare anche in relazione al rispetto delle condizioni di procedibilità.

Ebbene, nel caso in cui il giudice, in sede di verifiche preliminari, abbia a sollevare rilievi in ordine alle condizioni di procedibilità, la relativa questione, come prevede l'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 171-bis c.p.c., dovrebbe essere trattata dalle parti nelle memorie integrative di cui all'art. 171-ter c.p.c. In sostanza, il giudice - rilevata, ad es., la mancanza di prova in ordine all'assolvimento della condizione di procedibilità (es., per mancato deposito del verbale negativo di mediazione o della documentazione attestante l'invio dell'invito alla negoziazione assistita) - dovrà, con il decreto ex art. 171-bis c.p.c., sottoporre la questione al contraddittorio delle parti e queste potranno interloquire in ordine alla stessa con le memorie integrative, per poi rimettere ogni valutazione al giudice in sede di prima udienza di comparizione.

In tale contesto, è consentito al giudice, essenzialmente per esigenze di economia processuale, adottare direttamente, in sede di verifiche preliminari (quindi, fuori udienza e senza la previa instaurazione del contraddittorio tra le parti), i provvedimenti ritenuti opportuni per ovviare tempestivamente alle criticità rilevate in ordine alle condizioni di procedibilità?

Derogabilità dell'iter delle verifiche preliminari

La verifica giudiziale avente ad oggetto il rispetto delle condizioni di procedibilità non costituisce certo una novità introdotta dalla riforma Cartabia, in quanto, anche in relazione al rito previgente, il giudice era chiamato ad effettuare d'ufficio tale verifica: ciò che cambia è solo il momento processuale (non più la prima udienza, bensì una fase a questa antecedente) in cui il giudice è tenuto ad operare le verifiche, ma non la sostanza di queste ultime.

La questione qui esaminata attiene ad una problematica di carattere più generale, riguardante la derogabilità della (apparentemente rigida) scansione processuale delineata dall'art. 171-bis c.p.c. in tema di verifiche preliminari, e quindi la facoltà per il giudice di adottare provvedimenti che, sebbene non espressamente contemplati in tale ultima norma, siano diretti, pur sempre nel rispetto del contraddittorio, a favorire una più oculata gestione del caso concreto ed una più agevole individuazione della direzione da imprimere al processo.

In linea di principio, a tale quesito non può che darsi risposta positiva, in quanto l'art. 171-bis c.p.c. non sembra costituire una norma né esaustiva delle verifiche preliminari che il giudice è chiamato a compiere, né inderogabile in ordine ai provvedimenti che lo stesso può adottare nella fase che precede la prima udienza.

Quanto al contenuto delle verifiche, infatti, l'elencazione riportata in tale norma non è tassativa, essendo possibile, ad es., che il giudice rilevi l'errata ripartizione delle cause tra sede centrale e sezione distaccata del medesimo tribunale (con conseguente adozione dei provvedimenti di cui all'art. 83-ter disp. att. c.p.c.) o disponga la riunione dei procedimenti relativi alla stessa causa (art. 273, comma 1, c.p.c.) o a cause connesse (art. 274, comma 1, c.p.c.), ovvero proceda al mutamento del rito previsto dall'art. 4 d.lgs. n. 150/2011 (norma, quest'ultima, anch'essa modificata dalla recente riforma, che ha anticipato alle verifiche preliminari il termine ultimo entro il quale il giudice deve procedere al mutamento del rito erroneamente scelto dalla parte in quello previsto dal predetto d.lgs. n. 150/11).

Anche in ordine ai provvedimenti adottabili, lo schema delineato dall'art. 171-bis c.p.c. non appare inderogabile, perché, se l'obiettivo della riforma Cartabia è quello di favorire la velocizzazione e l'efficienza del processo, non può non riconoscersi al giudice uno spazio di manovra discrezionale nell'attività di direzione del giudizio e, quindi, anche nella gestione della fase, temporalmente assai ristretta (ed è questa una delle principali problematiche), delle verifiche preliminari. La norma in esame costituisce, quindi, uno schema-base che, sia pure entro certi limiti e nel rispetto del principio del contraddittorio (ora rafforzato dalla novella apportata anche al co. 2 dell'art. 101 c.p.c.), può essere adattato, in un'ottica acceleratoria, alle particolarità del caso concreto.

Che questa sia l'interpretazione da dare all'art. 171-bis c.p.c. si desume dalle prime pronunce della giurisprudenza di merito, laddove, ad es., Trib. Piacenza 1° maggio 2023 (in questo portale con commento di R. Masoni) ha ritenuto che, in deroga a quanto desumibile dal combinato disposto degli artt. 171bis e 183bis c.p.c., il giudice, in forza di un'interpretazione costituzionalmente orientata, possa d'ufficio disporre la conversione del rito ordinario di cognizione in quello semplificato (di cui agli artt. 281-decies/281-terdecies c.p.c.) già in sede di verifiche preliminari, e cioè anteriormente all'udienza di prima comparizione delle parti ed in assenza di contraddittorio su tale questione. In altri termini, al fine di prevenire il dispendioso deposito delle memorie integrative di cui all'art. 171-ter c.p.c. e rendere concretamente utile il mutamento del rito ordinario in quello semplificato, il giudice non è obbligato, con il decreto ex art. 171bis c.p.c., a sottoporre al contraddittorio tra le parti la questione della “sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato”, ma può direttamente procedere a tale conversione, così ottimizzando l'utilità di tale strumento processuale, che risulterebbe pregiudicata se al mutamento del rito si dovesse procedere sempre ed in ogni caso, come sembrerebbe desumersi dall'art. 183-bis c.p.c., alla prima udienza di comparizione delle parti, allorquando cioè queste ultime hanno già depositato le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., il giudice ha studiato gli atti di causa ed il thema decidendum ac probandum è stato interamente definito, con buona pace per la semplificazione dell'iter processuale che dovrebbe invece caratterizzare il rito di cui agli artt. 281-decies e ss. c.p.c.

Mutatis mutandis, la medesima problematica si pone in relazione alle condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, e precisamente per la mediazione ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010, per la negoziazione assistita ex d.l. n. 132/2014, conv. in l. 162/2014, e per le ulteriori fattispecie disciplinate da leggi speciali, ad es. in materia di telecomunicazioni (art. 1, co. 11, l. n. 249/1997: cfr. Cass. civ., 16 maggio 2022, n. 15502) e di energia elettrica e gas (art. 2, comma 24, l. n. 481/1995 e art. 141, comma 6, d.lgs. n. 206/2005).

In termini concreti, se il giudice, in sede di verifiche preliminari, sulla base di quanto allegato e prodotto dalle parti, si avvede che la condizione di procedibilità non è stata esperita o non è stata correttamente espletata (ad es., perché la parte non è personalmente comparsa dinanzi all'organismo di mediazione, né ha delegato un rappresentante a conoscenza dei fatti, come prescritto dal comma 4 dell'art. 8 d.lgs. n. 28/2010), lo stesso dovrebbe, seguendo letteralmente quanto previsto dall'art. 171-bis c.p.c., indicare tale questione alle parti, al fine di consentire a queste di trattarla in sede di memorie integrative (verosimilmente, nella prima delle tre memorie di cui all'art. 171-ter c.p.c.). Alla prima udienza di comparizione, il giudice dovrebbe poi adottare il provvedimento ritenuto opportuno, e cioè, in caso di conferma del mancato rispetto della condizione di procedibilità, rinviare tale udienza al fine di consentire alla parte che ha proposto la domanda (non solo principale, ma anche riconvenzionale, se si accede alla tesi, prevalente nella giurisprudenza di merito, secondo cui la condizione di procedibilità opera anche per le domande riconvenzionali) di esperire il tentativo di mediazione, di negoziazione assistita, o l'altra condizione di procedibilità applicabile nel caso concreto. Proprio la prima udienza rappresenta, infatti, il termine ultimo entro il quale l'improcedibilità della domanda può essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, come prescritto dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione e dall'art. 3, comma 1, d.l. n. 132/14, conv. in l. n. 162/14, in tema di negoziazione assistita.

Potrebbe, però, risultare più proficuo, in termini di accelerazione dell'iter processuale, disporre da subito, cioè in sede di verifiche preliminari, un rinvio della prima udienza per consentire di sanare il difetto di procedibilità della domanda giudiziale, in modo da dar seguito agli ulteriori adempimenti, in primis costituiti dal deposito delle memorie integrative, solo una volta fallito il tentativo di composizione conciliativa della lite.

Si tratta di una soluzione flessibile che valorizza i poteri di direzione del giudice, non vincolato allo schema tipico procedimentale delineato dall'art. 171-bis c.p.c., ma libero, in un'ottica di buon andamento del giudizio, di percorrere un sentiero diverso, ma pur sempre funzionalizzato all'efficienza del processo ed alla celere definizione della lite. Chiaramente il provvedimento con cui il giudice dispone l'espletamento della condizione di procedibilità va adottato “in solitudine”, ossia prima e fuori dall'udienza e senza potersi giovare del prezioso confronto con le parti, con conseguenze che potrebbero risultare controproducenti, perché la dialettica processuale consente spesso di chiarire i profili di criticità rilevati dal giudice ed evita l'adozione di provvedimenti che finirebbero magari solo per ritardare l'andamento del processo.

L'anticipazione dei provvedimenti in tema di procedibilità della domanda

Deve, quindi, ritenersi ammissibile che il giudice, accertato il palese difetto della condizione di procedibilità, possa già con il provvedimento ex art. 171-bis c.p.c. mandare le parti in mediazione o negoziazione (o disporre altra forma di conciliazione prevista come obbligatoria), posticipando la prima udienza di comparizione e così anche lo scambio delle memorie integrative. Come è stato opportunamente rilevato in dottrina, “la scelta di rinviare l'adozione del provvedimento all'udienza, quando le parti hanno oramai esaurito la trattazione e formulato le richieste istruttorie, avrà l'effetto di mortificare le chances di raggiungere una composizione stragiudiziale della controversia” (P. Lai, Le nuove regole per l'introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione, in Judicium).

L'opzione interpretativa che consente l'adozione, già in sede di verifiche preliminari, dei provvedimenti in tema di condizioni di procedibilità, da un lato, non mortifica il diritto di difesa delle parti, atteso che, secondo la giurisprudenza, in relazione all'art. 101 c.p.c., il giudice non è obbligato a sollecitare il preventivo contraddittorio tra le parti rispetto alla questione processuale relativa all'ammissibilità o procedibilità della domanda (Cass. civ., 4 marzo 2019, n. 6218), e, dall'altro, risulta la più opportuna proprio in relazione alle condizioni di procedibilità “in senso stretto” previste dal legislatore.

In ordine a tale secondo profilo, deve invero precisarsi che il richiamo alle “condizioni di procedibilità della domanda”, di cui al citato art. 171-bis c.p.c., non va inteso in senso letterale, essendo ragionevole ipotizzare che il legislatore abbia voluto riferirsi non solo alle condizioni di procedibilità in senso stretto (come la mediazione e la negoziazione assistita), ma anche alle cd. condizioni di proponibilità della domanda (come la messa in mora stragiudiziale in materia di r.c.a. di cui all'art. 145 d.lgs. n. 209/2005). La differenza tra le due categorie di condizioni è rilevante, in quanto, come precisato in giurisprudenza, qualora difetti la condizione di procedibilità, il giudice non può automaticamente concludere il giudizio con una pronuncia in rito (dichiarativa dell'improcedibilità della domanda), ma deve, a seconda della disciplina normativa applicabile, sospendere il giudizio (come nel caso dell'art. 1, comma 11, l. n. 249/1997) o rinviare ad altra udienza (come nel caso della mediazione e della negoziazione assistita), consentendo nelle more l'espletamento del tentativo di mediazione, negoziazione o conciliazione, a differenza di quanto previsto nell'ipotesi di improponibilità della domanda, che risulta non sanabile con l'adempimento “a posteriori” della condizione di proponibilità omessa e porta inevitabilmente alla reiezione in rito della domanda (Cass., Sez. Un., 28 aprile 2020, n. 8241).

Posta questa distinzione, e considerato che anche le condizioni di proponibilità, in quanto rilevabili d'ufficio al pari di quelle di procedibilità, rientrano nell'oggetto delle verifiche preliminari, è evidente che se il giudice dovesse ab origine ravvisare il mancato rispetto di una condizione di proponibilità, non avrebbe alcuna utilità alterare lo schema tipico delineato dalla sequenza processuale di cui agli artt. 171-bis, 171-ter e 183 c.p.c., potendo il giudice limitarsi a sollevare tale questione, attendere le deduzioni delle parti in merito e poi dichiarare alla prima udienza, non essendo possibile sanare il vizio della domanda, la causa matura per la decisione, così rinviando all'udienza di rimessione della causa in decisione (sempre che non si voglia disporre la conversione del rito ordinario in rito semplificato, per evitare l'inutile dispendio di energie con il deposito degli scritti difensivi di cui al novellato art. 189 c.p.c.).

Se, invece, la problematica sollevata dal giudice attiene ad una condizione di procedibilità, allora, come già rilevato, costituisce comportamento efficiente del giudice quello di procedere all'immediata sanatoria del vizio riscontrato con l'invito ad avviare il tentativo di mediazione o negoziazione assistita.

Non può escludersi che, qualora la parte alleghi di aver soddisfatto la condizione di procedibilità, ma non produca documentazione attestante tale circostanza, il giudice possa, tempestivamente attivandosi nel termine di 15 giorni previsto dall'art. 171-bis c.p.c., invitare la parte interessata a depositare in un brevissimo lasso di tempo, comunque anteriore all'inizio della decorrenza dei termini per le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., il documento comprovante quanto solamente allegato ai sensi del n. 3-bis dell'art. 163 c.p.c., in modo da consentire l'adozione del provvedimento più opportuno, ossia confermare la prima udienza fissata nell'atto di citazione, una volta appurato il corretto soddisfacimento della condizione di procedibilità, ovvero rinviare tale udienza, al fine di consentire la sanatoria della domanda improcedibile.

A dirsi sembra più semplice che a farsi, in quanto la smania del legislatore di anticipare e concentrare le tappe processuali, nella vana speranza di accelerare la definizione dei giudizi, ha sicuramente ridotto i momenti di dialettica tra le parti ed il giudice, sicchè quest'ultimo, trovandosi da solo ad effettuare le verifiche preliminari, può cercare di recuperare, per altre vie, il confronto con le parti, adottando provvedimenti “atipici” (contenenti solleciti ed inviti alle parti a chiarire, in tempi brevissimi, alcune questioni ed a produrre documenti) e magari fissando anche udienze ad hoc in via anticipata rispetto alla prima udienza ex art. 183 c.p.c., per cercare di risolvere quanto prima le criticità rilevate.

Ma far ricadere sempre sul giudice, novello ortopedico del diritto, l'onere di escogitare alternative al percorso standard delineato dall'art. 171-bis c.p.c., peraltro in un arco temporale assai breve, al fine di ripristinare la dialettica processuale offuscata dalla recente riforma, appare davvero eccessivo, perché già sintomatico del fatto che il meccanismo del nuovo rito ordinario non è stato ben concepito dal legislatore nei suoi risvolti pratici e rischia, soprattutto nella prima fase di applicazione ed interpretazione, di generare prassi difformi tra i vari uffici e confusione tra tutti gli operatori del diritto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario