Licenziamento per scarso rendimento: per la Cassazione è legittimo se provata la violazione del dovere di collaborazione

Emanuele Licciardi
Elena Dongellini
19 Luglio 2023

Il licenziamento intimato al dipendente per scarso rendimento è legittimo se viene provata la violazione del dovere di collaborazione in relazione alla sproporzione tra gli obiettivi fissati e quanto effettivamente realizzato, tenendo anche in considerazione il rendimento degli altri dipendenti, indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.
Massima

È legittimo il licenziamento intimato al dipendente per scarso rendimento se è provata, in base a una valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore e agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente in conseguenza della sproporzione tra gli obiettivi assegnati al lavoratore stesso e il risultato effettivamente realizzato, tenendo conto della media dell'attività prestata dai vari dipendenti, indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.

Il caso

La fattispecie in esame riguarda un dipendente che ha impugnato il licenziamento irrogatogli per scarso rendimento relativo a un periodo di misurazione di circa tre mesi, lamentando, inoltre, la ritorsività del recesso datoriale.

La Corte d'Appello ha rigettato la predetta domanda, ritenendo giustificato il provvedimento datoriale motivato dal “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali”, unito alla mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la riduzione dell'attività del lavoratore, con conseguente conferma della valutazione contenuta nella sentenza reclamata.

Il dipendete ha, quindi, proposto ricorso in Cassazione.

Le questioni

Confermata l'esclusione della ritorsività del recesso datoriale, la Suprema Corte è giunta alla conclusione che, pur essendo il periodo di valutazione della prestazione relativamente limitato nel tempo, l'intensità dell'inadempimento del dipendente era stata notevole, e ciò, unito alla mancanza di elementi obiettivi che giustificassero la predetta sproporzione, comportava che la valutazione dei giudici di merito fosse condivisibile.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel confermare la pronuncia di merito, ha rigettato il ricorso proposto dal dipendente, ritenendo provato il grave e non scusabile inadempimento del dipendente alle proprie obbligazioni contrattuali, così come provato dalla riduzione dell'attività lavorativa dello stesso e dalla notevole sproporzione rispetto ai risultati attesi e a quelli realizzati dagli altri colleghi del medesimo ufficio.

La Corte ha confermato, nello specifico, che il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore rientra nell'ambito dei recessi per giustificato motivo soggettivo e che ricada sul datore di lavoro l'onere della prova dell'inadempimento del dipendente. Tale indagine, peraltro, non può limitarsi al mancato raggiungimento di un risultato o alla sua oggettiva esigibilità, ma deve estendersi anche alla prova del fatto che esso derivi da un colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell'espletamento della sua normale prestazione. Al riguardo, da un punto di vista probatorio, ricopre rilevanza primaria la comparazione dei dati relativi all'attività svolta dal dipendente con quella prestata dai suoi colleghi che ricoprono una posizione simile.

Osservazioni

La Corte di Cassazione torna a esaminare la fattispecie del licenziamento per scarso rendimento del dipendente. La Suprema Corte, infatti, in assenza di una normativa ad hoc, ha da tempo fornito le proprie indicazioni interpretative al fine di ricondurre la poor performance del dipendente nell'alveo delle condotte lavorative disciplinarmente rilevanti.

Secondo gli insegnamenti giurisprudenziali consolidati, infatti, la scarsa produttività del lavoratore si qualifica quale notevole inadempimento da parte di quest'ultimo dei propri obblighi contrattuali – in particolare, di quello di diligenza di cui all'art. 2104 c.c. –, così, integrando un'ipotesi di recesso datoriale per ragioni soggettive (a sua volta, espressione della più generale risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e s.s.c.c.).

La prova della legittimità del licenziamento grava sul datore di lavoro, il quale, deve dimostrare non solo che il lavoratore abbia raggiunto un risultato inferiore rispetto alle attese e alla media delle prestazioni rese dai colleghi con medesima mansione, ma anche che tale rendimento sia imputabile solo al lavoratore stesso e, dunque, che derivi da sua negligenza.

Al dipendente è, tuttavia, consentito produrre elementi obiettivi che giustifichino la riduzione della propria attività per cause a lui non imputabili (e.g., fattori organizzativi propri del datore di lavoro; condizioni esogene proprie del mercato di riferimento). Solo in assenza di tali allegazioni si potrà concludere sull'addebitabilità dell'inadempimento al lavoratore e, conseguentemente, questi sarà punibile disciplinarmente in relazione allo stesso.

Infine, risulta particolarmente rilevante, la riflessione effettuata dagli Ermellini in relazione alla (confermata) gravità dell'inadempimento, pur misurato per un periodo relativamente contenuto (i.e., circa tre mesi).

Al riguardo, per orientamento consolidato delle corti di legittimità e di merito, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce, di per sé, un inadempimento del lavoratore, ove siano individuabili dei parametri oggettivi per accertare se la prestazione sia eseguita con la diligenza media propria delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire indice del non esatto adempimento della prestazione; tuttavia, è parimenti necessario che tale elemento sia inserito in una valutazione complessiva dell'attività resa dal dipendente stesso per un apprezzabile periodo di tempo.

Proprio con riguardo a tale ultimo criterio temporale la sentenza in commento costituisce una deviazione di non poco momento. E, infatti, nonostante il lasso temporale alquanto breve dell'inadempimento contestato, la Corte riconosce l'evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – e a lui imputabile – semplicemente in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati e quanto effettivamente da questi realizzato, tenuto conto della media dei risultati conseguiti nel medesimo periodo dai colleghi dell'interessato. Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, una volta comprovata una tale abnorme sproporzione, la stessa può essere sussunta in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, in quanto tale idoneo a giustificare la risoluzione del rapporto anche se verificatosi per un arco temporale relativamente ridotto.

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