Lavoro straordinario: è inammissibile il rifiuto da parte del lavoratore se la richiesta del datore rispetta i limiti previsti dal CCNL
19 Luglio 2023
Massima
La richiesta datoriale di lavoro straordinario, se conforme alle pertinenti previsioni contenute nella contrattazione collettiva, non può essere rifiutata dal dipendente. L'eventuale assenza di quest'ultimo può determinare, pertanto, l'applicazione di una sanzione disciplinare. Fatto
La Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la legittimità del licenziamento, “convertito” dalla fattispecie di cui all'art. 2119 c.c. a licenziamento per g.m.s., con conseguente condanna della società-datrice al pagamento in favore del lavoratore dell'indennità di mancato preavviso.
Il licenziamento era stato fondato sulla mancata effettuazione del lavoro straordinario nel periodo dal 9 al 27 maggio 2016, in spregio alla direttiva aziendale con la quale era stato stabilito l'aumento dell'orario di lavoro per ragioni produttive, contestando anche la recidiva nella quale era incorso il lavoratore.
Quest'ultimo impugnava la decisione innanzi alla Corte di Cassazione.
Sinteticamente, con riferimento alla libertà datoriale di imporre prestazioni di lavoro straordinario, il ricorrente contestava, in particolare, l'interpretazione del contratto collettivo nel senso di consentire alla società di disporre ad libitum delle prestazioni di lavoro straordinario nei confronti della indistinta platea dei lavoratori, purché contenuta nel limite di ottanta ore annue.
Lamentava, inoltre, l'omesso esame di alcuni documenti (l'avviso di cui al cartello affisso all'interno dello stabilimento; la diffida sindacale; il Regolamento aziendale) alla stregua dei quali, a suo avviso, la richiesta di effettuazione di lavoro straordinario avrebbe comportato, in applicazione delle disposizioni collettive, la necessità di coinvolgere le organizzazioni sindacali, sotto il profilo della necessità di informazione delle stesse e dell'acquisizione del relativo assenso preventivo.
Veniva contestata, pertanto, la legittimità e vincolatività della disposizione datoriale di effettuazione di lavoro straordinario.
Il lavoratore, infine, a giustificazione della propria condotta, richiamava anche l'art. 1460 c.c.
La società proponeva, a sua volta, ricorso incidentale, con il quale denunziava la mancata considerazione della recidiva specifica, censurando la valutazione della riconducibilità della condotta alla fattispecie del grave inadempimento piuttosto che a quella dell'insubordinazione, giustificante il recesso ex art. 2119 c.c. La questione
Il dipendente può rifiutare lo svolgimento di lavoro straordinario? In quali conseguenze incorre? La soluzione della Corte
La Corte di Cassazione, premesso che l'art. 5, d. lgs. n. 66/2003 rimette espressamente alle parti collettive la regolamentazione dei limiti del ricorso al lavoro straordinario, ha osservato che la piana lettura della previsione collettiva di riferimento confermava la correttezza dell'interpretazione del giudice di merito circa la possibilità per la parte datoriale di richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro straordinario nei limiti della c.d. quota esente, senza preventiva consultazione o informazione alle organizzazioni sindacali nel rispetto dei limiti di due ore giornaliere e otto ore settimanali e con un preavviso di almeno 24 ore.
L'esame in ordine all'idoneità del cartello affisso all'interno dello stabilimento aziendale a far ritenere assolto da parte del datore l'obbligo di preventiva comunicazione della richiesta di straordinario nei confronti del lavoratore, in assenza di specifiche prescrizioni a riguardo da parte della norma collettiva, costituiva, invece, un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, anche in relazione al profilo attinente alla mancata indicazione nel detto avviso della data finale di espletamento del maggiore orario e, in generale, in punto di specificità ed adeguatezza della disposizione aziendale a consentire la verifica dell'eventuale superamento della quota esente di straordinario.
Il lavoratore non aveva, inoltre, fornito la prova di aver opposto il proprio rifiuto in ragione delle ore di lavoro straordinario già effettuate in misura pari o superiore alla quota c.d. esente. In punto di ripartizione dell'onere della prova, infatti, la Corte ha precisato che, avendo la parte datoriale dimostrato la sussistenza del fatto costitutivo giustificativo del recesso, ossia la mancata effettuazione di prestazioni di lavoro straordinario, l'allegazione dell'avvenuto superamento della suddetta quota si configurava come eccezione, con onere della relativa dimostrazione a carico del lavoratore eccipiente, onere che in concreto non risultava essere stato assolto.
È stata dichiarata l'inammissibilità degli altri motivi del ricorso principale.
La Corte ha osservato che l'affermata legittimità del licenziamento, nei precedenti gradi di giudizio, era stata basata sulle previsioni del CCNL, tenuto conto dell'inadempimento alla richiesta di effettuazione dello straordinario, gravando sul lavoratore l'onere di provare di avere opposto il proprio rifiuto in ragione delle ore di lavoro straordinario già effettuate in misura pari o superiore alla quota c.d. esente, sebbene la prova orale avesse evidenziato la sistematica mancata prestazione di lavoro straordinario da parte del ricorrente.
Il giudice di merito, inoltre, risultava aver operato la valutazione di proporzionalità del licenziamento in relazione agli aspetti oggettivi e soggettivi del fatto ascritto, che aveva ritenuto tali da giustificare la sanzione espulsiva anche a prescindere dalla contestazione della recidiva. L'esistenza di precedenti disciplinari non rappresentava, infatti, un elemento costitutivo della fattispecie contestata.
È stata dichiarato inammissibile il motivo fondato sull'art. 1460 c.c., non risultando tale censura coltivata nel precedente grado di giudizio.
Con riferimento alla condotta giustificante il recesso datoriale, i giudici di legittimità hanno osservato che la sentenza impugnata non aveva ritenuto il comportamento del lavoratore sussumibile nelle ipotesi sanzionate dal contratto collettivo con misura conservativa, rilevando che tali ipotesi si connotavano per il carattere episodico ed isolato della manifestazione di insubordinazione mentre, nel caso specifico, si era in presenza di un prolungato e sistematico contegno del dipendente improntato ad “assenza di spirito collaborativo”, a “pervicace violazione di un obbligo imposto da direttiva aziendale conformemente alle previsioni del contratto collettivo” ed “a plateale noncuranza degli interessi dell'impresa datrice di lavoro”.
Sul punto la Corte di Cassazione ha precisato che l'assenza di una specifica previsione collettiva nel senso della sanzionabilità della concreta fattispecie con misura espulsiva risultava ininfluente ai fini della configurazione del notevole inadempimento posto alla base del giustificato motivo di licenziamento, considerato il carattere meramente esemplificativo delle previsioni collettive. La sentenza impugnata, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, è stata ritenuta coerente con l'indicazione del regolamento aziendale con riferimento alla necessità di parametrare le conseguenze disciplinari del rifiuto di espletamento del lavoro straordinario, alla gravità della condotta ed al disagio organizzativo determinato alla società, entrambi positivamente accertati.
La Corte di Cassazione ha, infine, dichiarato inammissibili anche i motivi del ricorso accidentale. Osservazioni
La sentenza in commento offre l'occasione per riflettere sulla questione della ricusabilità della richiesta di svolgimento di lavoro straordinario.
Partendo dal dato normativo, l'art. 5, d.lgs. n. 66/2003 prevede, quali limiti sussidiari in caso di mancata espressa regolazione in sede negoziale, il tetto massimo delle 250 ore annuali, indicando specifiche ipotesi in cui, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario è comunque ammesso (ad es. sussistenza di eccezionali esigenze tecnico-produttive). La contrattazione collettiva, precisa il medesimo testo legislativo, non può in ogni caso superare i limiti posti dall'art. 4, il quale fissa in 48 ore settimanali - con calcolo basato sulla durata media con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi - l'orario lavorativo non superabile e comprensivo anche dello straordinario.
Tenuto fermo quanto sopra, in linea generale, se il datore ha richiesto lo svolgimento dello straordinario rimanendo entro i limiti legali o contrattuali, il lavoratore non potrebbe opporvisi e l'eventuale rifiuto configurerebbe una condotta disciplinarmente rilevante. Nel caso di specie, secondo quanto è possibile evincere dalla descrizione del fatto, proprio le assenze del dipendente, il quale asseriva l'illegittimità delle richieste datoriali, avevano costituito il fondamento giustificativo del licenziamento per g.m.s.
Nel contestare tale sanzione disciplinare espulsiva, il lavoratore-ricorrente richiamava anche quanto disposto dall'art. 1460 c.c. e, sebbene tale difesa, come evidenziato dalla Corte, non sia stata coltivata in sede di appello, sembra opportuno rammentare l'interpretazione fornitaci dalla giurisprudenza di legittimità in materia. L'eccezione inadimplenti non est adimplendum nell'ambito del rapporto di lavoro è spesso sollevata per motivare condotte contrastanti con le direttive datoriali, ad esempio qualora venga richiesto lo svolgimento di mansioni inferiori in violazione dell'art. 2103 c.c. (Cass., sez. lav., n. 836/2018), o sia stato disposto il trasferimento in difetto delle esigenze organizzative-produttive richieste dalla legge (Cass., sez. lav., n. 11180/2019), ovvero sussista uno stato di insalubrità del luogo di lavoro o non siano state adottate idonee misure di sicurezza (Cass., sez. lav., n. 8911/2019; Cass., sez. lav.,n.2943/2013). Seguendo l'orientamento della Corte di Cassazione, qualora il dipendente adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento del datore, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico (recte quale delle condotte sia precedente rispetto all'altra), quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) Pertanto, affinché l'eccezione di inadempimento sia conforme a suddetti obblighi, e non pretestuosamente strumentale all'intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali, nell'esecuzione del contratto di lavoro, il dipendente non potrebbe automaticamente rifiutarsi di attuare le direttive datoriali, potendo invocare l'art. 1460 c.c. solo nel caso in cui l'inadempimento del datore sia totale o tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle proprie esigenze vitali. È stato considerato legittimo, ad esempio, il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta di svolgimento di compiti aggiuntivi, incompatibili con la sua adibizione costante ad un impegno lavorativo gravoso, nonché ostativi al recupero delle energie psico-fisiche e alla cura degli interessi familiari (Cass., sez. lav., n. 12094/2018).
A questo punto ci si potrebbe domandare se la richiesta di svolgimento di lavoro straordinario, sebbene formalmente in linea con i limiti negoziali e legali, possa in concreto giustificare un rifiuto laddove, ad esempio, si ponga in contrasto con la situazione personale del lavoratore. Nella decisione in commento, tuttavia, l'attenzione sembra doversi riporre non solo sulle ragioni addotte dal dipendente per sottrarsi al lavoro extra, ma sull'onere di dimostrare la fondatezza delle stesse ragioni. Nel caso di specie, infatti, la Corte ha osservato che, a fronte della dimostrazione da parte del datore della sussistenza del fatto giustificante il licenziamento, il ricorrente aveva solo allegato ma non anche provato il superamento della c.d. quota esente, ossia della causa determinante l'asserita illegittimità della richiesta datoriale, costituendo tale circostanza fattuale un'eccezione, con onere della relativa dimostrazione a carico del lavoratore eccipiente (art. 2697 c.c.).
In sintesi, dunque, il rifiuto del lavoro straordinario non potrebbe ritenersi sempre ingiustificato e meritevole di sanzione disciplinare. È necessario esaminare, in primis, la disciplina della materia contenuta nella contrattazione collettiva ovvero, in via residuale, nella legge, per poter stabilire la legittimità o meno della richiesta datoriale nel caso specifico. Qualora sotto il profilo formale non siano riscontrabili violazioni dei limiti all'esercizio di tale facoltà, sarà onere del dipendente, il quale contesti la doverosità del lavoro straordinario, fornire la dimostrazione degli elementi fattuali posti a fondamento della propria eccezione, tenuto conto che l'eventuale asserito inadempimento datoriale, con correlata invocazione dell'art. 1460 c.c., non potrebbe porlo automaticamente al riparo dalle conseguenze disciplinari della propria condotta. Sul punto, tuttavia, è stato precisato che, sebbene a norma dell'art. 2697 c.c. gravi sul dipendente l'onere di provare le ragioni poste a fondamento del rifiuto di eseguire la richiesta del datore, qualora sia invece quest'ultimo ad agire in giudizio per l'accertamento della legittimità della sanzione disciplinare, incomberà su di lui l'onere di dimostrare che il potere discrezionale di richiedere la prestazione dello straordinario era stato esercitato secondo le regole di correttezza e buona fede (Cass., sez. lav., n. 17644/2009). Per approfondire
F. Grasso, Lo stress derivante dall'organizzazione del lavoro. Gli obblighi di prevenzione e la responsabilità del datore di lavoro, in Lav. giur., 2021, 8-9, pp. 836 ss.
S. Servidio, Tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore: mancata adozione di misure idonee, in Dir. prat. lav., n. 31, 7 agosto 2021, pp. 2023 ss.
S. Bertocco, Il rifiuto del lavoratore di ottemperare all'ordine illegittimo di trasferimento: natura ed effetti, in Lav. giur., 12, 1° dicembre 2019, pp. 1124 ss.
S. Malandrini, Contrattazione individuale e collettiva: rafforzamento dell'esigibilità, in Dir. prat. lav., n. 44, 13 novembre 2010, pp. 2557 ss. |