Brevi note sullo Studio del Notariato in tema di Società benefit

Emanuela De Sabato
20 Luglio 2023

Le società benefit rappresentano un modello innovativo ed evoluto di fare impresa e quindi profitto e si stanno diffondendo in Italia lentamente ma in maniera esponenziale: sono ormai poco meno di tremila e, introdotte dalla Legge di Stabilità del 2016, sono oggetto di un interesse sempre crescente da parte di imprenditori, operatori e professionisti. Nel novembre 2022 è stato pubblicato lo Studio n. 121/2022 del Consiglio Nazionale del Notariato che affronta e approfondisce alcune questioni che la legge non sviluppa lasciando agli interpreti una non sempre facile interpretazione.
Le società benefit: definizione

La Legge di Stabilità del 2016, L. 28 dicembre 2015 n. 208, articolo unico, commi 376-384, ha introdotto nel nostro ordinamento, secondo al mondo dopo gli Stati Uniti, la figura delle società benefit, ossia quelle società (di capitali, di persone, cooperative) previste nel codice civile i cui soci decidono di aderire a un modo innovativo di fare impresa per cui l'oggetto sociale ha in sé due componenti, aventi la medesima dignità e la medesima importanza: uno prettamente di profitto e l'altro, principale come il primo, definito benefit, ossia tale da perseguire un vantaggio e dei benefici in favore di varie realtà (persone, ambiente, comunità, territorio, cultura, salute…) sulle quale l'attività societaria ha un impatto. In questo modo la società benefit vuole contribuire a un cambiamento epocale e inevitabile nell'approccio al business che non può più essere portato avanti a discapito dell'ambiente e del benessere umano (inteso in senso lato) ma deve inevitabilmente tenere conto dell'impatto che può avere su questi due elementi e fare in modo che esso sia positivo o, quantomeno, non crei pregiudizi.

Lo Studio n. 121/2022 del Consiglio Nazionale del Notariato: uno sguardo complessivo

L'interesse per le società benefit è in crescente aumento, come dimostra l'esistenza di un numero sempre maggiore di articoli, libri e saggi in proposito (citati nelle note dello Studio n. 121/2022, con l'eccezione di qualche recente pubblicazione per Giuffrè Francis Lefèvre del 2022: DE SABATO – FUGIGLANDO, Le società benefit – Officina del Diritto e SICLARI, Profili giuridici della società benefit, cui aggiungere ad esempio STELLA RICHTER JR – PASSADOR - SERTOLI, Tendenze e prospettive delle società benefit, in Analisi giuridica dell'Economia, fasc. 1, Il Mulino-Riviste Web) e come dimostra l'incremento, lento ma esponenziale, del numero di società che nascono benefit o evolvono in società benefit percependolo come il modello più affine a una natura acquisita nei fatti.

Ecco perché è particolarmente importante che il Consiglio Nazionale del Notariato abbia ritenuto di dedicare un proprio studio, a quasi sei anni dall'introduzione legislativa, a questo tema, visto il ruolo di interprete e guida che un notaio è inevitabilmente chiamato a svolgere nell'impostazione dello statuto di una società benefit.

Mi permetto una critica iniziale al titolo che è “La evoluzione normativa in tema no profit”, in quanto rischia di snaturare il messaggio fondamentale che il movimento delle società benefit vuole portare (non tanto agli enti del terzo settore ma) agli imprenditori. Le società benefit non si pongono nel solco del no profit ma nel solco del benefit e vogliono rappresentare l'esempio ideale di attività d'impresa che non solo persegue una perfetta sostenibilità economica, ma che punta con forza a dimostrare quanto questo modo di fare impresa porti fatturato e porti profitto.

Le società benefit, se vogliono superare il sistema tradizionale di produrre profitto anche a discapito della salute dell'uomo e dell'ambiente, vogliono però dimostrare come proprio gli operatori economici che puntano al profitto possano rappresentare gli interlocutori ideali per un approccio verso la sostenibilità ambientale e sociale, “semplicemente” ripensando l'approccio al profitto, ma mai negandolo. Perciò hanno come obiettivo quello di coniugare, anzi meglio ancora bilanciare, lo scopo di profitto che non verrà e non deve venire mai meno con quello benefit, ossia che determina un investimento in risorse, tempo e denaro e che pur non procurando un profitto economico immediato è destinato a contribuire in modo positivo su persone e comunità portando altri vantaggi alla società, quali un ritorno di immagine, un vantaggio reputazionale e una maggiore attrattiva verso clienti, consumatori, finanziatori e potenziali dipendenti/collaboratori.

Le società benefit perseguono in altre parole fatturato e profitto con obiettivi di impatto sociale positivo, ma non sono e non vogliono essere confuse con enti del terzo settore, con enti no profit o tantomeno con enti filantropici e di beneficienza.

E del resto è lo Studio stesso a riconoscere che il tradizionale scopo di lucro e la realizzazione del beneficio comune sono “solo apparentemente inconciliabili” (p. 5).

E' molto importante che il Consiglio Nazionale del Notariato guardi “con favore” alla nuova normativa ritenendola meritevole di essere “incoraggiata e promossa” (ibidem).

Lo Studio correttamente (p. 6) pone l'accento sul legame molto forte che le società benefit sentono con il territorio e la comunità nei quali e con i quali operano e il nesso di interdipendenza e reciproca influenza tra le une e l'altro: è proprio a partire da questi contesti vicini che le società benefit puntano a portare un cambiamento globale di paradigma e approccio al concetto stesso di profitto, che tenga conto non solo più degli shareholders ma anche dei vantaggi che possono essere offerti agli stakeholders. Tanto che nello Studio ravvisiamo una condivisibile critica al legislatore là dove ha ritenuto di poter applicare questa tipologia di attività di impresa solo al modello societario, lasciando escluse le imprese individuali che pure allo stesso modo potrebbero avare analoghe ambizioni di assicurare beneficio comune al territorio.

Lo Studio e le singole questioni affrontate

La denominazione

Correttamente lo Studio evidenzia (p. 8) l'utilità per una società benefit di inserire questo aspetto nella denominazione ma conferma che questa scelta è del tutto facoltativa: questo, se da una parte può impedire di individuare ictu oculi una società benefit si rivela però strategico per non ostacolare la diffusione del modello posto che la modifica della denominazione per società già esistenti che decidono di evolvere in società benefit in alcuni casi rappresenta un vero e proprio impedimento potendo avere serie e dirompenti implicazioni nei contratti già sottoscritti e/o nei bandi a cui si è già preso parte. Non sempre in questi casi è infatti sufficiente che il soggetto sia lo stesso.

L'oggetto sociale

Lo Studio dedica giustamente oltre cinque pagine all'analisi dell'oggetto sociale: aspetto fondamentale nelle società benefit visto che è la legge stessa a prescrivere che le finalità di beneficio comune debba essere specificatamente indicate nell'oggetto sociale, con ciò individuando l'intervento sull'oggetto come uno dei cardini per l'evoluzione benefit. Correttamente si dà atto che anche la parte benefit dell'oggetto statutario debba essere determinata e specifica (p. 9) e che si viene così a distinguere l'attività societaria in due tronconi (parte profit e parte solidaristica legata alle esigenze sociali da tutelare).

Giustamente si fa notare (p. 11) che questa impostazione dell'oggetto rappresenta una tutela per gli amministratori che non saranno passibili di censure qualora perseguano anche esigenze sociali, diversamente da quello che poteva accadere quando essi erano destinatari di un mero mandato da parte di una compagine societaria (magari occasionalmente) illuminata. Amministratori di una società benefit che trascurino aspetti solidaristici a vantaggio del profitto, invece, potranno essere criticati, avendo violato il mandato statutario e il dovere di legge di bilanciamento.

Assai opportunamente lo Studio affronta il tema, dibattuto e non risolto, della necessità o meno che le attività di beneficio comune siano connesse a quelle profit e quindi essere collegate al processo produttivo dell'impresa (p. 11), senza peraltro (forse inevitabilmente) risolverlo: vengono infatti descritti gli elementi a favore della tesi positiva, secondo cui l'utilità sociale deve essere incanalata nella catena produttiva così che sia il progetto d'impresa ad avere un suo impatto sociale e si attenuino gli impatti negativi collegati all'attività d'impresa (p. 12). Lo Studio peraltro sembra preferire la tesi negativa secondo cui non sarebbe necessario un coordinamento tra la componente profit e la componente benefit: le clausole statutarie esposte nello Studio, peraltro, pur indicate come generiche, mostrano significativi collegamenti con il business core della società di riferimento.

Non viene invece presa netta posizione sulle clausole estremamente generiche, pur menzionate (p. 13), che parlano di obiettivi quali la felicità, la fraternità, l'uguaglianza, l'eliminazione della povertà, la legalità. A mio avviso sarebbe stato utile esporre con maggiore dettaglio le ragioni che inducono ad approvare o meno clausole siffatte: da una parte si potrebbe infatti evidenziare il rischio che gli amministratori non riescano neppure a perseguire obiettivi tanto vaghi e apparentemente inconsistenti. In realtà, ad avviso di chi scrive, non bisogna neanche indulgere a un approccio troppo rigoroso e tradizionalista, dal momento che l'impostazione idealistica dello statuto potrà poi essere declinata di anno in anno in attività concrete e individuate, oggetto di una precisa rendicontazione e valutazione d'impatto nella relazione.

Lo standard di valutazione

Lo Studio non aggiunge nulla rispetto al testo di legge sullo standard con cui la società benefit dovrà valutare il proprio impatto (né del resto è compito di un notaio avere competenze sul tema) e rimane un po' oscuro là dove sembra suggerire (p. 15) di indicare in statuto “la nomina dell'Ente che dovrà per primo predisporre lo standard”: ci permettiamo di dissentire sia perché difficilmente una società benefit sceglierà un ente per la predisposizione di uno standard ma farà invece riferimento a uno standard già noto e utilizzato nella valutazione d'impatto sia perché, vista la varietà di standard disponibili e redatti con criteri rigorosi e attendibili, non è opportuno che l'organo amministrativo venga vincolato già a livello statutario nella scelta dello standard di valutazione che nel tempo potrebbe rivelarsi inadeguato. Addirittura (circostanza tutt'altro che infrequente nelle relazioni benefit) potrebbe rivelarsi particolarmente utile servirsi di più standard confrontandone i risultati e mettendoli a disposizione degli stakeholder nella relazione benefit (su cui infra), per avere e offrire ai terzi un quadro più completo, veritiero e articolato sul punto.

Il responsabile benefit

Lo Studio (p. 16) riconduce al consiglio di amministrazione l'obbligo di nominare il responsabile benefit posto che il comma 381 prevede quale inadempimento degli amministratori la violazione del comma 380 che menziona sia l'obbligo di bilanciamento sia quello di nomina del responsabile benefit. Secondo noi è ipotizzabile anche che lo statuto preveda che questa fondamentale figura sia nominata dai soci, fermo un dovere di attivazione del consiglio in caso di inerzia dell'assemblea.

Anche lo Studio non ritiene tassativo che questa figura sia scelta nell'ambito del consiglio di amministrazione ma chiarisce che esso ha un ruolo di supporto, monitoraggio e consulenza talmente importante che la scelta deve riguardare qualcuno che abbia una vera esperienza nel campo in cui la società deve perseguire i suoi obiettivi di beneficio comune (e, aggiungiamo noi, nei temi più in generali della sostenibilità e della valutazione d'impatto sociale).

La relazione annuale

Il legislatore ha individuato una delle migliori forme di attuazione della trasparenza della società benefit nell'obbligo di redigere annualmente una relazione (da pubblicare sul sito se esistente) che contenga gli obiettivi di beneficio comune realizzati durante l'anno e quelli non realizzati (per i quali bisogna esporre le ragioni della mancata attuazione), la valutazione dell'impatto generato e gli obiettivi per l'anno successivo.

Si tratta di un documento che richiede molto impegno, tempo e organizzazione ma che è in grado, se non vissuto come una mera incombenza burocratica, di diventare strumento strategico e di autoanalisi della società che in questo modo potrà monitorare progressi, traguardi e obiettivi.

Il legislatore ha lasciato alcuni dubbi che lo Studio (p. 17) risolve nel senso di indicare al consiglio di amministrazione (indiscutibilmente autore della relazione con il supporto del responsabile benefit se esterno al consiglio) l'opportunità di comunicarla al collegio sindacale e all'organo di revisione (che pure hanno doveri molto diversi) e depositarla presso la sede sociale.

A p. 18 si evidenzia la mancanza di sanzioni legislative per il caso in cui la relazione non venga redatta, salvo la perdita di credibilità verso gli stakeholders e l'intervento dell'Autorità per la Concorrenza e il Mercato solo in caso di pratiche commerciali scorrette o ingannevoli.

Ora, ferma l'ovvia impossibilità di perdere lo status di società benefit per mancata redazione della relazione (essendo la natura di società benefit una componente statutaria su cui hanno potere decisionale solo i soci), la mancata presentazione della relazione può rappresentare un indicatore di allarme per l'AGCM che potrà ritenere utili approfondimenti per comprendere le ragioni della stessa. Il tenore della legge non sembra far ritenere che il mancato deposito in sé possa portare sanzioni dall'AGCM la quale ha il potere di sanzionare le società benefit che “non persegue le finalità di beneficio comune” (co. 284) e non quelle che non depositano la relazione tout court. La mancata redazione rappresenta sicuramente una violazione di legge e un inadempimento degli amministratori (sanzionabile sotto il profilo della mala gestio) ma non per forza è sinonimo di mancato perseguimento del beneficio comune statutariamente previsto.

Il principio di legalità in materia di sanzioni amministrative (ex art. 1 della L. 689/1981), nei suoi corollari di determinatezza e tassatività della fattispecie, sembra poi escludere l'ipotesi di applicazione delle sanzioni amministrative previste per l'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi ex art. 2630 c.c. La soluzione più pratica e efficiente sarebbe forse che le Camere di Commercio (visto che oltretutto la relazione ha trovato una specifica collocazione nell'ambito della modulistica del Registro delle Imprese nel codice R09 quale allegato al bilancio) sospendessero la pratica di deposito del bilancio di esercizio di una società benefit privo della relazione, pur restando comprensibile l'obiezione di chi si oppone a tale deposito presso il Registro a fronte del principio della tassatività delle iscrizioni.

Condividiamo la tesi secondo cui questa relazione non è e non può essere parte della relazione sulla gestione in nome del principio della c.d. topica legale dell'informazione (in virtù del quale i dati devono essere forniti nella sede a ciò deputata dal legislatore): l'articolazione e la complessità delle informazioni della relazione sulla gestione non possono che sconsigliare di estenderne ulteriormente il contenuto.

Quello su cui però lo Studio non si sofferma (e che invece avrebbe meritato più attenzione essendo una questione pratica) è se l'assemblea debba approvare la relazione benefit redatta dall'organo gestorio: la risposta sembra essere negativa da un punto di vista di iter obbligatorio ma è evidente l'opportunità che tale relazione sia sottoposta proprio ai soci che nello statuto hanno delineato la missione aziendale, affinché prendano atto del contenuto venendo a conoscenza quindi delle attività poste in essere per il perseguimento dei benefici comuni.

Doveri e responsabilità del Consiglio di Amministrazione

E' indubbio, come evidenzia lo Studio (p. 20), che il Consiglio di Amministrazione di una società benefit, se da una parte è esente da censure per aver posto in essere una gestione che non persegue esclusivamente il profitto ma lo bilancia con attività a favore di soggetti terzi (pur a fronte di costi e nessun ritorno economico immediato e diretto), dall'altra parte è onerato di una gestione ben più complessa dovendo appunto bilanciare due tipologie di attività (verosimilmente collegate ma) autonome e coniugare interessi di categorie diverse con scelte necessariamente discrezionali

Il perseguimento dello scopo sociale e la valutazione dell'impatto (sociale) generato diventano parametri di giudizio (da parte della compagine societaria e dei terzi) rilevanti quasi quanto l'ottenimento di un profitto. Il mancato perseguimento dell'oggetto benefit potrà essere oggetto di azione di responsabilità quando ne consegua un danno di immagine e di reputazione che abbia peraltro un contenuto patrimoniale e quantificabile.

Lo Studio conferma l'impostazione per ora diffusa e affermata in base alla quale i terzi stakeholder, di là dal caso di non facile applicazione previsto dall'art. 2395 c.c., non possono avanzare pretese risarcitorie per mancata attuazione degli obiettivi di beneficio comune in loro favore posto che dallo statuto derivano obblighi contrattuali verso i soci ma non verso i terzi. E del resto una diversa interpretazione esporrebbe gli amministratori a un controllo eccessivamente vasto e a incontrollabili censure, magari anche strumentali e opportunistiche, dannose per la vita della società, con il rischio che la gestione sia sottoposta a continui blocchi dell'attività a causa di azioni o censure da soggetti terzi.

In conclusione

Lo Studio è utile e offre uno sguardo su tutte le questioni interpretative che il testo di legge lascia aperte.

Avrebbe forse potuto effettuare qualche approfondimento ulteriore, come ad esempio sul ruolo dell'AGCM, appena menzionato nella parte finale, anche con riferimento alla concorrenza sleale e non solo alla pubblicità ingannevole e alle pratiche commerciali scorrette.

Ma soprattutto, visto il ruolo fondamentale dei notai nella redazione degli statuti, avrebbe potuto chiarire come lo statuto di una società benefit possa avere un contenuto “benefit” che va ben oltre la mera integrazione dell'oggetto sociale e l'inserimento – pur opportuno – di clausole che riportano il testo di legge sul responsabile benefit, la relazione e i doveri degli amministratori.

Una società che davvero voglia blindare il proprio essere benefit potrà introdurre infatti clausole chiarificatrici in tema di recesso (ad esempio ammettendolo in caso di revoca dello stato di società benefit), di maggioranze qualificate, di gradimento, di nomina di uno o più consiglieri da parte degli stakeholder principali, di esclusione (là dove consentita), di fusioni o acquisizioni. Tutto, sempre, previa accurata e consapevole ponderazione insieme a un consulente esperto del significato e delle conseguenze di queste previsioni.

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