Lesione del rapporto parentale: quale criterio deve usare il giudice per liquidare il danno?

20 Luglio 2023

La Suprema Corte si pronuncia sul tema della liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale e il rapporto con le tabelle milanesi. Richiamando principi consolidati, giunge ad un'importante conclusione su come i giudici debbano procedere alla liquidazione di questo danno, necessariamente in via equitativa, che soggiace a precise regole di cui si deve dare conto, pena porsi al di sotto del minimo costituzionale richiesto per non incorrere nel vizio di nullità per difetto di motivazione.

Un diciasettenne, durante la settimana tecnico-sportiva organizzata dalla propria scuola, riportò gravissime lesioni personali, tali da renderlo affetto da una invalidità permanente quasi totale, a causa di una caduta dagli sci nell'impianto sciistico. Il ragazzo, divenuto maggiorenne, evocava in giudizio il Ministero dell'Istruzione, la scuola, la società che gestiva l'impianto sciistico e l'assicurazione della scuola quale garante, per il risarcimento dei danni. Intervenivano anche la madre e la sorella per vedere accertato il loro diritto al risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale.

Il tribunale accoglieva parzialmente le domande, ripartendo la responsabilità tra la società, la scuola e lo stesso ragazzo.

La corte d'appello accoglieva parzialmente il gravame in ordine al quantum debeatur, osservando, per quanto ci interessa che:

a) la responsabilità della struttura scolastica andava confermata per non aver essa adempiuto ai propri obblighi di vigilanza, assumenti connotazioni differenti in ragione delle “specifiche circostanze di tempo, luogo e persone e sulle esigenze dei casi concreti”; a.1) nella specie, in ragione della personalità esuberante ed incline al rischio – di cui sono espressione sia le relazioni scolastiche fornite dagli insegnanti, che la stessa condotta posta in essere dal ragazzo sulla pista da scii (eccessiva velocità, “massima imprudenza e sottovalutazione dei rischi … al punto di esser stato subito perso di vista dalle due compagne che avevano iniziato la discesa con lui”) –, gli insegnanti avrebbero dovuto adottare, nei confronti di quest'ultimo, “cautele e forme di sorveglianza più rigorose ed incisive di quelle esigibili nei confronti degli altri ragazzi”;

b) sul quantum debeatur, la sentenza di primo grado era da riformare nei termini seguenti: b.1) il MIUR andava condannato al pagamento di euro 336.375,00 a titolo di danno patrimoniale in favore del ragazzo, in parziale accoglimento dell'appello incidentale sollevato da quest'ultimo, e di euro 859.830,00, a titolo di danno non patrimoniale, rideterminato al ribasso a seguito dell'accoglimento dell'appello incidentale sollevato dal Ministero stesso; b.2) in accoglimento dell'appello incidentale sollevato dal Ministero, occorreva procedere ad una diversa liquidazione del danno parentale in favore delle congiunte dell'attore, in ragione della necessità di procedere alla riduzione del 70%, trattandosi di lesione e non di perdita del rapporto parentale, e in ragione della necessità di contenere la liquidazione entro i limiti massimi stabiliti dalla tabelle milanesi (superati dal giudice di primo grado); b.2.1.) di conseguenza, andava riconosciuta alla madre la somma di euro 140.000,00 e alla sorella la somma di euro 70.000,00; b.2.2.) da tali somme andava scomputato l'importo pari al 35%, corrispondente alla quota di responsabilità del ragazzo nella causazione dell'evento di danno ex art. 1227 c.c., con liquidazione definitiva pari ad euro 91.000,00, in favore della madre, e ad euro 45.500,00, in favore della sorella; (…).

La corte di appello aveva concluso nel senso della imputabilità soggettiva dell'evento lesivo alla struttura scolastica, in ragione del fatto che «gli insegnanti della scuola avrebbero dovuto tenere conto di questo innegabile dato caratteriale per adottare nei confronti di Lorenzo cautele e forme di sorveglianza più rigorose ed incisive di quelle esigibili nei confronti degli altri ragazzi». Da un lato, il temperamento del ragazzo è stato posto alla base della individuazione di obblighi di sorveglianza, a contenuto specifico, che avrebbe dovuto osservare la scuola; d'altro lato, dalla ricostruzione effettuata dal giudice di appello, emerge come «il fatto che ha cagionato l'incidente – ovvero la reazione caratteriale del ragazzo davanti alla pista di sci – non era né imprevedibile né inevitabile».

Le questioni principali affrontate dalla Suprema Corte sono due:

  1. il giudizio di causalità della colpa;
  2. la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale e le tabelle milanesi. Questa è la questione che maggiormente interessa.

Sul primo aspetto, la Cassazione ritiene che la Corte territoriale abbia correttamente applicato i parametri su cui si fonda il giudizio della cd. causalità della colpa: in ragione della pericolosità della pratica dello sci e il temperamento del ragazzo, gli insegnanti avrebbero dovuto e potuto dare attuazione agli obblighi di sorveglianza a contenuto specifico di cui sopra – in forza delle peculiari circostanze del caso concreto –, tale per cui risulta essere “più probabile che non” che se queste ultime fossero state predisposte il fatto non si sarebbe verificato.

La seconda questione riguarda la circostanza che la Corte territoriale avrebbe erroneamente censurato l'aumento del doppio effettuato dal Tribunale nella liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale in favore della madre dell'attore, sul presupposto della impossibilità di superare i limiti massimi stabiliti dalle tabelle milanesi. Secondo la Cassazione, la doglianza è fondata.

Occorre premettere che siamo nel campo della liquidazione equitativa. Questa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell'esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento.

Ne consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell'operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell'art. 1226 c.c. (Cass. n. 22272/2018).

In definitiva, una liquidazione equitativa del danno, priva di specifica motivazione, si pone in violazione non solo della legge processuale (art. 132 c.p.c.), ma anche dell'art. 1226 c.c., perché ciò che difetta è non solo la motivazione, ma anche la valutazione e tale valutazione deve dare conto anche del profilo della quantificazione del danno sotto il profilo dell'“inferenza degli importi riconosciuti dai dati presupposti” (Cass. n. 33005/2021).

L'affermazione della corte d'appello secondo cui «in nessun caso il risarcimento può superare il limite massimo delle tabelle milanesi», è errata in diritto, in quanto costituisce principio consolidato, enunciato dai Giudici di legittimità, quello per cui, in sede di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, il giudice possa discostarsi dai limiti tabellari, purché tale scostamento sia supportato da adeguata motivazione che renda manifeste le circostanze, anomale e irripetibili (provate dalla parte danneggiata), che hanno richiesto una “personalizzazione” in aumento in quanto non adeguatamente risarcibili mediante una liquidazione confinata all'interno degli ordinari parametri tabellari.

Il giudice di appello, dunque, nel reputare eccessiva e immotivata la quantificazione operata dal primo giudice, avrebbe dovuto procedere esso stesso ad un apprezzamento delle circostanze del caso, in base alle risultanze processuali acquisite, e così provvedere alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale per lesione del rapporto parentale patito dal congiunto della vittima, dando contezza del peso attribuito agli elementi valorizzati in rapporto alle somme equitativamente da liquidarsi.

In conclusione, nella specie la liquidazione operata era priva di una tale motivazione, incorrendo nei vizi di nullità sopra richiamati.

La sentenza appare importante, perché, richiamando con estrema puntualità, senza dispersione, i principi fondanti della liquidazione equitativa (segnatamente il profilo della motivazione e della personalizzazione), fornisce una indicazione ai giudici stessi su come procedere correttamente alla valutazione, nel rispetto dell'obbligo costituzionale minimo di motivazione.

Il danno non patrimoniale, nella sua difficile quantificazione, si conferma voce importante, che non può essere degradato a mero elemento consequenziale. Richiede, al contrario, un adeguato percorso valutativo e motivazionale.

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