Emersione del lavoro irregolare: illegittimo il Decreto Rilancio nella parte in cui limita la procedura ai datori stranieri regolarmente soggiornanti in Italia

La Redazione
21 Luglio 2023

La Corte costituzionale, con sentenza del 18 luglio 2023, n. 149 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del c.d. “Decreto Rilancio”, specificamente dell'art. 103, comma 1, d.l. n. 34/2020, convertito, con modificazioni, in l. 77/2020, nella parte in cui limitava la procedura di richiesta per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o stranieri, ai soli datori di lavoro stranieri con permesso di soggiorno di lungo periodo UE, invece che ai datori di lavoro stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

Il caso in esame trae origine dalla chiamata in causa del giudice rimettente (TAR Liguria), chiamato a decidere del ricorso per l'annullamento del provvedimento con cui la Prefettura di Genova – Sportello unico per l'immigrazione aveva rigettato la domanda di emersione (ex art. 103, comma 1, del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19; convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77”) del lavoratore in quanto il datore di lavoro richiedente che, pur in possesso di un permesso di soggiorno per motivi familiari, era privo del permesso di soggiorno di lungo periodo.

Tuttavia, ad avviso del TAR Liguria, l'art. 103, comma 1, del d.l. n. 34/2020, cit., contrasterebbe con l'art. 3, primo comma, della Costituzione in quanto determinerebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori che, secondo il giudice: «a parità di requisitisostanziali”, verrebbero ammessi o meno alla procedura di emersione, a seconda del titolo di soggiorno del loro datore di lavoro».

Tale previsione però sarebbe incompatibile con il dettato costituzionale, in ragione del fatto che prevede un requisito più stringente rispetto a quello disciplinato dal TU immigrazione che permette – come si legge nella pronuncia- a qualsiasi «datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia di instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, con uno straniero residente all'estero e di stipulare il relativo contratto di soggiorno, inoltre, renderebbe meno agevole il raggiungimento dello scopo, dichiaratamente perseguito dalla norma, di “favorire” l'emersione del lavoro irregolare e la stipulazione di contratti di impiego nei settori indicati».

La difesa statale per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di opinione differente, - intervenuta in giudizio in quanto ha eccepito l'inammissibilità della questione- ha ritenuto non ravvisabile alcuna lesione dell'art. 3 Cost., atteso che «la procedura di emersione del lavoro irregolare prevista dal censurato art. 103 avrebbe carattere eccezionale e quindi, rispetto ad essa, non potrebbe essere assunta a tertium comparationis la disciplina ordinaria dettata dal d.lgs. n. 286 del 1998».

Peraltro, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato una memoria, eccependo l'inammissibilità della questione sollevata, dove ha evidenziato il «cospicuo tasso di manipolatività» della pronuncia richiesta, in quanto implicherebbe – expressis verbis -un «allargamento (non costituzionalmente obbligato) della platea dei datori di lavoro abilitati a presentare la domanda di emersione».

Premessa l'indubbia la specialità dei procedimenti volti a legalizzare il lavoro irregolare degli stranieri, la Corte ricorda che la disciplina dettata, in via ordinaria, dal d.lgs. n. 286/1998 per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per ragioni di lavoro, invece, consente di instaurare un rapporto di lavoro subordinato con uno straniero a qualunque datore di lavoro straniero che sia regolarmente soggiornante in Italia.

Ragion per cui, la norma censurata risulta – a parere della Corte- «manifestamente irragionevole, in quanto stabilisce un requisito di accesso alla procedura di emersione degli stranieri dal lavoro irregolare eccessivamente restrittivo» e compromette lo scopo perseguito dal legislatore, ossia l'emersione del lavoro svolto “in nero” – che nel caso di cittadini stranieri si intreccia alla regolarizzazione della loro presenza in Italia – volto a tutelare non solo le singole parti del singolo rapporto di lavoro ma anche l'interesse pubblico generale della regolarità e trasparenza del mercato del lavoro.

In aggiunta, la Consulta afferma l'arbitrarietà e irragionevolezza del requisito del permesso di lunga durata anche relativamente alle specifiche finalità perseguite dalla procedura di emersione del 2020, in quanto volte a soddisfare, e quindi a «garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio del contagio da COVID-19 e favorire l'emersione di rapporti di lavoro irregolari».

In conclusione, l'art. 103, cit., riducendo eccessivamente la "platea" dei datori di lavori autorizzati ad attivare la procedura di emersione ostacola la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla norma, inerenti «tanto alla tutela del singolo lavoratore quanto alla funzionalità del mercato del lavoro in un contesto d'inedita difficoltà». La Corte afferma dunque che la contraddittorietà tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la norma censurata lede, quindi, il principio di ragionevolezza.

Alla luce delle argomentazioni svolte, la Consulta conclude ritenendo illegittima la norma censurata perché la procedura prevista dal c.d. “Decreto rilancio" - emanato per fronteggiare la pandemia- per l'emersione dal lavoro nero è eccessivamente restrittiva dal punto di vista dei requisiti che deve possedere il datore di lavoro straniero.

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