I crediti tributari e contributivi nel concordato in continuità aziendale, ovvero della portata eversiva del CCII

24 Luglio 2023

L'Autore si occupa, con questo contributo, del trattamento uniforme che l'art. 112, comma 2 del CCII riserva ai crediti tributari e contributivi nel concordato in continuità aziendale in caso di dissenso dell'Erario, evidenziando come tale norma si riferisca, implicitamente, alla sola categoria dei creditori “interessati”.
Premessa

Più si legge il Codice della Crisi, più lo si compulsa, più noi pratici – che ahimè dobbiamo applicarlo in prevenzione e, per così dire, “al buio” – ci troviamo sorprese, rotture con il passato e quindi azzardi interpretativi giocati sulla pelle dei nostri clienti e della nostra responsabilità professionale. Ma tant'è. È anche questo il bello della professione. Ed è qui l'utilità di uno strumento come questo Portale, ove le idee possano circolare e confrontarsi, anche con provenienze professionali diverse, e mi riferisco in particolare ai Giudici cui spetterà l'ultima parola sulle procedure che noi siamo chiamati a seguire.

Mi vorrei occupare, con questo contributo, del trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato in continuità aziendale.

La precisazione relativa sia al tipo di procedura, il concordato appunto, che al tipo di concordato, in continuità aziendale, è necessaria, perché appare sempre più manifesto come la disciplina del trattamento di tali crediti sia profondamente – e, per certi versi, inspiegabilmente – diversa al mutare della procedura, con una gradazione di tutela delle ragioni creditorie crescente che parte dal minimo offerto dal concordato semplificato e dall'accordo di ristrutturazione per passare per grado intermedio al concordato in continuità – per le ragioni che vedremo tra poco – e per culminare nel massimo con il concordato liquidatorio.

Ma veniamo al punto.



La riserva incipit dell'art. 88 CCII

L'art. 88 CCII inizia, com'è noto, con una riserva: “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall'articolo 112, comma 2, con il piano di concordato”.

Qual è la portata di questa espressione? Ebbene, dico subito che, a mio avviso, per la sua collocazione – l'incipit di tutto l'articolo – e l'ampiezza del rinvio, essa immette il trattamento del credito erariale e contributivo nel regime generale di omologazione del concordato in continuità quando non sia raggiunto il consenso della totalità delle classi e, in specie, lo sottomette a tale regime, con conseguenze fortemente innovative e direi financo eversive dei canoni interpretativi fin qui adottati.

Infatti, a ben leggere, data la portata assorbente che ha il rinvio all'art. 112, comma 2, CCII di ogni disposizione sostanziale contenuta nel seguito dell'art. 88, sopravvive di tale norma solo la parte procedurale, cioè l'obbligo per il debitore di formulare rituale proposta alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazione, evidentemente per mettere questi creditori “speciali” nelle condizioni di ben ponderare il loro atteggiamento verso la procedura, in termini di voto e di opposizione all'omologazione

Né vale dire che trovi qui applicazione le regola sul rapporto tra norma generale e norma speciale, dato che la riserva-incipit dell'art. 88 è tale da neutralizzare la norma speciale proprio nel caso specifico del concordato in continuità. In tal modo non di conflitto tra norme di può e si deve parlare, come ha lamentato una certa dottrina (Si veda, ad esempio, G. Andreani e F. D'Acquino, Crisi d'impresa, la transazione fiscale contrasta con la priorità relativa, il Sole 24 Ore, 2 giugno 2023), ma semmai di necessità di fare uno sforzo interpretativo, anche sul piano sistematico, per combinare il regime procedurale speciale del credito erariale con quello più generale di ogni credito.



L'art. 112, secondo comma, CCII

Ma andiamo per gradi e ricapitoliamo il contenuto dell'art. 112, secondo comma del CCII, che così recita:

“Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;

b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7;

c) nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito;

d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Questa norma, di cui ho più diffusamente parlato in un mio recente articolo (si veda il mio contributo dal titolo: Tentativo di interpretazione dell'art. 112, secondo comma, CCII: un mistero avvolto in un enigma, pubblicato su questo Portale, 15 giugno 2023), opera quando nel concordato in continuità aziendale non sia raggiunto il consenso della totalità delle classi, allo scopo di consentire comunque l'omologazione delle ristrutturazioni che si rivelano più favorevoli ai creditori dell'alternativa liquidatoria.

Il primo principio posto dalla norma è che il valore di liquidazione (giudiziale) sia distribuito nel rispetto delle cause legittime di prelazione.

In tal senso, nessuna differenza sostanziale si riscontra con l'art. 88, primo comma, CCII ove si chiede, in relazione al credito oggetto di proposta, che “il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione di un professionista indipendente”.

L'art. 88, primo comma, ultimo periodo, CCII pone una ulteriore condizione, e cioè che (cito) “Se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, anche a seguito di degradazione per incapienza, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri crediti chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei crediti rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”.

Tale condizione vuole che il credito erariale e contributivo posto al chirografo, anche per degradazione, sia trattato come viene trattato il credito chirografario più favorito.

Per fare un esempio: se un credito tributario privilegiato di 100 riceve 20 in quanto privilegiato (a valere sul valore di liquidazione) il restante 80 deve essere trattato almeno come il miglior creditore chirografario. Ammesso che alla classe di chirografari trattata meglio sia offerto il 30%, anche all'Erario dovrà esser offerta questa percentuale sul credito degradato, di tal che quanto esso riceverà nel caso illustrato sarà 20 + 24 (80 x 30%) = 44.

Ebbene questa condizione non è più nell'art. 112, comma 2, CCII. Nel caso in cui l'Erario voti contro, sarà sufficiente che gli sia offerto “complessivamente” almeno quanto è offerto al creditore chirografario meglio favorito – lettera b) del secondo comma dell'art. 112 CCII – cioè, nell'esempio, il 30% del proprio credito (30, che sarà frutto di 20 da distribuzione del valore di liquidazione e di un ulteriore 10 da distribuzione del valore ulteriore).

In altri termini, l'art. 112, comma 2, CCII impone una lettura unitaria del trattamento del credito statale, mentre l'art. 88 consente una disarticolazione della quota privilegiata e di quella chirografaria.

Ma questo è solo lo strato superficiale della norma.



Una nuova categoria: i creditori interessati

Scavando più in profondità, e chiedendosi cosa significhi che una classe dissenziente debba essere trattata, se pur complessivamente, almeno come il creditore di pari grado più favorito e comunque meglio del creditore di grado inferiore, ci rendiamo conto che il Legislatore ha sottinteso un aggettivo, quello di interessato, allorché si è riferito alla classe dissenziente.

Appoggiandoci alla terminologia e alle definizioni della Direttiva Insolvency (art. 2) comprendiamo come sia interessato quel creditore che, applicando la regola della priorità assoluta su tutto il risultato della procedura concordataria, otterrebbe qualcosa dalla ristrutturazione. Quindi è necessario non solo distinguere tra creditori privilegiati e non, ma anche tra creditori interessati e non (si veda, per una analisi più ampia sul punto, il mio contributo da ultimo citato).

Questa distinzione è correlata alla individuazione del valore di liquidazione (giudiziale) e del valore complessivo del patrimonio del debitore, inclusivo della cosiddetta eccedenza della liquidazione (flussi della continuità e apporti esterni), che di qui in avanti chiameremo valore totale.

Combinando i concetti si ottiene una certa sequenza operazionale.

Il debitore deve:

  1. Individuare il valore di liquidazione
  2. Individuare il valore totale
  3. Ordinare i debiti per cause di prelazione
  4. Stabilire come si divide il valore di liquidazione tra i creditori secondo gli ordini dei privilegi
  5. Individuare i creditori interessati, come coloro che, applicando la regola di priorità assoluta, avrebbero diritto a percepire una quota del valore totale creato dalla ristrutturazione
  6. Individuare per converso i creditori non interessati.

Bisogna fugare il preconcetto che un creditore privilegiato sia anche un creditore interessato. Nei concordati poveri, non è così. Vi sono crediti privilegiati in astratto che non riceverebbero nulla non solo in una liquidazione giudiziale ma anche in un concordato in continuità in cui si applicasse la sola regola di priorità assoluta. Ebbene, questi crediti sono sì privilegiati (sempre in astratto) ma sono chirografari in concreto e non sono interessati alla ristrutturazione, perché non hanno nulla da perdere in essa ma solo da guadagnare (“beggars are not choosers” dicevo in altra sede).

Da quanto esposto segue che il creditore erariale o contributivo non interessato che dissenta dalla proposta non ha diritto di essere trattato meglio dei creditori di pari grado. Tale creditore, che anche se privilegiato in astratto sarà un chirografario, soggiacerà alla regola generale dell'art. 85, comma 1, CCII che consente il trattamento differenziato tra le classi, e potrà ricevere anche meno di quanto ricevuto, complessivamente, da altre classi di chirografi.

Né vale obiettare che diversamente disporrebbe l'art. 84, comma 6 del CCII, laddove si dice che nel concordato in continuità “per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”. Tale regola infatti vale solo per i creditori muniti di privilegio non in astratto ma in concreto che abbiamo ricevuto una parte del valore di liquidazione e comunque vale sempre e solo per i creditori interessati nella accezione che ho indicato.



Conclusioni

Nelle righe precedenti abbiamo cercato di dimostrare che il trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato in continuità aziendale è soggetto a un regime diverso rispetto a quello stabilito dall'art. 88 CCII, particolarmente tutelante gli interessi dei creditori pubblici, e segnatamente al regime uniforme e generale dell'art. 112, comma 2, dello stesso Codice. Crediamo lo sia come effetto del favor che il Legislatore riserva a questo istituto, anche in ossequio all'indirizzo comunitario (si vedano i primi considerando della Direttiva Insolvency).

Una analisi non superficiale dell'art. 112, comma 2, CCII, ci conduce a individuare una categoria di crediti cui l'interprete italiano non era abituato: quello dei creditori interessati al piano di ristrutturazione, cioè quei creditori che applicando la regola della priorità assoluta al valore totale (come sopra definito) del concordato avrebbero qualcosa da ricevere dal debitore. Ad essa si oppone la categoria dei creditori non interessati al piano di ristrutturazione, che normalmente sono solo i creditori chirografari, ma anche no, almeno nei concordati molto poveri, dove può succedere che anche i creditori privilegiati siano destinati a non prendere nulla dalla ristrutturazione, ove questa sia dominata dalla regola della priorità assoluta.

Ebbene, crediamo di avere, nel contributo, dimostrato due regole operanti nel concordato in continuità aziendale che ci paiono particolarmente eversive rispetto all'assetto raggiunto sotto il previgente ordinamento:

Primo: la soddisfazione dei crediti fiscali e contributivi “interessati” deve essere considerata in modo complessivo e non differenziando la parte al privilegio e la parte chirografaria degradata. Ne segue che non trova applicazione la regola contenuta nell'ultimo periodo dell'art. 88 del CCII che vuole che, una volta pagata la parte privilegiata, la parte chirografaria sia trattata in modo separato e goda anch'essa di un diritto di almeno pari trattamento con la classe chirografaria più favorita;

Secondo: i crediti fiscali e contributivi “non interessati” non hanno diritto di essere trattati come gli altri crediti di pari rango, ma possono subire un trattamento ad essi deteriore. Ne segue che un credito statale, privilegiato per natura o meno, che non sia interessato, potrà essere classificato separatamente e trattato peggio anche della peggior classe dei creditori chirografari. Il tutto sempre salva la regola della “causa concreta” del concordato (ma questo è tutt'altro problema …)

E' così risolta l'apparente aporia tra articolo 88 e 112 del CCII, e lo è postulando l'equiparazione integrale dei crediti tributari e contributivi ad ogni altro credito. Rimane per essi il solo trattamento di favore costituito dall'obbligo del debitore di presentare agli uffici competenti proposta di trattamento del credito, così da metterli nelle migliori condizioni di valutare detta proposta e di esercitare i diritti che sono propri di ogni creditore: il voto e l'opposizione all'omologazione. Niente di più.

Gli uffici fiscali e gli enti di previdenza e assistenza, titolari di un interesse pubblico che coinvolge anche il buon andamento dell'economia e i valori socioeconomici che il Codice della Crisi vuole perseguire con la disciplina del concordato in continuità aziendale, dovranno ri-modulare in fretta i loro comportamenti evitando quelli ispirati a istruzioni che allo stato sono completamente superate. Non dimentichiamo che votare contro un concordato che sarebbe in linea con quanto prescritto dalla disciplina ed essere determinanti nel condannare una impresa alla liquidazione potrebbe comportare per i funzionari che lo facciano responsabilità erariale per quanto perso nella liquidazione rispetto a quanto ricevibile dal concordato bocciato.



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