Art. 70 CCII: al Giudice non è preclusa una nuova valutazione degli elementi soggettivi ostativi

La Redazione
24 Luglio 2023

Corte d'appello di Milano: la previa pronuncia di ammissibilità della proposta e del piano di composizione della crisi da sovraindebitamento – resa ai sensi dell'art. 70, comma 1, CCII – non preclude al giudice di rivalutarne l'ammissibilità sul fronte delle condizioni soggettive ostative di cui all'art. 69, comma 1, CCII al fine di disporne l'omologazione.

Una consumatrice sovraindebitata domandava l'apertura della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento (artt. 65 e ss. CCII) e depositava, presso il Tribunale di Busto Arsizio, un piano di ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, elaborato con l'ausilio dell'OCC.

Il Tribunale, pronunciatosi per l'ammissibilità di proposta e piano ai sensi dell'art. 70, comma 1, CCII, successivamente non omologava gli stessi, pronunciandosi con decreto motivato ex art. 70, comma 10, CCII. Nella motivazione, il Tribunale precisava che il diniego all'omologazione dipendeva dal non essersi, la ricorrente, conformata ai canoni di prudenza e diligenza e anzi dall'aver contratto il proprio debito con colpa grave. In particolare, questa veniva addebitata alla ricorrente per aver prestato alcune fideiussioni di considerevole importo alla società del marito, in seguito dichiarata fallita.

Avverso la pronuncia del Tribunale, la ricorrente proponeva reclamo presso la Corte d'Appello di Milano ai sensi del comma 12 dell'art. 70 CCII (che a sua volta richiama il dettato dell'art. 50 CCII), muovendo due contestazioni, così riassumibili:

  1. al Giudice, una volta pronunciatosi positivamente ai sensi del comma 1 dell'art. 70 CCII rispetto alla ricorrenza di tutti i requisiti di ammissibilità, sarebbe preclusa qualsiasi differente ed ulteriore valutazione rispetto ai medesimi elementi noti e valutati con il primo decreto; ciò tanto più laddove, tra la pronuncia del decreto e il rigetto della domanda di omologa, non siano emersi, come nel caso di specie, fatti “nuovi”;
  2. sul piano dell'elemento soggettivo, non sussiste alcuna colpa grave nell'aver determinato il sovraindebitamento, posto che la società a favore della quale erano state prestate le fideiussioni era in quel momento perfettamente operativa e, dunque, secondo la ricorrente, presumibilmente in grado di adempiere le obbligazioni; inoltre, veniva segnalato che gli istituti di credito avevano valutato in termini favorevoli il merito creditizio, e su tale valutazione ella aveva fatto affidamento;

Quanto alla prima censura mossa, la Corte milanese esclude che la verifica delle condizioni soggettive ostative di cui all'art. 69, comma 1, CCII, non sia più possibile dopo la valutazione di ammissibilità sottesa all'adozione del decreto previsto dall'art. 70, comma 1, CCII. Infatti, sul piano testuale, “la disposizione in esame non contiene alcuna previsione che esplicitamente o implicitamente precluda al giudice di rivalutare l'ammissibilità della proposta e del piano sotto questo profilo”.

Logicamente, infatti, viene segnalato che “Se è vero che il comma 7 sembra far riferimento alla sola ammissibilità giuridica del piano e non della domanda di accesso, è ben vero che la preclusione ipotizzata dalla reclamante non tiene conto del fatto che, nella fase precedente alla pronuncia del decreto di cui al comma 1, la proposta ed il piano di ristrutturazione dei debiti non sono ancora resi noti ai creditori, dalle cui osservazioni e contestazioni potrebbero emergere circostanze nuove, non solo sulle condizioni ostative, ma anche sugli altri presupposti, sì che sarebbe paradossale immaginare che il tribunale sia vincolato alla propria precedente pronuncia ed obbligato all'omologazione anche ove accerti che non ricorrono i presupposti soggettivi di accesso alla procedura”.

Quanto allo specifico rilievo mosso dalla reclamante quanto alla mancata emersione di fatti “nuovi” tra il decreto ex art. 70, comma 1, CCII e il rigetto dell'omologa, la Corte evidenzia come non sia sostenibile, in mancanza di una previsione normativa in tal senso, che “l'ambito della cognizione del tribunale muti a seconda che nella seconda fase del procedimento emergano o meno fatti nuovi, sì che, in mancanza di contestazioni, non sia più consentito al giudice un vaglio più approfondito di circostanze già esaminate o una loro diversa valutazione”.

Sotto il profilo soggettivo, la Corte rinviene che la condotta della reclamante – la quale, a fronte di uno stipendio da insegnante e della proprietà di un immobile (peraltro gravato da ipoteca), dopo aver contratto obbligazioni di importo tale da assorbire in modo quasi integrale i suoi guadagni, rilasciava ben quattro fideiussioni per un importo complessivo di € 610.000,00 – sia caratterizzata da irragionevolezza e colpa grave, vista anche la ben conosciuta situazione di crisi della società del marito, destinataria delle prestate fideiussioni.

Con riferimento al rilievo circa la preventiva valutazione positiva del merito creditizio da parte degli istituti garantiti, idonea, secondo la reclamante, a scagionarla da eventuali responsabilità per colpa grave, la Corte osserva: “le conseguenze dell'inadempimento da parte degli istituti di credito ai propri doveri di diligenza nell'accertarsi del merito creditizio operano nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza su di un piano del tutto diverso, precludendo loro di contestare la convenienza della proposta. (…). Del resto, se l'inadeguata valutazione del merito creditizio valesse sic et simpliciter ad escludere la colpa grave del debitore – che presuppone un giudizio sul suo complessivo comportamento nei confronti della pluralità dei creditori e non dei soli istituti di credito – si perverrebbe alla conclusione, da ritenere irragionevole alla luce dell'esigenza di bilanciamento di interessi alla quale risponde la previsione delle cause soggettive ostative, per cui la condotta di un solo creditore potrebbe penalizzare gli altri creditori, sebbene incolpevoli”.

In definitiva “La colpa degli istituti di credito, in un caso come quello in esame, si aggiunge, dunque, alla colpa del debitore; non la assorbe, né la rende di minore entità”.

Il reclamo veniva, pertanto, rigettato dalla Corte d'appello



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